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— Il nastro — disse Rick. — Difettoso.

— Ma è troppo tardi per averne un altro! — stridette lei.

— Be’, comunque è il nastro.

— Come fai a saperlo?

— Be’… il guaio può dipendere da tre cose. Il pupazzo, il nastro, o la cassetta dei dati analogici. Abbiamo svuotato la cassetta e provato con un altro attore. Ha funzionato. E anche il manichino va bene con una prova non interpretata. Così, per eliminazione, è il nastro.

Crollò in una poltrona gemendo e coprendosi la faccia con le mani.

— Proprio non c’è modo di metterci un altro nastro? — chiese Rick.

— Abbiamo chiamato ogni deposito nel raggio di cinquecento chilometri. Dovrebbero ricavarlo tutti dalla copia campione. Ci vuole troppo.

— E allora mandiamo a monte lo spettacolo! — sbottò rassegnato Ian Feria, alzando le mani con aria disgustata. — Rimborsiamo i biglietti e rimandiamo a domani.

— Aspetta! — scattò l’impresario alzando di colpo gli occhi. — Dooch… il teatro è esaurito, no?

— Già — grugnì irritato D’Uccia. — Com’a un uovo è! Ma che cacchio ci avete voi, non sapete manco aggiustare il Maestro? Ma che cacchio! Qua perdiamo soldi, oh!

— Ma piantala! Spostiamo l’apertura alle nove, offriamo il rimborso se non vogliono aspettare. Ian, pensaci tu. Preparate tutto per stasera. — Giada parlava con stanca decisione guardando la gente attorno. — Forse c’è una magra speranza. Datevi da fare. Devo vedere una cosa. — Si voltò e fece per allontanarsi.

— Ehi! — la chiamò Feria.

— Ti spiego dopo — borbottò lei, girando appena la testa.

Trovò Thornier che stava cambiando le lampadine fulminate nei pannelli elettrici. Le sorrise dall’alto della scala mentre risistemava i morsetti di un pannello di vetro ambrato. — Ha bisogno di qualcosa, signorina Ferne? — le chiese con aria amabile.

— Può darsi — disse concisa. — Dicevi sul serio, per quell’offerta di sostituire un manichino suonato?

Una lampadina scivolata dalle mani di Thornier le esplose ai piedi. Scese lentamente dalla scala guardandola a bocca aperta.

— Stai scherzando.

— Pensi di poter fare una prova nella parte di Andreyev?

Lanciò una rapida occhiata verso il palcoscenico, si umettò le labbra e la guardò con aria stolida.

— Be’… potresti?

— Sono dieci anni, Giada… io…

— Puoi ripassarti il copione e portare una radio auricolare… così Rick può suggerirti dalla cabina.

Aveva fatto l’offerta con tono efficiente e pratico, e questo fece sorridere mentalmente Thorny. Così era il teatro: chiedere con calma le cose più impossibili, rischiare e spuntarla.

— I clienti… si aspettano Peltier.

— Per ora ti sto chiedendo di fare una prova, Thorny. E dopo vedremo. Ma ricordati che è la sola nostra speranza di andar su stasera.

— Andreyev — sussurrò. — Il protagonista.

— Per piacere, Thorny, vuoi provare?

Guardò verso la sala, annuì lentamente. — Vado a studiare le mie battute — rispose quieto, chinando il capo in un gesto che, sperava, fosse l’adatta espressione di modesto coraggio.

Devo farlo bene, devo fare che sia qualcosa di grande. L’ultima occasione, l’ultima bella parte…

Le luci splendenti della ribalta, un sommesso bisbiglìo nelle orecchie e il freddo panico della prima entrata: venne e passò rapidamente. Poi la scena fu una stanza chiusa e il pubblico, i tecnici e quelli della produzione furono soltanto la quarta parete, qualcosa al di là delle luci. Egli era Andreyev, commissario di polizia, commissario politico, leale servitore del regime, travolto dalla bufera rivoluzionaria degli anni Ottanta. L’ultimo bolscevico, non più un ribelle, non più un radicale, ma soltanto lealista, conservatore, difensore dello status quo, campione delle classi dirigenti marxiste. Non più cosciente di una possibile autonomia dalla sua parte, viveva la parte: gli altri, quelli che si trovavano con lui, era come se anch’essi avessero vita, agiva e reagiva con loro e contro di loro e mentre il dramma procedeva, dimenticò per un poco la loro mancanza di vita.

