Rick lo fissò incredulo per un momento. — Tu credi che io… — e tossì. Divenne paonazzo dalla rabbia. Fissò il vecchio istrione e cominciò a smoccolare tra i denti.
Improvvisamente Thornier si pose un dito sulle labbra e lo zittì. Accennò con gli occhi verso il retro del teatro.
— Ma era solo D’Uccia sulle scale — incominciò a dire Rick. — Che cosa…?
— Shhhh!
Stettero in ascolto. Il custode sorrise acidamente. Un attimo più tardi accadde, dapprima un grido smorzato, poi…
Bbbrrummmpb!
Le finestrelle della cabina di controllo tremarono, Rick guardò verso l’alto con la fronte aggrottata.
— Che cosa…?
— Shhhh!
Il tonfo fu seguito da un sordo brontolio di bestemmie.
— Ma è D’Uccia. Che cosa è successo?
Il sordo brontolio divenne improvvisamente un tonante fiotto di maledizioni da qualche parte dietro le balconate.
— Ehi! — disse Rick. — Deve essersi fatto male.
— Nooo. Ha semplicemente trovato le mie dimissioni, ecco tutto. Vedi? Ti avevo detto che me ne sarei andato.
Il muggito blasfemo divenne man mano più forte, accompagnato contemporaneamente da un rimbombo di passi elefantini sulle scale ricoperte dal tappeto.
— Non è poi tanto dispiaciuto che tu vada via — grugnì Rick disorientato.
D’Uccia apparve di colpo in fondo al corridoio. Si bloccò con le gambe divaricate, una mano appoggiata al fondo della spina dorsale e con l’altra agitava un giglio dorato.
— Doratore di gigli! — urlò. — Pittore dei miei stivali! Disgraziato! Vieni fuori, spiritosone!
Thornier sporse con tutta calma la testa dalla finestrella della cabina di controllo, fissò con le sopracciglia alzate il direttore furioso. — Mi ha chiamato, signor D’Uccia?
D’Uccia sembrò soffocare un paio di volte prima di riuscire a ritrovare un po’ di fiato.
— Thornièrre!
— Sì, signore?
— Hai finito con me, hai capito?
— Che cosa ho finito, capo?
— Hai finito. Mi vado a trovare un negozio di servorobbòt. E mi compro una macchina lavapavimenti. Ti do i quindici giorni.
— Digli che non li vuoi — grugnì Rick sottovoce. — Vattene sotto il suo naso.
— D’accordo, signor D’Uccia — disse Thornier gentilmente.
D’Uccia restò fermo a farfugliare, lanciando accuse minacciose e agitando disperatamente il giglio. Alla fine lo gettò bestemmiando nel corridoio e se ne andò, zoppicando penosamente.
— Fiiiu! — sospirò Rick. — Che cosa hai combinato?
Thornier glielo raccontò con voce aspra. Il tecnico scosse la testa.
— Non ti licenzierà. Cambierà idea. È troppo difficile con i tempi che corrono trovare qualcuno che voglia fare questo sporco lavoro.
— L’hai sentito. Può comprare un’istallazione di controllo automatico. Una macchina “lavapavimenti”.
— Balle! “Dooch” è troppo tirchio per tirar fuori tanta grana. Inoltre, non potrebbe più togliersi la soddisfazione di urlare davanti a una macchina.
Thornier lo guardò di traverso. — E perché no?
— Be’… — Rick fece una pausa. — Già!… Hai ragione. Lo può fare. Una volta è venuto qui e si è messo a urlare contro il Maestro. L’ha preso a calci, insultato, scosso… come uno che cerca di riavere indietro il gettone da un telefono. Ed è riuscito ad andarsene via anche con aria soddisfatta.
— Perché no? — mormorò Thornier cupamente. — Per D’Uccia le persone sono delle macchine. E in questo è leale. Desidera trattare tutti alla stessa maniera.
— Ma non avrai per caso l’intenzione di restare qui due settimane, vero?
— Perché no? Questo mi darà tempo di saggiare il campo per trovare lavoro.
