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— Ci sono costretta.

Lui si chinò a toccarle una gamba. Abbassare la testa lo fece sentire strano. C’era un suono squillante, irreale, che sembrava aleggiare intorno e dentro di lui. Sentì con le dita l’orlo della gonna della ragazzina, poi la sua gamba, calda e asciutta, quindi un oggetto di gomma con delle parti metalliche, e strisce che gli ricordavano il collo dell’uomo di rame su tutti i lati. Le seguì con la mano e dentro di esse ritrovò la gamba di lei, ma era perfino più sottile del suo braccio.

— Attenti che non le faccia male — disse la donna.

Nitty disse: — Non le fa nessun male. Di che ha paura? Un ragazzino così!

Lui pensò alle proprie gambe che camminavano sul sentiero, che saltellavano fra i fiori verso la città verde. La gamba della ragazzina era come le sue, era più grossa di come l’aveva sentita, diventava sempre più grossa sotto le sue dita.

— Vieni — disse lei. — Mamma mi ha lasciato portare qui Virginia Jane. Vuoi vederla? — Bam. — Mamma, posso sciogliermi le cinghie?

— No, cara.

— Ma a casa tu me le togli sempre.

— Solo quando vai a letto, tesoro, o quando ti faccio il bagno.

— Ma non ne ho più bisogno, mamma. Vedi? Adesso mi stringono.

La donna urlò. Little Tib si coprì gli orecchi. Quando ancora vivevano nella vecchia casa, e sua madre e suo padre gridavano, lui si copriva gli orecchi a quel modo e loro nel vederlo la smettevano. Con la donna però non funzionò: lei continuò a gridare.

Una donna che lavorava alle dipendenze della dottoressa cercò di farla calmare. Infine la dottoressa in persona uscì e le diede qualcosa. Little Tib non poteva vedere cosa fosse, ma la sentì dire più volte: — Prenda questo. Prenda questo. — E come Dio volle la donna lo prese.

Poi la ragazzina e sua madre furono portate nell’ufficio della dottoressa. C’era molta più gente adesso, in sala d’attesa, di quanta Little Tib ne aveva udito all’inizio, e tutti stavano parlando. Nitty lo prese per un braccio. — Non voglio sedere sulle tue ginocchia — disse Little Tib. — Non mi piace sederti sulle ginocchia!

— E allora siedi qua — disse Nitty, quasi in un sussurro. — Toglieremo di mezzo Virginia Jane.

Little Tib s’arrampicò sopra una liscia sedia plasticata, con Nitty da una parte e Mr. Parker dall’altra.

— È un peccato — disse Nitty — che tu non abbia potuto vedere la gamba di quella bambina. Quando ci siamo messi a sedere qui era sottile come uno stecco. E quando l’hanno portata lì dentro era identica all’altra.

— Questo è bello — disse Little Tib.

— Ci stavamo domandando… tu hai qualcosa a che fare con quel che è successo?

Little Tib non lo sapeva, così rimase zitto.

— Non tormentarlo, Nitty — disse Mr. Parker.

— Non lo sto tormentando. Sto solo chiedendo una cosa: è importante.

— Sì, lo è — disse Mr. Parker. — Tu pensaci, George, e se poi avrai qualcosa da dire faccelo sapere. Noi ti ascolteremo.

Little Tib restò a lungo seduto dov’era, e infine la donna che lavorava per la dottoressa uscì. — È questo il ragazzo? — chiese.

— Ha la febbre — la informò Mr. Parker.

— Dobbiamo vedere il suo disegno retinico. Portatelo dentro.

— Inutile — disse Nitty. E Mr. Parker aggiunse: — Non potrete prendere il suo disegno retinico… le sue retine non esistono più.

La donna che lavorava per la dottoressa non disse nulla per un poco, poi: — Be’, ci proveremo lo stesso. — Prese per mano Little Tib, e lo condusse in una stanza dove c’era una macchina con molte luci. Lui sapeva che quella era una macchina con molte luci, perché l’aveva riconosciuta dall’odore e dal contatto dei sensori contro la sua faccia. Dopo un poco lei gli lasciò scostare gli occhi dai dischetti di plastica.

— Bisogna che la dottoressa lo visiti — disse Nitty. — So che senza un disegno retinico non potete mettere la visita in conto al governo. Ma il bambino è malato.

