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Vecchio idiota, pensò, hai vacillato in mezzo a pazze fissazioni e hai barcollato in una dimensione ai limiti della pazzia. Hai preso l’irrealtà per mano e l’hai condotta eroicamente attraverso il pericolo e la confusione e finalmente l’hai sposata prima di renderti conto che era morta. Ora l’unica cosa decente da fare era seppellirla, ma la sua sepoltura non lo avrebbe in alcun modo portato indietro attraverso il pericolo e la confusione, di nuovo sulla strada. Non gli restava che andarsene. Forse era troppo tardi per costruire qualcosa per il resto dei suoi giorni: ma c’era un unico modo per scoprirlo, e il primo passo era quello di mettere tra sé e il teatro miglia di distanza.

Se una scatoletta nera svolgesse il mio lavoro, aveva detto Rick, cercherei un lavoro per costruire scatolette nere.

Thorny trasalì leggermente rendendosi conto che il tecnico intendeva proprio questo. Mila lo aveva fatto, in un certo senso; anche Giada. Specialmente Giada. Ma questa non era una risposta per lui, non in quel momento. Era restato troppo a lungo intorno alla morta a far lamentazioni e aveva bisogno di un taglio netto. Domani sarebbe stato fuori vista, sparito, fingendo di avere di nuovo ventun anni e avrebbe brancolato alla ricerca di un qualcosa da fare per il resto della vita. Come riuscire a mangiare fino a quando lo avesse trovato… questo sarebbe stato un problema urgente. Era difficile ormai trovare lavoratori non specializzati, ma era difficile anche trovare lavori non specializzati. Vendere il suo talento d’attore per scopi commerciali avrebbe funzionato solo nel caso che avesse potuto trovare uno scopo commerciale in cui credere e per cui vivere, dal momento che il suo talento non era l’abilità superficiale di un commediante. Sarebbe stata una ricerca estenuante, perché non si era mai dato la pena di interessarsi a nient’altro che al teatro.

Mila si riscosse all’improvviso. — Qualcuno mi ha chiamata? — mormorò. — Quanto fracasso…! — Si alzò a sedere guardandosi in giro.

Brontolò dubbioso. — Quanto manca ancora all’inizio? — domandò poi.

Mila si alzò improvvisamente e disse: — Giada mi sta facendo segno. Ci vediamo in scena, Thorny.

Guardò Mila allontanarsi in fretta, lanciò uno sguardo attraverso il palco fino a Giada che aspettava Mila al centro di una piccola riunione e sentì una fitta di rimorso. Sarebbe costato loro denaro, guai e sfacchinate e forse quell’interpretazione avrebbe nuociuto alle prossime repliche. Era stata una mascalzonata e ne era dispiaciuto, ma non era possibile tornare indietro e l’unico risarcimento possibile era di fare un ottimo terzo atto e poi sparire. In fretta: prima che Giada lo trovasse e organizzasse un linciaggio.

Dopo aver fissato con aria assente la piccola riunione per un momento, chiuse gli occhi e riprese a sonnecchiare. Improvvisamente li riaprì. Qualcosa nel gruppo della riunione… qualcosa di particolare. Sedette e li guardò di nuovo accigliato. Giada, Mila, Rick e Feria, e tre estranei. Niente di particolare in questo. Eccetto… vediamo… quello magro dall’aria da studioso, quello doveva essere, probabilmente, l’ingegnere programmatore. Quello dall’aspetto robusto, bovino, vestito di scuro e con lo sguardo indagatore. Thorny non riusciva a farsene un’idea… sembrava fuori posto sul palco. Il terzo aveva un’aria abbastanza familiare, ma anche lui sembrava fuori posto: un uomo piccolo e grassoccio, senza cravatta e con un grosso sigaro in bocca, sembrava più interessato alla baraonda tra le quinte che agli argomenti del gruppo. Il tizio bovino continuava a porgli delle domande e quello borbottava brevi risposte intorno al suo sigaro mentre guardava la parata dei macchinisti.

Una volta, rispondendo, tolse il sigaro di bocca e gettò una rapida occhiata in direzione di Thorny. Thorny si irrigidì, e sentì un brivido lungo la schiena. Il tizio piccolo e grassoccio era…

— L’impiegato del magazzino!