Rick grugnì dubbiosamente e rivolse l’attenzione alla macchina. Rimosse il pannello frontale superiore e lo mise da parte. Aprì un contenitore metallico posto sul pavimento e ne tolse un rotolo di nastro plastificato, del diametro di trenta centimetri e altrettanto largo. Lo montò su un perno all’interno del Maestro e cominciò a svolgere il nastro attraverso una serie di cilindri e guide. Il nastro sembrava mangiato dai vermi… coperto com’era da migliaia di piccoli punti e di solchi ondeggianti. Il custode rimase a guardare con fredda ostilità tutto il procedimento.
— È questo il nastro registrato per L’anarchico? — domandò in tono duro.
Il tecnico annuì. — Ed è anche nuovo di fabbrica. Devo stare attento a maneggiarlo. Ha ancora le sbavature per il taglio di stampa. — Fermò per un momento il meccanismo di ricarica, scalzò col punteruolo una sbavatura, vi soffiò sopra e avviò di nuovo il motore.
— Che cosa accade quando il nastro si intacca o si rompe? — borbottò interessato Thorny. — Gli attori crollano sul palcoscenico?
Rick scosse la testa. — No, è una cosa che capita spesso. Un graffio o un’irregolarità sul nastro fanno saltare all’attore qualche battuta o lo fanno magari esitare, ma poi il Maestro individua l’intoppo e rimedia. Il Maestro riceve dal palcoscenico gli impulsi e dirige minuto per minuto tutto lo spettacolo. Può fare molto per rimediare…
— Pensavo che l’intero spettacolo dipendesse dal nastro.
Il tecnico sorrise. — In un certo senso è così. Ma è più di uno spettacolo di burattini diretti da un nastro magnetico, Thorny. Il Maestro sorveglia il palcoscenico… no, più che sorvegliare, il Maestro è il palcoscenico, in versione elettronica. — Batté affettuosamente la mano sulla copertura metallica. — Chiuso qui dentro c’è il temperamento di tutti gli attori. È molto più di un controllo a distanza come molti pensano. È una macchina che dirige e crea. Ha persino dei ricevitori situati in platea per saggiare le reazioni del pubblico e…
Tacque improvvisamente vedendo la faccia del vecchio attore. Deglutì nervosamente. — Thorny, non fare quella faccia. Mi dispiace. Tieni, prendi una sigaretta.
Thorny la prese con mani tremanti. Con gli occhi socchiusi, fissò il labirinto rilucente dei circuiti, osservò il nastro srotolarsi lentamente sui rulli per poi scendere nelle viscere del Maestro.
— Arte! — sibilò. — Teatro! In che cosa ti sei specializzato, Richard? In ingegneria drammatica?
Scosso da un tremito, uscì dalla cabina. Rick ascoltò il rumore rabbioso dei suoi tacchi sulla scaletta di ferro che scendeva dal palcoscenico. Scosse la testa con tristezza, si strinse nelle spalle e tornò a dedicarsi al controllo del nastro in cerca di irregolarità.
Dopo pochi minuti Thorny fu lì di nuovo con secchio e scopa. Aveva l’aspetto di un pentito riluttante. — Mi dispiace, amico — brontolò. — Lo so che cerchi solamente di guadagnarti la vita, e…
— Lascia perdere — tagliò corto Rick.
— È solo… cioè… è questo spettacolo in particolare che mi prende.
— Questo?… Vuoi dire L’anarchico? Perché, Thorny? L’hai forse recitato?
— Mmmm. Non è stato più rappresentato fin dal Novanta, eccetto… be’, dieci anni fa stava per essere ripresentato. L’abbiamo provato per settimane. Lo spettacolo è fallito prima dell’andata in scena. Finiti i soldi.
— Avevi una bella parte?
— Dovevo interpretare la parte di Andreyev — rispose Thornier con un sorriso triste.
Rick fischiò tra i denti. — Il protagonista. Peccato. — Alzò i piedi per permettere a Thorny di passarvi sotto la scopa. — Una grande delusione, immagino.
— Non è questo. È solo che… be’… fu proprio durante le prove dell’Anarchico che Mila e io ci trovammo per l’ultima volta insieme sul palcoscenico. Tutto qui.
— Mila? — Il tecnico tacque corrugando la fronte. — Mila Stone?