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— Niente mi succederebbe. Se sto bene, sto bene. Tu credi che sia Gesù o qualcosa di simile. Comunque, dopo la morte di Gesù non accadde nulla alla gente che lui aveva curato, no?

— Non lo so — disse Nitty. — Questo non è scritto.

— E poi perché dovrebbe andarsene? Noi ci prenderemo cura di lui, non è così?

— Certo che è così.

— Allora sei a posto. Quel costume glielo metterai addosso prima di uscire?

— Aspetterò finché voi due non sarete dentro l’edificio. Poi, quando lui ne verrà fuori, lo riporterò qui per vestirlo e andremo al raduno.

Little Tib sentì il rumore caratteristico delle saracinesche quando Mr. Parker tirò su quella della finestra: un ritmico mitragliare di colpetti. L’uomo chiese: — Pensi che farà abbastanza buio a! momento in cui arriveremo là?

— No.

— Credo che tu abbia ragione. La finestra ha sempre la serratura rotta, e direi che lui riuscirà a passare attraverso le sbarre. Quanto tempo è passato da quando l’abbiamo esaminata? Tre anni?

— Fu l’anno scorso — disse Nitty. — L’estate scorsa.

— Mi è parsa identica. George, tutto ciò che tu dovrai fare è di darmi il modo di entrare nell’edificio. Ma è necessario che io entri dalla porta del municipio solo quando non ci sarà gente che possa vedermi. Capisci?

Little Tib disse che aveva compreso.

— Dunque, l’edificio è vecchio, e tutte le finestre del pianterreno hanno le sbarre, perciò anche se tu aprissi per me una di quelle io non potrei entrare. Ma c’è una porticina secondaria, usata solo come ingresso di servizio, e questa è chiusa all’esterno con un solido lucchetto. Io voglio che tu cerchi la chiave del lucchetto, e che me la consegni attraverso la finestra.

— Dov’è il computer? — chiese Little Tib.

— Questo non importa… mi occuperò io del computer. Il tuo compito sarà solo quello di farmi entrare.

— Voglio sapere dov’è — insistette Little Tib.

— Perché mai? — chiese Nitty.

— È una cosa che mi fa paura.

— Non può farti alcun male — disse Nitty. — È solo un grosso mastica-numeri. Comunque, la notte viene spento. Non è vero, Mr. Parker?

— A meno che non stiano facendo del lavoro straordinario.

— Be’, in ogni modo non devi averne paura — ripeté Nitty.

Poi Mr. Parker spiegò a Little Tib dove pensava fossero le chiavi della porticina laterale, e disse che se non le avesse trovate avrebbe dovuto aprirgli dall’interno la porta principale. Nitty gli chiese se aveva voglia d’ascoltare un po’ la televisione, quindi accesero l’apparecchio su un canale che trasmetteva uno show di musica Western e Country, finché non venne l’ora di andare. Con Nitty che teneva Little Tib per mano i tre s’incamminarono per le strade della città. Il ragazzino avvertiva la tensione nelle dita che stringevano le sue. Sapeva che Nitty stava pensando a ciò che sarebbe stato di loro se qualcuno li avesse scoperti. Sentendo in distanza della musica (non i ritmi Country e Western che aveva trasmesso la televisione) e per distrarre un poco Nitty dalle sue preoccupazioni gli chiese che cosa fosse.

— Quello è il Dr. Prithivi — rispose Nitty. — Sta facendo musica per chiamare gente, così avrà degli spettatori per il suo sermone e per lo spettacolo in costume.

— La sta suonando lui?

— No, è roba che ha registrato. C’è un altoparlante sul tetto dell’autobus.

Little Tib tese gli orecchi. La musica doveva essere piuttosto distante, ma echeggiava come se fosse molto più lontana di quel che era. Quasi che non appartenesse affatto alla città di Martinsburg. Ne domandò a Nitty il motivo.

Fu Mr. Parker a rispondere: — Quella che tu avverti è una lontananza nel tempo, George. La musica indiana per flauto risale, forse, al V secolo prima di Cristo. Oppure anche al XV. È come una creatura antichissima che si è dimenticata di morire, e ancora vaga come un fantasma sulla Terra.