La donna disse: — Se aprirò una pratica su di lui vorranno sapere chi è.

— Gli tocchi la fronte: sta bruciando.

— Penseranno che è entrato illegalmente in questa regione. E una volta che un’indagine abbia preso inizio non la potrete più fermare.

— Possiamo parlare alla dottoressa? — chiese Mr. Parker.

— È quel che stavo cercando di dirvi. Non potete vederla.

— Voglio farmi visitare: io sono malato.

— Credevo che il malato fosse il bambino.

— Anch’io sono malato. Vieni qui. — Una mano di Mr. Parker guidò Little Tib fuori dalla poltroncina di fronte alla macchina delle luci, e fu l’altro a sedersi al suo posto. L’uomo si piegò in avanti e l’apparecchiatura mandò un ronzio. — Naturalmente — disse Mr. Parker, — dovrò portarlo dentro con me. È troppo piccolo perché lo si possa lasciar solo in una sala d’attesa.

— Lo può tener d’occhio quest’uomo.

— Lui ha fretta d’andarsene.

— Sissignore — annuì Nitty. — Non avrei indugiato finora, se qui non fosse così interessante.

Little Tib si aggrappò a una mano di Mr. Parker, e dopo aver percorso un paio di brevi corridoi entrarono nel piccolo ambulatorio.

— Lei non è un mio paziente — disse la dottoressa, chiudendo la porta alle sue spalle. — Sentiamo, cosa c’è che non va?

Mr. Parker le parlò di Little Tib, e le chiese di addebitare sulla sua carta di credito tutto ciò che voleva.

— Questo è molto irregolare — disse la dottoressa. — Non dovrei neppure pensarci. Cos’è successo ai suoi occhi?

— Non lo so. Sembra che non abbia più la retina a tutti e due.

— Ci sono i trapianti di retina, anche se non sono sempre efficaci.

— Permetterebbero di dargli un’identità? La vista sarebbe secondaria rispetto a questo, per il momento.

— Suppongo di sì.

— Può farlo ricoverare in un ospedale?

— No.

— Non senza disegno retinico, vuol dire?

— Proprio così. Mi piacerebbe poterle dire il contrario, ma sarebbe inutile. Non lo accetterebbero mai.

— Capisco.

— Ho molti pazienti che aspettano. Le addebiterò una visita per un’influenza. Gli dia queste, dovrebbero fargli calare la febbre; se domani non sta meglio, me lo riporti.

Più tardi, mentre l’aria e gli oggetti si raffreddavano, e gli ucccelli diurni s’erano azzittiti lasciando pian piano il posto a quelli notturni, e Nitty aveva acceso un fuoco su cui stava cucinando qualcosa, disse a Mr. Parker: — Non capisco perché non abbia voluto aiutare il bambino.

— Gli ha dato qualcosa per la febbre.

— Non è molto. Avrebbe potuto fare di più.

— C’è tanta gente che ha bisogno di…

— Lo so. E non sono poi tanti. Ce n’è di più in Cina o in altri posti. Lei crede che questa medicina gli farà bene?

Mr. Parker poggiò una mano sulla testa di Little Tib. — Pensò di sì.

— Restiamo qui a occuparci di lui, oppure domattina ce ne torniamo a Martinsburg?

— Domattina vedremo come sta.

— Sa, Mr. Parker, a vederla come agisce ora… voglio dire, credo che ce la farà.

— Sono un bravo programmatore, Nitty. Lo sono davvero.

— So che lo è. Lei lavori bene a quel programma, e la macchina scoprirà che hanno ancora bisogno di un sovrintendente. E anche di un uomo per la manutenzione. Perché un uomo deve sentirsi così male se non ha un lavoro da fare e una paga? Me lo sa dire? Forse mi hanno messo qualcosa nella testa, come lei?

— Il perché lo sa bene quanto me — disse Mr. Parker.

Little Tib non li ascoltava. I suoi pensieri erano tornati alla ragazzina e alla gamba di lei. L’ho sognato, pensò. Nessuno può fare quella cosa; ho solo sognato di toccarla e di sentire che diventava più grossa. E questo vuol dire che la realtà era l’altra, l’uomo di rame e la gigantessa con la scopa.