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— Sì — disse Little Tib, che non aveva capito affatto.

— Ora te lo dimostro. Guarda: questo lo puoi vedere, e non si tratta certo di una cosa semplice. — Il Vestito-Uomo aveva messo una mano (un vecchio guanto, notò lui) sulla maniglia di una grossa porta metallica, e nell’istante in cui l’aveva toccata anche Little Tib era riuscito a vederla. — È chiusa — disse il Vestito-Uomo.

Little Tib stava ancora riflettendo su quello che l’altro aveva detto prima. — Sei davvero abile — disse al Vestito-Uomo.

— Questo è perché possiedo il miglior cervello del mondo. Mi è stato dato dal grande e potente Stregone in persona.

— Sei più intelligente del computer?

— Molto, molto più intelligente del computer. Ma non so come si apre questa porta.

— Ci hai provato?

— Be’, ho premuto la maniglia… solo che non si muove. E ho cercato di spingere. Questo è provare, suppongo.

— Penso anch’io — disse Little Tib.

— Ah, tu stai pensando… questo è bene. — Little Tib era davanti alla porta, e il Vestito-Uomo si scostò per lasciargliela toccare. — Se tu avessi le pantofole di rubino — continuò, — potresti sbattere i tacchi tre volte, esprimere il desiderio di passare dall’altra parte, e ci saresti in un batter d’occhio. Ma naturalmente tu sei dall’altra parte.

— No, che non ci sono — replicò Little Tib.

— Sì, ci sei — insistette il Vestito-Uomo. — Tu vorresti essere di là: di conseguenza questa è l’altra parte.

— Vorrei — ammise Little Tib. — Però non posso oltrepassare questa porta.

— Non devi farlo, adesso — disse il Vestito-Uomo. — Sei già dall’altra parte. Solo, bada a non inciampare negli scalini.

— Quali scalini? — chiese Little Tib, e nel parlare fece un passo indietro. I suoi calcagni urtarono in qualcosa che non s’era aspettato, e cadde a sedere su qualcos’altro la cui altezza era superiore a quella del pavimento su cui era passato poco prima.

— Questi scalini — rispose con calma il Vestito-Uomo.

Little Tib li stava tastando con le mani. Erano in ruvida pietra con l’orlo metallico, e continuavano ad essere solidi sotto le sue dita come lo erano stati sotto il suo sedere quando vi era caduto. — Non ricordo di essere sceso per questa scala — si lamentò.

— E non l’hai fatto. Ma devi salirla per arrivare alla sala di sopra.

— Quale sala di sopra?

— Quella la cui porta si apre nel corridoio — lo informò il Vestito-Uomo. — Devi passare dal corridoio, girare come ti è stato detto e…

— Lo so — disse Little Tib. — Mr. Parker me l’ha detto e ripetuto. Ma non mi ha parlato di questa porta chiusa, né di questi scalini.

— Dev’essere perché Mr. Parker non si ricorda l’interno di questo edificio esattamente come credeva.

— Lui lavorava qui: così ha detto. — Little Tib cominciò a salire. Da una parte c’era una ringhiera. Temeva che se non avesse continuato a parlare con il Vestito-Uomo lui se ne sarebbe andato. Ma non riusciva a pensare a niente da dire. Tuttavia il suo compagno non sparì. Poi rammentò che il leone non aveva parlato affatto.

— Potrei trovare le chiavi per te — disse il Vestito-Uomo. — Potrei portartele qui.

— Non voglio che tu vada via — protestò Little Tib.

— Ci vorrà solo un momento. Io non faccio che cadere, ma le chiavi non si romperanno.

— No — disse Little Tib. Il Vestito-Uomo parve così ferito che aggiunse: — Ho paura…

— Non puoi aver paura del buio. Hai paura di restare solo?

— Un poco. Ma ho paura che tu non possa portarmele sul serio. Ho paura che tu non sia vero, e io voglio che tu sia vero.

— Posso portartele. — Il Vestito-Uomo sporse il torace e assunse una posa eroica, ma l’erba secca che riempiva il suo abito mandò un triste fruscio. — Io sono vero. Mettimi alla prova.

