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Continua fino in fondo, che altro? sussurrò Rick e si ritirò dalla finestrella.

L’incidente sembrava confermare che in ogni caso Giada intendeva farlo continuare fino alla fine. Difficilmente avrebbe potuto fare altrimenti; in un certo senso, c’era dentro anche lei. Se il pubblico si accorgeva che il dramma aveva un interprete umano e se ai critici non piaceva lo spettacolo, avrebbero potuto dare addosso all’impresario che aveva “perpetrato una simile assurda sostituzione…” con maggiore acredine di quanta ne avrebbero avuta contro di lui. Lei aveva puntato su Thornier, a parte il suo complotto per forzarla a puntare; lo spettacolo era suo, e sua la responsabilità, quindi gli attacchi sarebbero stati per lei. Critici, proprietari, finanziatori e pubblico… se ne fregavano della “vergogna”, se ne fregavano di scuse o ragioni. A loro interessava solo il prodotto finito e se questo non era di loro gradimento, la responsabilità cadeva su una sola persona.

E per lui? Un poliziotto che lo aspettava dietro le quinte. Perché? Non aveva studiato il codice penale, ma non riusciva a pensare a qualche piccola, chiara etichetta criminale da applicare a ciò che aveva fatto. Frode? Non senza uno scambio di denaro o proprietà, pensò. Era qualcosa di immateriale e la legge è cosa del tutto terrena; diventava confusa quando delle ragioni portavano uomini da assalti a proprietà e persone ad assalti a idee o princìpi. In questo caso passavano il carico allo psichiatra.

Forse il tizio bovino non era affatto un poliziotto. Forse era un collezionista di maniaci.

Thorny non si preoccupò molto. Il sogno si era frantumato e lui non doveva far altro che aspettare che tutti i pezzi gli cadessero attorno, fino a trovare una possibilità di tirarsi fuori da quello sfacelo. Era la fine di qualcosa che avrebbe dovuto finire anni prima e lui non poteva tirarsene fuori prima che finisse di crollare.

Il sipario si alzò. La seconda scena fu buona. Non brillante, ma sufficiente per farli smettere di masticare gomma e farli restare incollati alla sedia, assorbiti completamente da Andreyev.

La terza scena era il suo Getsemani: quando la turba assediava gli uffici pubblici mentre lui era in attesa di una parola di Marka e di una risposta alla sua offerta di una tregua con i guerriglieri. La risposta era di una sola parola.

— Niet.

La sua sentenza di morte. La parola che lo avrebbe gettato fra gli sciacalli nella strada, la parola che lo avrebbe consegnato alla turba avida. La turba aveva un sistema: stava collezionando ufficiali per farne scempio. Poteva vedere la loro collezione dalla finestra, guardando attraverso la piazza, e ne discuteva con un aiutante. Nove uomini impalati sulle punte d’acciaio della pesante inferriata di fronte agli uffici regionali del Soviet. Con le sue mille mani la turba si impossessò di un altro esemplare e lo appese con cura. Sollevarono l’esemplare, in posizione seduta, fino in cima alla punta alta sessanta centimetri e ve lo lasciarono cadere. Due esemplari ancora si contorcevano.

Lui avrebbe truffato la turba, naturalmente. Sotto, l’edificio era barricato e ci sarebbe stato tutto il tempo per incontrare la morte in privato e castamente, prima che la turba si facesse strada fino all’interno. Ma rimandava, in attesa di una parola da parte di Marka.

La parola venne. Irruppero due guardie.

— È qui, compagno, è arrivata!

Arrivata con il nemico, dicevano. Arrivata per tradirlo, per tradire lo stato. Impossibile! Ma la guardia insisteva.

Furia violenta e rifiuto di credere. Con un ringhio sommesso prese l’automatica e colpì al cuore il latore delle cattive notizie.

Al rumore del colpo di pistola, il manichino si accasciò. L’esplosione gli riportò alla mente un pensiero nascosto: la seconda cartuccia nel caricatore… non era a salve! Si era dimenticato di scaricare l’arma.

