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Naturalmente, era quella la sua arma principale, quando si giungeva veramente a una rappresaglia di massa. L’incendio della foresta. Avrebbe potuto dare fuoco a un’intera isola, lanciando dall’elicottero bombe e napalm: bastava aspettare un mese o due, fino alla conclusione della stagione delle pioggie. E quale avrebbe dovuto bruciare? L’Isola del Re, la Smith o la Centrale? Forse per prima quella del Re, come piccolo avvertimento, poiché laggiù non erano rimasti esseri umani. Poi la Centrale, se non si fossero messi in riga.

— Che cosa stai cercando di fare? — chiese la voce della radio.

Lo fece sorridere: era così angosciata, come quella di una vecchia rapinata.

— Ma lo sai che cosa stai facendo, Davidson?

— Certo.

— Credi che riuscirai a sottomettere i creechie?

Non era Juju, questa volta; forse poteva essere quel cervellone di Gosse, o uno qualsiasi degli altri; non faceva differenza; tutti quanti sapevano solo più fare: "Bee".

— Sì, proprio così — rispose, con pacatezza, ironicamente.

— E credi che, se continuerai a bruciare villaggi, essi verranno da te per arrendersi… tre milioni di loro. Giusto?

— Potrebbe anche darsi.

— Senti, Davidson — disse la radio, dopo qualche tempo, sibilando e ronzando (usavano qualche sorta di apparecchio di emergenza, dato che avevano perso il grosso trasmettitore, insieme con quel finto ansible la cui perdita era un guadagno). — Senti, c’è qualcuno vicino a te, laggiù, con cui possiamo parlare?

— No; tutti sono molto indaffarati. Senti, noi qui ce la passiamo benissimo, ma abbiamo finito i dessert, sai, macedonia di frutta, pesche, quel tipo di roba. Alcuni dei ragazzi ne sentono molto la mancanza. E aspettavamo una spedizione di sigarette alla marijuana quando voialtri siete saltati in aria. Se mando l’elicottero, potete darci qualche scatola di dolci e di sigarette?

Pausa. — Sì, manda pure l’elicottero.

— Ottimo. Mettete la roba in una rete, e i ragazzi potranno prenderla senza atterrare. — Sogghignò.

Ci furono delle confabulazioni dalla parte della Centrale, e tutt’a un tratto il vecchio Dongh fu in linea: era la prima volta che parlava con Davidson. La sua voce aveva un timbro fioco e asmatico, in quella trasmissione piena di disturbi.

— Senti, capitano Davidson, desidero sapere se comprendi fino in fondo il tipo di provvedimento che finirò con l’essere costretto a prendere, a causa delle tue azioni su New Java. Se continuerai a disobbedire agli ordini. Cerco di ragionare con te come si fa con un soldato ragionevole e fedele. Allo scopo di assicurare la sicurezza al mio personale qui alla Centrale, presto mi troverò costretto a dire ai nativi di qui che non possiamo assumerci alcuna responsabilità per le tue azioni.

— Questo è giusto, signore.

— Ciò che cerco di renderti chiaro, è che dovremo dire loro che non possiamo impedirti di infrangere la tregua laggiù su Java. Il tuo personale laggiù è composto di sessantasei uomini, vero? Ebbene io voglio che quegli uomini giungano qui alla Centrale senza danni, per attendere con noi il ritorno della Shackleton e per mantenere unita la Colonia. Ti sei avviato su un corso d’azioni suicida, e io sono responsabile per gli uomini che hai con te.

— No, voi non lo siete, signore; lo sono io. Voi badate solo a rilassarvi. Solo quando vedrete la giungla bruciare, alzatevi e correte verso il centro di una Striscia, perché non vogliamo arrostire anche voi uomini insieme con i creechie.

— Ascolta, Davidson, ti ordino di passare immediatamente il comando al tenente Temba e di venire a fare rapporto a me, qui. — Disse la voce lamentosa e lontana, e Davidson chiuse bruscamente la comunicazione, nauseato.