Quello che gli aveva consegnato i nastri e le scatole di calettatura e che poteva immediatamente indicare la causa dei guai, come senza dubbio stava facendo.

Doveva andarsene. Doveva andarsene in fretta. Il tizio bovino era un poliziotto o un investigatore privato, uno dei tanti assunti dalla Smithfield. Doveva correre via, doveva nascondersi, doveva… Il linciaggio.

— Non da questa parte, amico, si va in scena di qui; ma dove sta… Oh, Thorny! Non è ancora il momento di entrare.

— Mi dispiace — brontolò verso il trovarobe e si allontanò.

Le luci si attenuarono, il campanello risuonò debolmente.

— Adesso è il momento — lo richiamò il trovarobe.

Dove stava andando? E a che cosa gli sarebbe servito?

— Ehi, Thorny! Il campanello. Torna indietro. Tocca a te. Sei di prima scena… ehi!

Si fermò, voltandosi e poi tornò sui suoi passi. Entrò in scena e prese il suo posto. Lei era già là, e lo guardava stranamente mentre si avvicinava.

— Non sei stato tu a farlo, Thorny, vero? — sussurrò.

La fissò in silenzio stringendo le labbra e annuì.

Lei sembrò perplessa. Lo guardava come se non fosse più una persona, ma uno strano oggetto da studiare. Non sdegnata, o arrabbiata o virtuosa… solamente perplessa.

— Immagino di essere stato un pazzo — disse debolmente.

— Suppongo di sì.

— Però non è stato un gran danno — disse con tono speranzoso.

— La gente sbagliata ha assistito al primo atto, Thorny. Se ne sono andati.

— Gente sbagliata?

— Due produttori e un critico.

— No!

Restò come stordito. Allora smise di guardarlo e restò ferma aspettando che il sipario si alzasse; il suo viso non mostrava che una malinconica perplessità. Non era uno spettacolo suo, vi aveva dentro soltanto un manichino che le avrebbe reso un paio di assegni per diritti e adesso lei stessa come temporanea sostituta del manichino. La tristezza era per lui, che invece avrebbe capito di più lo sdegno.

Il sipario si alzò. Un mare di facce sfocate oltre le luci del palcoscenico. E lui fu Andreyev, capo di una guarnigione di polizia sovietica, servo fedele di una causa morente. Questa volta era facile immedesimarsi nella parte, costringere con decisione il proprio io nel personaggio del poliziotto russo e vivere un po’ del secolo passato. Perché l’io si sentiva più a suo agio lì dentro che non nella pelle di Ryan Thornier… una pelle che rischiava ben presto di essere mandata in conceria, a giudicare dalle occhiate furtive che arrivavano da dietro le quinte. Poteva quasi essere consigliabile restare Andreyev dopo lo spettacolo, ma questo sarebbe stato un modo sicuro per avere come compagno di camera Napoleone Bonaparte.

Non ci fu cambio di scenografia tra la prima e la seconda scena: soltanto il sipario calava per indicare un passaggio di tempo e per permettere un cambio di attori. Restò sulla scena ed ebbe un momento per pensare. I pensieri non erano affatto piacevoli.

I finanziatori se n’erano andati. Domani lo spettacolo avrebbe dovuto chiudere a meno che l’edizione telestampata del mattino del Times non portasse una recensione entusiasta: cosa che sembrava altamente improbabile.

I critici erano sazi e i sazi sono anche propensi a essere impazienti. Non sarebbero affatto stati desiderosi di dimenticare il primo atto. Lui l’aveva rovinato e non aveva possibilità di rimediare.

La vendetta non era dolce. Sapeva di marcio e di mal di stomaco.

Dagli un buon terzo atto. Non c’è nient’altro che tu possa fare. Ma anche questo non sarebbe riuscito a togliergli di bocca quel sapore disgustoso.

Perché lo hai fatto, Thorny? La voce di Rick gli arrivò come un sussurro dalla cabina attraverso l’auricolare.

Alzò gli occhi e vide che il tecnico lo fissava da una finestrella della cabina. Allargò le mani in un ampio gesto come per dire: come posso spiegartelo, che cosa posso fare?