Per un istante pensò di sparare ancora una volta contro il manichino caduto per liberarsi del colpo, ma poi abbandonò l’idea e seguì il copione. Fissò la propria vittima, accasciato, lasciando che la pistola scivolasse dalle dita e cadesse a terra. Si avvicinò barcollando alla finestra per guardare oltre la piazza e si coprì il viso con le mani aspettando l’abbassarsi del sipario.

Il sipario si chiuse. Si voltò di scatto e si diresse verso la pistola.

No, Thomy, no! Sussurrò freneticamente Rick dalla cabina. Verso l’icona… l’icona!

Si fermò in mezzo al palcoscenico. Non c’era tempo per recuperare la pistola e scaricarla. Il sipario si era abbassato appena per un attimo e stava per risollevarsi. Lasciamo che sia Mila a liberarsene, pensò. Si diresse verso il reliquiario, aprendosi il colletto e scompigliandosi i capelli. Cadde in ginocchio davanti all’antica icona, relitto umano davanti al Dio di una Russia più vecchia, una Russia che era sopravvissuta tenacemente in tempi di feroce negazione, come aveva sopravvissuto in tempi di feroce affermazione.

L’anima della cultura era una cosa viva ed era sopravvissuta tanto nella disfatta che nella vittoria; non poteva essere estirpata, ma solo corrosa o cambiata lentamente dal tempo e dalla lieve erosione della pioggia sulla roccia.

Sotto l’icona vi era un busto di Lenin. E sul muro di D’Uccia c’era un busto di Harvey Smithfield, sotto le maschere dei tragici greci. I segni del tempo e i segni delle cose fuori del tempo e il cuore della cultura pulsava al ritmo dei secoli. Lui aveva resistito a una brusca svolta del tempo, ma nessun uomo poteva nuotare a lungo contro la corrente mentre questa procedeva serpeggiando nell’eternità; e le brusche deviazioni del suo corso erano illusorie… perché in realtà ogni deviazione portava sempre più in basso. Nessun uomo aveva mai aggiunto niente alla corrente, dedicando tutte le proprie forze per resistervi. La marea l’avrebbe distrutto, portandolo verso l’oblìo, mentre il mondo fluiva sopra di lui.

Marka, Boris e Piotr erano entrati in scena, e lui si era voltato guardandoli senza capire. Deridendolo con rauche risate, cominciarono a spingerlo, facendo girare per la stanza come un animale intontito incapace di reagire quello che era stato un capo altezzoso, ormai distrutto. Lui rimbalzava dall’uno all’altro mentre lo pungolavano per disperdere quel senso di ebetudine ipnotica.

— Finita la preghiera, compagno — disse Marka raccogliendo la pistola che aveva lasciato cadere.

Mentre barcollava accanto a Mila, colse l’occasione per sussurrarle in fretta: — La pistola, Mila… estrai la prima cartuccia, estraila, presto!

Era sicuro che avesse sentito, per quanto non mostrasse alcuna reazione… a meno che quel guizzare dello sguardo non fosse stato per la pistola. Aveva capito? Un attimo dopo ebbe un’altra occasione di sussurrarle: — Il prossimo colpo è vero. Gira il caricatore, estrai la pallottola.

Inciampò quando Piotr gli diede una spinta, cadde contro un pesante divano, scivolò a terra e rimase a fissarli. Piotr andò ad aprire la finestra e gridò un’offerta alla turba sottostante. Dall’esterno giunse il possente ruggito del branco. Lo trascinarono verso la finestra per mostrarlo come un trofeo.

— Hai visto, compagno? — ringhiò il guerrigliero. — Il tuo fedele uditorio ti sta aspettando.

Marka chiuse le finestre. — Non sopporto questa visione — disse piangente.

— Portatelo al suo popolo — ordinò il capo.

— No… — Marka alzò la pistola e scosse la testa con furia. — Non te lo lascerò fare. Non lo lascerò a quella turba!

Piotr ringhiò un’imprecazione. — Lo avrebbero in ogni modo. Verrebbero qui a cercarlo.

Thorny fissò l’attrice aggrottando la fronte attonito. Non aveva ancora tolto la pallottola. E il momento era vicino… un veloce colpo per salvarlo dalla turba, un po’ di calda pietà lanciatagli dalla donna che l’aveva ammaliato, che si era servita di lui e l’aveva tradito.