Era quasi sul punto di mettersi a piangere quando notò la frutta. Pendeva sotto le foglie ed era d’oro anch’essa, ma per dei frutti quello non era un colore innaturale: avevano l’aspetto di grosse mele. Little Tib si chiese se sarebbe stato capace di staccarle dagli alberi, e la prima che toccò gli cadde fra le mani. Non era abbastanza pesante da sembrare solida. Dopo qualche istante vide che le due metà erano avvitate l’una sull’altra. Sedette sull’erba, che nel frattempo era diventata vera erba o un tappeto spesso e verde, e la aprì. Nell’interno c’era un pezzo di carne e un po’ di verdura, ma quel cibo era troppo caldo per poter essere mangiato. Vi rovistò dentro sperando di trovare qualcosa di più commestibile, ma non c’era altro che carne quasi arroventata e verdura così bollente che mettersela in bocca era impossibile.
Infine trovò una piccola tazza con il coperchio. Dentro c’era un po’ di tè, così caldo che gli bruciò le labbra, ma lui cercò di berne ugualmente un sorso. Deposta la tazza si alzò e proseguì attraverso quella foresta d’oro e d’argento, sperando di trovare un posto migliore. Tutti gli alberi però svanirono di colpo, e si ritrovò immerso nella tenebra. I miei occhi sono andati, pensò, mi sto svegliando. Poi vide più avanti un circolo di luce, risentì il tramestio, e seppe che non si trattava di sassi che rimbalzavano al suolo bensì di picconi, centinaia e centinaia, che scavavano l’oro nelle miniere degli gnomi.
Il cerchio di luce si allargò… ma nello stesso tempo si fece più scuro, come se in esso crescesse un’ombra a forma di stella. Poi l’ombra si solidificò nel corpo di uno gnomo che veniva verso di lui. E subito ce ne fu un intero esercito: l’uno esattamente dietro l’altro e con le braccia allargate in fuori, cosicché quell’immagine sembrava un solo gnomo con mille braccia, tutte protese per afferrare lui.
In quel momento si svegliò, e ogni cosa svanì nel buio.
Si alzò a sedere. — Finalmente ti sei svegliato, — disse Nitty.
— Sì.
— Come ti senti?
Little Tib non rispose; stava cercando di capire dov’era. Sotto di lui c’era un letto, dietro la schiena aveva un guanciale, e le sue mani sentirono un lenzuolo fresco e ben stirato. Ricordando che la dottoressa aveva parlato di un ospedale domandò: — Sono all’ospedale?
— No, siamo in un motel. Come stai?
— Bene, credo.
— Ricordi di esserti messo a ballare sul vuoto, nell’aria?
— Pensavo di essermelo sognato.
— Be’, per un attimo ho creduto anch’io di sognare… ma lo stavi facendo davvero. L’hanno visto tutti, quelli che erano lì vicino quando l’hai fatto. E poi, dopo che tornasti abbastanza vicino perché potessimo afferrarti e rimetterti con i piedi per terra, il Dr. Prithivi ti ha fatto rientrare nell’autobus.
— Questo lo ricordo — disse Little Tib.
— Poi ha spiegato qualcosa del suo lavoro e della sua religione, e ha chiesto delle offerte alla gente, ma intanto ti eri addormentato. Scottavi ancora di febbre, e Mr. Parker ed io abbiamo preferito non svegliarti.
— Ho sognato — disse Little Tib, e raccontò a Nitty del suo strano delirio onirico.
— Quando ti è sembrato di bere del tè, quella era la medicina che io ti stavo dando, ecco quel che penso. Solo che non era tè caldo, era acqua fredda. E quello lì non è stato un sogno, era un incubo.
— Non mi è sembrato tanto spiacevole — disse Little Tib. — Il Re era davvero lì, e avrei potuto parlargli e spiegargli quello che era successo. — Le sue mani scopersero l’esistenza di un tavolino a fianco del letto; sopra c’era una lampada. Pur sapendo che non l’avrebbe vista illuminarsi cercò l’interruttore e lo fece scattare. — Come siamo arrivati qui? — domandò.