Afferrato dalla magia, immerso nello schema dell’inevitabile, trascinato dall’onda del dramma, sentì ancora una volta di essere una parte nel tutto, un tutto conosciuto e prevedibile che si svolgeva con sicurezza dalla prima scena fino al calar del sipario, come un uomo dal grembo materno alla tomba; non c’erano più anni perduti, non più errori e il sentimento di propositi sconfitti tra le prove di tutti quegli anni passati e questo, la pienezza di una serata di “prima”. Soltanto quando saltò una battuta, e Rick gli sussurrò nell’orecchio la correzione, l’incanto che gli si era creato attorno si spezzò per un momento: e si ritrovò indicibilmente spaventato, spaventato dall’improvviso ritorno alla realtà di sentire che tutto attorno a lui era Macchina, spaventato anche per averlo dimenticato. Si era adattato alla lieve grazia meccanica degli altri, imitando per riflesso la caratteristica leggerezza del movimento dei manichini, la danzante fluidità della loro recitazione. Lo aveva dimenticato: ora all’improvviso si rendeva conto che la bocca da lui appena baciata non era quella di una donna, ma la gommosa bocca d’un pupazzo e che la fresca e morbida mano che gli aveva sfiorato il viso era controllata dagli ondeggianti impulsi ad alta frequenza provenienti dal Maestro, gli stessi che, guidando la corrente nei solenoidi, le facevano girare il viso amorevole verso di lui. Sulla bocca sentiva ancora il lieve sapore e l’odore della gomma.

Alla prima uscita di scena tremava. Vide che Giada gli stava venendo incontro e, per un istante, ebbe l’orribile certezza che lei gli avrebbe detto: — Thorny, sei stato bravo quasi come un manichino! — Invece non disse niente, si limitò a tendergli la mano.

— Andava tanto male, Giada?

— Thorny, ci sei! Continua così e potrai avere più che uno spettacolo da fare. Persino lan è convinto. Solo all’idea s’era messo a strillare, ma adesso è tutto nostro.

— Niente proteste? Che ne dici del dialogo con Piotr?

— Meraviglioso. Continua così, sei stato stupendo, caro.

— Tutto a posto, allora?

— Tesoro, non è mai niente a posto finché il sipario non si è alzato. Lo sai bene. — Ridacchiò. — Veramente c’è stata una protesta… ma forse non dovrei dirtelo.

Si irrigidì lievemente. — Ah. Da parte di chi?

— Mila Stone. Ti ha visto andar su, è diventata bianca come un lenzuolo e se n’è andata. Non capisco perché!

Si lasciò cadere lentamente su un divano dall’aria malconcia e la guardò fisso. — Ma sì che lo capisci — disse tra i denti.

— Si trova qui per un contratto di presentazione, lo sai. Deve fare una presentazione dell’opera e dell’autore all’inizio e nell’intervallo. — Giada gli sorrise con affettata gaiezza. — Cinque minuti fa ha chiamato e ha tentato di annullare la sua presentazione. Naturalmente non può permettersi uno scherzo del genere, almeno finché lavora per la Smithfield.

Giada ammiccò, gli dette un colpetto sul braccio e spinse verso di lui una copia non cifrata del copione e poi si avviò di nuovo verso la sala. Si chiese in fretta che cosa avesse Giada contro Mila: niente di serio probabilmente. Erano state entrambe attrici: Mila aveva avuto un contratto dalla Smithfield, Giada non ci era riuscita. Era sufficiente.

Quando ebbe ripassato la scena seguente, la sua seconda entrata era ormai vicina, e si avviò di nuovo verso il palcoscenico.

Andò tutto liscio. Soltanto tre volte, nel corso del primo atto, si impuntò su qualche battuta non provata da dieci anni. Rick era pronto a suggerirgli, mentre il Maestro poteva compensare entro certi limiti le sue variazioni sul copione. Questa volta evitò di abbandonarsi al piacere della recitazione; e ora la strana sensazione di essere una cosa sola con lo schema meccanico non lo disturbò. Questa volta ricordò, ma alla prima pausa Ian Feria lo chiamò.