Gene Wolfe
Il miracolo nei tuoi occhi
«Io non ricordo chi sia costui.»
Vincitore di due premi Nebula (nel 1974 con «The Death of Dr. Island» e nel 1982 con il romanzo L’artiglio del conciliatore) e autore dell’acclamatissimo ciclo del Nuovo Sole, Gene Wolfe è indubbiamente uno tra i massimi talenti della sf odierna.
Questo romanzo breve, una storia calda e sensibile, perfetta dal punto di vista stilistico, narra di un ragazzo con strani poteri che è un reietto in mondo futuro irregimentato in un apparente utopia. Una trama che suona familiare forse, ma vedrete quali sorprese è in grado di produrre Wolfe partendo da questi triti elementi.
Little Tib sentì arrivare il treno quand’era ancora molto lontano, e a udirlo furono i suoi piedi. Uscì dai binari e si fermò su una traversina di cemento, in ascolto. Poi appoggiò un orecchio su uno di quei nastri senza fine e lasciò che la canzone dell’acciaio si facesse vicina, sempre più vicina. Soltanto quando cominciò a sentir tremare il terreno rialzò la testa e scese giù dalla scarpata fra le lunghe erbe spinose, tastando il suolo davanti a sé con il bastone.
La cima del bastone produsse uno sciacquio. Lui non poté udirlo perché il rumore del treno era diventato un ruggito tonante; ma conosceva quel contatto, l’ingannevole sensazione di resistenza che il liquido trasmetteva all’esplorazione del bastone. Si chinò a tastare il punto in cui avrebbe potuto poggiare le ginocchia e lo sentì sgombro. C’era del terricio ma niente vetri rotti. In ginocchio annusò l’acqua: sapeva di buono ed era fresca sotto le dita, così bevve piegandosi sulla superficie e succhiandola con le labbra, poi se ne spruzzò un poco sul viso e sul collo.
— Ehi! — lo chiamò una voce autoritaria. — Ehi tu, ragazzo!
Little Tib si raddrizzò e raccolse il bastone. Quella, pensò, doveva essere Sugarland. Con un fremito disse: — Lei è un poliziotto, signore?
— Io sono il sovrintendente.
Era praticamente la stessa cosa. Little Tib girò la testa perché la voce potesse vederlo in faccia. Spesso aveva immaginato di giungere in Sugarland, e di cosa sarebbe successo una volta lì; ma non era mai stato a chiedersi quel che avrebbe detto a chi l’avesse fermato. Rispose: — La mia carta di… — Tacque. Il treno stava sempre sferragliando via, non molto lontano.
Un’altra voce disse: — Adesso non spaventi quel ragazzo. — Non era autoritaria questa; aveva un tono serio e responsabile.
— Tu dovresti essere a scuola, giovanotto — lo arringò la prima voce. — Sai chi sono io?
Little Tib annuì: — Il sovrintendente.
— Proprio così, sono il sovrintendente. Sono Mr. Parker, in persona. E il tuo insegnante deve avermi già parlato di te, ne sono certo.
— Avanti, non spaventi il ragazzo — disse ancora la seconda voce. — Cosa le ha fatto di male?
— Ha marinato la scuola: è così che dicono i ragazzi fra loro. Noi non usiamo questo termine, naturalmente. Sarai stato registrato assente. Come ti chiami?
— George Tibbs.
— Capisco. Io sono Mr. Parker, il sovrintendente. Questo è il mio aiutante; il suo nome è Nitty.
— Salve — disse Little Tib.
— Mr. Parker, forse a questo ragazzo assente piacerebbe mangiare qualcosa. Mi ha l’aria di essere assente da parecchio.
— Per pescare — disse Mr. Parker. — Credo sia questo che fa la maggior parte di loro.
— Tu non puoi vedere, è così? — Una mano si chiuse su un braccio di Little Tib. Era larga e dura, ma non ostile. — Attraversa da qui; c’è una pietra nel mezzo… coraggio.
Little Tib trovò il sasso con il bastone e vi poggiò un piede. La mano lo sostenne con forza. Per qualche istante si equilibrò sulla pietra, con il bastone nell’acqua, toccandone il fondo per rassicurarsi. — Ora un passo lungo. — Le sue scarpe giunsero all’asciutto sul terreno dall’altra parte. — Abbiamo messo il campo a poca distanza da qui. Mr. Parker, non pensa che a questo ragazzo assente piacerebbe una brioscia dolce?
