— Hai fatto capire chiaramente che volevi andartene.
— Bugiardo!
— Infedele!
Andarono avanti su questo tono per un po’; finalmente lui cominciò a scaraventare dentro una valigia il contenuto di alcuni cassetti.
— Abito qui, io, e intendo restarci — disse lei rabbiosa.
— Fa’ come vuoi, compagna.
— Che stai facendo?
— Sgombero, evidentemente.
La disputa continuava; eppure non c’era ancora nessun tentativo del Maestro per intromettersi. Il pasticcio era stato sistemato? O forse il suo dialogo col tenente aveva influenzato la macchina? Qualcosa era cambiato: stava diventando una buona scena, la sua migliore, finora.
Lei stava ancora infuriando, quando lui si avviò verso l’uscita. Tacque nel mezzo di una frase senza fiato… poi gridò il suo nome e si lasciò cadere sul divano, singhiozzando disperatamente. Si fermò, voltandosi, e rimase a guardarla, i pugni sui fianchi. Pian piano, si commosse. Mise giù la valigia e tornò verso di lei, il volto ancora arcigno e sospettoso.
I singhiozzi continuarono; lei alzò lo sguardo verso di lui, capì che era incapace di fuggirsene e cominciò a sorridere. Si rialzò lentamente, facendogli scivolare le braccia intorno al collo.
— Sasha… oh, mio Sasha…
Le braccia erano tiepide, le labbra umide, la donna tra le sue braccia era viva. Per un momento dubitò dei suo sensi. Lei soffocò un risolino e sussurrò: — Mi spezzi le costole.
— Mila…
— Lascia, matto… la scena! — poi, a voce alta: — Posso restare, amore?
— Sempre — rispose rauco.
— E non sarai più geloso?
— Mai più.
— E non farai più domande ogni volta che starò via un’ora o due?
— O sedici. Erano sedici ore.
— Mi dispiace. — Lo baciò, la musica irruppe e la scena fu conclusa.
— Come mai sei entrata? — le sussurrò stringendola. — Perché?
— Me l’hanno chiesto loro. A causa del Maestro. — Rise divertita. — Sembravi distrutto. Ehi, puoi lasciarmi adesso. Il sipario è calato.
L’arredamento mobile si stava spostando; si affrettarono a uscire, costeggiando un divano che scivolava via. Giada li stava aspettando.
— Magnifico! — sussurrò, stringendo loro le mani. — Era davvero magnifico.
— Grazie… grazie per avermi fatta entrare — fu la risposta di Mila.
— Vai avanti tu, Mila… le scene con Thorny, almeno.
— Non so — mormorò. — È passato tanto tempo. Chiunque avrebbe potuto andare a soggetto in questa scena del litigio.
— Puoi farcela. Rick sarà pronto a suggerirti. L’ingegnere è arrivato e stanno già trafficando intorno al Maestro. Ma credo che si raddrizzerà da solo, se gli date da guardare ancora un paio di scene come questa.
Il secondo atto era stato salvato. Le parti secondarie erano ancora un’incognita e il Maestro stava ancora tentando di rimediare secondo le reazioni del pubblico durante il primo atto; però, con una Marka umana i tentativi di rimediare avevano un effetto minore e persino le distorsioni interpretative sembravano in parte diminuite. Il Maestro stava registrando nuovi dati, man mano che lo spettacolo continuava, e ne traeva nuove indicazioni.
— Non è stato magnifico — sospirò mentre si sdraiavano per rilassarsi tra un atto e l’altro — era appena passabile.
— Il terzo atto sarà migliore, Thorny — promise Mila. — Salveremo anche quello. Soltanto il primo è andato male.
— Avrei voluto che fosse il culmine — sospirò ancora. — Avrei voluto dargli qualcosa a cui pensare, qualcosa da ricordare. E adesso stiamo lottando solo per evitare che sia un fiasco totale.
— Non è stato sempre così? Ti ammazzi per fare qualcosa di storico e poi ti ritrovi a darti da fare come un matto solo perché sia almeno passabile.
— O a volte soltanto per evitare un lancio di ortaggi.