— Be’, dopo la colletta, quando tutti se ne furono andati, quel Dr. Prithivi insisteva per svegliarti e parlare con te. Ma Mr. Parker ed io gli abbiamo detto che non glielo avremmo permesso, e che intanto ti serviva un posto per dormire. Così lui ha trasferito un po’ di denaro sul conto di Mr. Parker, e abbiamo potuto affittare questa stanza. In quanto a lui, dice che deve dormire sul suo autobus per accudire a quel Deva.
— E adesso è lì?
— No, è giù in città a parlare con la gente. Ancora non te l’ho detto, ma questo è successo ieri l’altro. Hai dormito un giorno intero, e anche qualcosa di più.
— Dov’è Mr. Parker?
— Si sta guardando in giro.
— Vuole vedere se il cantenaccio di quella finestra è ancora rotto, vero? E se le sbarre sono abbastanza larghe da lasciarmi passare.
— Questa è una delle cose, sì.
— Sono contento che tu sia rimasto con me.
— Si suppone che io debba avvertire il Dr. Prithivi appena sei sveglio. Questo è il nostro patto.
— Ma saresti rimasto lo stesso, vero? — Little Tib mise le gambe giù dal letto. Quella era la prima volta che si trovava in un motel, anche se non l’avrebbe voluto confessare, ed era ansioso di esplorarlo.
— Qualcuno avrebbe dovuto comunque restare con te. — Little Tib sentì le lievi note musicali di tasti telefonici che venivano premuti.
Più tardi giunse il Dr. Prithivi, e subito fece sedere Little Tib su una grossa seggiola dai braccioli imbottiti. Lui gli parlò del motivo che lo aveva spinto a ballare, e di ciò che aveva provato.
— Credo che tu possa vederci un poco. Non sei completamente cieco.
— No — disse lui, e Nitty aggiunse: — A Howard la dottoressa ci ha detto che non ha le retine. Come può vederci uno che non ha le retine?
— Ah, ora capisco. Allora qualcuno ti ha detto del mio autobus… dei disegni che ho fatto sulle fiancate. Sì, dev’essere così. Te ne hanno mai parlato, vero?
— Parlato di cosa? — chiese Little Tib.
Rivolto a Nitty il Dr. Prithivi disse: — Hai descritto a questo bambino i disegni che ci sono sul mio autobus?
— No — rispose Nitty. — Quando siamo saliti li ho guardati, però non gliene ho parlato.
— Già, credo anch’io. È poco probabile che li abbiate visti prima del momento in cui mi fermai per darvi un passaggio, e da allora siete sempre rimasti in mia presenza. Malgrado ciò, su una fiancata del mio bus c’è un disegno che rappresenta un uomo con la testa di leone. È Vishnù che distrugge il demone Hiranyakasipu. Non è eccezionale che un bambino, appena arrivato su un veicolo con un tale disegno, sia condotto a danzare nell’aria da un’entità dalla testa di leone? Inoltre è stato Vishnù a fare il giro dell’universo in due passi: questa è anch’essa una danza nell’aria, forse.
— Uh-uh! — borbottò Nitty. — Ma George, qui, non può aver visto quel disegno.
— Ma forse il disegno ha visto lui… questo è il punto che stai trascurando. Tuttavia, il leone ha molti significati diversi. Fra gli ebrei è il simbolo della tribù di Giuda: questa è la ragione per cui l’Imperatore d’Etiopia veniva chiamto il Leone di Giuda. Anche il figlio adottivo di Maometto, il cuo nome mi sfugge ogni volta che ne parlo, era conosciuto come il Leone di Dio. La cristianità stessa è ricca di leoni. Hai forse notato che ho domandato al ragazzo, in particolare, se il leone da lui visto aveva le ali. L’ho fatto perché il leone alato è l’emblema di San Marco. Ma un leone senza ali indica il Cristo… questo in base all’antica credenza secondo cui i piccoli del leone nascono morti, ed è la leonessa che leccandoli li porta alla vita. Nelle opere di Sir C.S. Lewis il leone compare a questo modo. E nella preghiera rivelata a Santa Brigida di Svezia, il Cristo è detto: Forte leone, immortale ed invincibile Re.
— Ed è il leone quello che giacerà con l’agnello quando verrà il tempo — disse Nitty. — Forse non so molto di queste cose, ma un po’ ho letto anch’io. E l’agnello è una delle immagini di Gesù. Anche il bambino è un’immagine di Gesù.