Little Tib azzardò: — Sì, mi piacerebbe.
— Anche a me — disse Nitty.
— Allora, giovanotto, perché non sei a scuola?
— E come potrebbe vedere la lavagna?
— Abbiamo attrezzature speciali per i ciechi, Nitty. Alla Grovehurst c’è una classe studiata apposta per ovviare alla loro menomazione. In questo momento non ricordo il nome dell’insegnante, ma è una giovane donna molto ben preparata.
Little Tib chiese: — Grovehurst è a Sugarland?
— Grovehurst è a Martinsburg — disse Mr. Parker. — Io sono il sovrintentende della Scuola Pubblica di Martinsburg. A che distanza siamo da Martinsburg, Nitty?
— Due o trecento chilometri, suppongo.
— Ti iscriveremo a quella classe non appena tornati a Martinsburg, giovanotto.
— Mi permetto di ricordarle — intervenne Nitty, — che stiamo andando a Macon.
— Suppongo che i tuoi documenti siano in ordine, no? Il tuo libretto d’iscrizione alla scuola precedente? Il permesso d’uscita, il certificato di nascita, e la tua carta retinica della Riserva Federale?
Little Tib sedette senza dir niente. Qualcuno gli mise in mano una pasta appiccicosa, ma non se la portò alla bocca.
— Mr. Parker, credo che non abbia documenti.
— Questa è una grave…
— Perché dovrebbe avere dei documenti? Non ha nessun cane!
Little Tib cominciò a piangere. — Vedo! — disse Mr. Parker. — È cieco. Nitty, credo che le sue retine siano state distrutte. Di conseguenza non esiste affatto.
— Al diavolo, se non esiste!
— Un fantasma. Ciò che vediamo è un fantasma, Nitty. Socialmente non è reale… è stato privato dell’esistenza.
— Io non ho mai visto un fantasma in vita mia.
— Tu, sciocco bastardo! — esplose Mr. Parker.
— Non deve parlarmi in questo modo, Mr. Parker.
— Sciocco bastardo! È una vita intera che ho attorno soltanto degli sciocchi bastardi come te! — Anche Mr. Parker stava piangendo, adesso. Little Tib sentì una delle sue lacrime cadergli su una mano, grossa e calda. Pian piano smise di singhiozzare, poi tirò su con il naso. Sentir piangere un adulto, un uomo, era cosa fuori da ogni sua esperienza. Si portò alla bocca la brioscia e la assaggiò, sperando che sotto la crosta zuccherosa ci fosse anche l’uva secca.
— Mr. Parker… — mormorò Nitty. — Mr. Parker!
Dopo un po’ Mr. Parker disse: — Sì?
— Questo ragazzo… questo George potrebbe riuscire a prenderle, Mr. Parker. Lei ricorda quando ci siamo avvicinati a quell’edificio? Abbiamo girato tutto intorno. E c’era quella finestra, quella vecchia finestra con le sbarre di ferro e la serratura rotta. Io la spinsi e il vetro si mosse, l’avete visto. Ma né io né lei saremmo riusciti a entrare attraverso quelle sbarre.
— Questo ragazzo è cieco, Nitty — disse Mr. Parker.
— Certo, Mr. Parker. Ma lei sa com’era buio là dentro. Un uomo cosa farebbe? Accenderebbe la luce? No, magari userebbe una torcia elettrica incappucciata con del nastro adesivo, con una piccola fessura per lasciar uscire appena un raggio sottile. Ma un cieco potrebbe fare di più, senza luce, che un altro con un lucignolo così debole. Penso che lui sia ormai abituato alla cecità. Credo che sia capace di andare dove vuole anche senza gli occhi.
Una mano si poggiò su una spalla di Little Tib. Gli parve più piccola e morbida di quella che l’aveva aiutato ad attraversare il ruscello. — È un pazzo — disse la voce di Mr. Parker. — Questo Nitty è un pazzo. Lo sono anch’io; ma lui è pazzo più di me.