Rise: — Jaggie diceva sempre: «Sono entrato come il piatto forte e sono uscito come un’insalata di scarto». Tacque un momento, poi aggiunse malinconicamente: — La cosa più dura è che devi mirare bene in alto per colpire quello che vuoi. Può essere persino straziante cercare di arrivare ogni volta al sublime e riuscire appena a evitare il ridicolo o la mediocrità.
— Non conta quanto tu possa mirare alto, non puoi raggiungere la velocità di fuga. L’ambizione è una traiettoria il cui punto d’impatto è nell’oblìo, per quanto il lancio sia alto.
— Sembra una citazione.
— Lo è. Dal Satyricon di un ex custode.
— Thorny…?
— Sì?
— Domani mi dispiacerà, ma adesso mi piace molto… voglio dire ritrovarsi ancora qui. Vivere un po’ nell’illusione. Ma non è bene: è oppio.
La fissò per un momento sorpreso, senza dire nulla. Forse era oppio per Mila, ma lei non vi era entrata con la folle speranza che questa serata fosse l’apice, il grande momento di un’intera vita passata in scena. Lei vi era entrata per salvare lo spettacolo, tutto questo non aveva significato per lei nei riguardi d’una carriera che aveva deliberatamente abbandonato. Lui invece aveva sperato in una grande interpretazione; ma non era grande. Se si fosse impegnato duramente nel terzo atto, avrebbe potuto essere nell’insieme al livello delle sue interpretazioni del passato. A meno che…
— Credi che qualcuno tra il pubblico abbia sospettato? Di noi, intendo.
Scosse la testa. — Non ho notato niente del genere — mormorò con aria assonnata. — La gente vede soltanto quello che si aspetta di vedere. Ma domani verranno a saperlo.
— Perché?
— La tua scena col tenente, quando hai improvvisato. Può esserci stato un critico o forse un professore là in mezzo che ha letto il testo prima dello spettacolo e che è rimasto perplesso quando hai detto quelle battute. A casa vorrà dare un’occhiata alla sua copia, giusto per essere sicuro, e scoprirà gli altarini.
— Non avrà importanza dopo.
— No.
Desiderava dormire o sonnecchiare e Thorny non parlò più. Guardandola mentre riposava, un po’ del suo amaro disappunto scomparve; era bello recitare ancora, anche se per una sola serata d’oppio. E forse era meglio non ottenere quel che aveva desiderato; era persino pronto ad ammettere che vi era stato un certo grado di pazzia nell’aver affrontato una cosa del genere.
Perfezione e sacrificio. Dal momento che la perfezione non era possibile, l’intero schema appariva come l’incubo d’un fanatico malato e ne provava vergogna. Perché lo aveva fatto… perché aveva messo in opera quel che era sempre stata una petulante fantasia, un sogno infantile? Il desiderio, più l’opportunità, più la spinta, in un traliccio di amarezza e in un momento di crisi personale… era stato sufficiente per portare quella pazzesca brama fuori da qualche piega corticale e farlo vivere in un sogno. Il sogno di un bambino.
Poi l’impulso l’aveva trascinato; i nastri manomessi, la pistola carica, il brutto scherzo alle spalle di Giada… e ora eccolo lì a combattere per impedire allo spettàcolo di cadere. Era sceso fino al fiume e si era arrampicato sul ponte per scrutare le onde nere e vorticose: e poi era tornato a scendere perché il vento avrebbe guastato il tuffo del cigno.
Tremò. Lo spaventò un poco l’idea di potersi perdere con tanta facilità. Che cosa avevano fatto gli anni: o che cosa aveva fatto a se stesso?
Forse si era conservato integro, ma a che cosa serviva l’integrità nel nulla? Aveva l’anima di un attore, vi si era aggrappato mentre gli altri la vendevano: ma gli anni avevano spazzato via il mercato e lui con esso. Era rimasto fermo sui suoi princìpi e gli anni avevano sciolto il freddo ghiacciaio della realtà su cui poggiavano; e ancora vi stava sopra, mentre la realtà correva a gettarsi nel mare. Si era dedicato al teatro vivente e aveva vegliato amorevolmente la sua bara, in attesa della resurrezione.