C’era un’altra porta: le dita di Little Tib la trovarono. Questa non era chiusa, e quando la oltrepassò la pietra grezza lasciò il posto a un pavimento liscio. — Anch’io sono vero — disse una voce sconosciuta. Il Vestito-Uomo era ancora lì accanto, ma a quella frase sembrò farsi più evanescente.

— Chi sei tu? — chiese Little Tib. Ci fu un rumore cupo come un tuono lontano. La strana voce gli era parsa detestabile fin dal primo istante, ma quando sentì quel tuonare la odiò ancora di più. Non era veramente un tuono, pensò. Gli ricordava il sogno sugli gnomi, ed era qualcosa di ancora più spiacevole: come il brontolio d’immense pietre che si masticassero l’una con l’alti a in fondo al più cupo abisso del mondo. Anzi, perfino peggio di questo.

— Non andrei là dentro se fossi te… — disse il Vestito-Uomo.

— Se le chiavi sono là, devo entrare a prenderle — replicò Little Tib.

— Non sono affatto là. In realtà non sono neppure nelle vicinanze… si trovano parecchie porte più avanti. Tutto ciò che devi fare è di oltrepassare la porta.

— Chi è?

— È il computer — gli rivelò il Vestito-Uomo.

— Non credevo che i computer parlassero a questo modo.

— Parlano solo a te. E non tutti lo fanno Tu non entrare, e il resto andrà bene.

— E se lui uscisse per seguirmi?

— Non lo farà. Ha paura di te, come tu hai paura di lui.

— Non entrerò — promise Little Tib.

Ma appena ebbe oltrepassato la porta dov’era la cosa, udì un grugnito come se essa fosse in preda alla tortura; allora si volse ed entrò in quella stanza. Trovarsi lì dentro lo spaventava, e tuttavia sapeva di non essere nel posto sbagliato: aveva fatto la cosa giusta, evitando un errore. Comunque, questo non diminuiva il suo spavento. La voce orribile disse: — Tu cos’hai a che spartire con noi? Sei venuto a tormentarci?

— Qual è il tuo nome? — chiese Little Tib.

Il rumore di tuoni che rotolavano in abissi lontani tornò a farsi sentire, e stavolta Little Tib ebbe l’impressione di udire in esso il suono di molte voci, centinaia o migliaia, che parlavano tutte insieme.

— Rispondimi — disse Little Tib. Avanzò finché non sentì sotto le mani i pannelli metallici della macchina. Era spaurito, ma sapeva che il Vestito-Uomo aveva ragione: anche il computer aveva l’identico timore di lui. Avvertiva la presenza del Vestito-Uomo alle sue spalle e si chiese se avrebbe osato tanto senza nessuno che lo proteggesse.

— Noi siamo legioni — disse l’orrenda voce. — Siamo moltissimi.

— Andate via! — Ci fu un gemito che avrebbe potuto stridere fuori dalle profondità della Terra. Un oggetto di vetro, che doveva far parte dell’arredamento del locale, cadde al suolo e andò in frantumi.

— Se ne sono andati — disse il Vestito-Uomo. Sedette sulla consolle del computer davanti a lui, e Little Tib vide che era più nitido e concreto ti prima.

— Dove sono andati? — domandò.

— Non lo so. È probabile che tu li incontri ancora. — E come a un’improvvisa riflessione aggiunse: — Sei stato molto bravo.

— Avevo paura. Ho ancora paura… più di quanta ne abbia mai avuta da quando sono scappato dalla casa nuova.

— Vorrei poterti dire che non devi aver paura di loro — sospirò il Vestito-Uomo, — né di nessun altro. Ma non sarebbe vero. Tuttavia posso dirti qualcosa di meglio: alla fine, stanne certo, tutto si risolverà bene. — Si tolse il floscio cappello nero, e Little Tib vide che la sua testa calva era davvero fatta in tela di sacco. — Poco fa non hai voluto lasciare che ti portassi le chiavi, ma ora che ne dici? O avrai paura quando non sarò più qui?

— No — disse Little Tib, — ma prenderò le chiavi da solo.

Ad un tratto il Vestito-Uomo scomparve. Little Tib restò con la sola percezione del liscio e freddo metallo del computer sotto le dita. Nella tenebra che lo circondava quella era l’unica realtà.