— Ma qui non è mai venuta prima d’ora, vero? — chiese Little Tib. Mr. Parker disse che aveva certo indovinato, e lui osservò: — Allora non può essere poi tanto antica. — Mr. Parker rise, ma Little Tib ripensò al periodo in cui la donna che abitava in fondo alla strada aveva avuto il suo ultimo bambino. Era un esserino fiacco, piccolo e sdentato, come sua nonna, e lui aveva creduto che fosse vecchio. Poi qualcuno gli aveva spiegato che invece era qualcosa di nuovo, e che sarebbe vissuto anche fin dopo che la madre fosse morta di vecchiaia. Si domandò chi altro sarebbe sopravvissuto tanto a lungo… Mr. Parker e il Dr. Prithivi?

Svoltarono un angolo. — È appena un po’ più avanti — mormorò Nitty.

— C’è gente che ci sta guardando, qui?

— Non preoccuparti. Non faremo niente finché c’è gente in vista.

D’improvviso sentì le mani di Mr. Parker che gli tastavano le spalle e i fianchi. — Sì, dovrebbe passare — disse l’uomo, — snello com’è.

Girarono un altro angolo, e sotto i piedi di Little Tib ci furono foglie morte o vecchi giornali. — Certo che è buio, qui — sussurrò Nitty.

— Come vedi — disse Mr. Parker, — nessuno può scoprirci. Ecco, è qui, George. — Prese una mano di Little Tib e la sollevò, facendogli toccare una sbarra. — Allora, ricapitoliamo: attraverso il magazzino, poi attraverso il salone principale, girare a destra, oltrepassare sei porte… almeno, ne ricordo sei, poi giù per una breve rampa di scale. Lì c’è la porta del locale caldaie, e contro il muro alla tua destra troverai il banco del portinaio. Le chiavi devono essere appese a un gancio accanto al banco. Portale qui e dammele. Se non le troverai, torna qui lo stesso e ti dirò come arrivare alla porta principale e aprirla.

— Le chiavi le rimetterà a posto lei? — chiese Little Tib. Stava infilando la gamba sinistra fra le sbarre, cosa che non presentò difficoltà. I suoi fianchi scivolarono dentro, e sentì l’imposta pesante e scrostata ruotare all’interno sotto la pressione del ginocchio.

— Sì, la prima cosa che farò dopo che mi avrai fatto entrare sarà di andare nel locale caldaie a rimettere le chiavi a posto.

— Benissimo — disse Little Tib. Sua madre gli aveva detto che rubare era male, benché da quand’era fuggito di casa avesse più volte sgraffignato del cibo.

Per un poco ebbe paura di strapparsi via un orecchio, poi finalmente la testa passò. Sentì il lieve tonfo della finestra contro la parete, quindi sotto i suoi piedi ci fu il pavimento. Avrebbe voluto chiedere a Mr. Parker dove fosse la porta del suo ufficio, ma questo gli avrebbe forse fatto pensare che aveva paura. Poggiò una mano sul muro, protese l’altro braccio e cominciò ad avanzare a tentoni. Gli sarebbe piaciuto avere il suo bastone, ma in quel momento non riusciva a ricordare dove l’avesse lasciato.

— Permetti che ti faccia strada io.

Era l’ometto dall’aria più buffa che Little Tib avesse visto.

— Io sono molle. Se vado a sbattere contro qualcosa non mi farò male.

Non era per nulla un uomo, pensò Little Tib. Soltanto un vestito raffazzonato, e una testa pitturata in alto sopra di esso. — Perché riesco a vederti? — chiese Little Tib.

— Tu sei al buio, non è così?

— Penso di sì — rispose Little Tib. — Non posso dirlo.

— Infatti. Adesso, quando la gente che ci vede è alla luce, può vedere le cose che le stanno attorno. E quando è al buio non può vederle. È giusto o no?

— Suppongo di sì.

— Ma quando tu sei alla luce, non puoi vedere le cose che sono lì. Perciò è naturale che quando sei al buio tu veda cose che non ci sono. Capisci com’è semplice?