Erano impazziti tutti, giocavano ancora a fare i soldatini, in piena ritirata dalla realtà. In effetti erano soltanto pochissimi gli uomini che riuscissero ad affrontare la realtà, quando le cose si facevano dure.

Come si aspettava, i locali creechie non fecero assolutamente nulla, dopo le sue incursioni nelle conigliere. L’unico modo di trattarli, come aveva sempre saputo fin dall’inizio, era quello di terrorizzarli e di non smettere mai il pugno di ferro. Se lo facevi, loro capivano chi era il padrone, e si sottomettevano.

Adesso, un mucchio di villaggi compresi in un raggio di trenta chilometri sembrava deserto quando arrivava laggiù; ma lui continuava a inviare i suoi uomini a bruciarli, ogni tre o quattro giorni.

I suoi uomini cominciavano a diventare un po’ nervosi. Aveva continuato a far compiere lavori di disboscamento, poiché questo era ciò che erano quarantotto dei cinquantacinque fedeli sopravvissuti: taglialegna. Ma sapevano che le navi da carico automatiche provenienti dalla Terra non sarebbero più scese a terra a caricare il legname: si sarebbero limitate ad arrivare e a girare in orbita, in attesa di un segnale che non giungeva.

E non valeva la pena di tagliare alberi semplicemente per il piacere di farlo; era un lavoro faticoso. Tanto valeva bruciarli.

Davidson esercitò gli uomini a squadre, elaborando tecniche per appiccare fuoco alla foresta. Il tempo era ancora troppo piovoso perché potessero combinare molto, ma l’addestramento teneva occupata la loro mente. Se soltanto avesse avuto a disposizione gli altri tre elicotteri, avrebbe potuto davvero colpire e poi scomparire…

Studiò la possibilità di un’incursione alla Centrale per liberare gli elicotteri, ma per il momento non parlò di questo piano neppure con Aabi e Temba, i suoi più stretti collaboratori. Alcuni dei ragazzi si sarebbero messi fifa al solo pensiero di un’incursione armata al loro Quartier Generale. Continuavano a parlare di: "Quando ritorneremo con gli altri". Non sapevano che quegli altri li avevano abbandonati, li avevano traditi, venduto la loro pelle ai creechie. Ma non lo disse; sarebbe stata troppo dura per loro.

Un giorno, lui, Aabi e Temba e un altro uomo sano e intelligente si sarebbero limitati a portare laggiù l’elicottero, poi tre di loro sarebbero saltati fuori con i mitra, avrebbero preso un elicottero per uno, e poi di nuovo a casa, op-là. Con quattro bei frullini per sbattere le uova. Non si può fare la frittata senza sbattere le uova. Davidson scoppiò a ridere, nell’oscurità del suo bungalow. Mantenne segreto il piano ancora per un poco, perché si sentiva solleticare piacevolmente a quel pensiero.

Un paio di settimane più tardi, avevano eliminato tutte le tane di creechie raggiungibili a piedi, e la foresta era pulita e lustra. Più nessun parassita. Nessun filo di fumo al disopra degli alberi. Nessun creechie che saltasse fuori dai cespugli e si buttasse a terra con gli occhi chiusi, aspettando di farsi calpestare. Più niente omini verdi. Solo un mucchio di alberi e varie zone bruciate. I ragazzi diventavano davvero nervosi e sgarbati; era ora di fare l’incursione per catturare gli elicotteri. Riferì una sera il suo piano ad Aabi, Temba e Post.

Nessuno di loro parlò per un minuto, poi Aabi disse: — E per quel che riguarda il carburante, capitano?

— Abbiamo sufficiente carburante.

— Non per quattro elicotteri; non durerebbe una settimana.

— Vuoi dire che resta solo una scorta di un mese per quello che abbiamo?

Aabi annuì.

— Be’, allora dobbiamo prendere anche un po’ di carburante, a quanto sembra.

— E in che modo?

— Applicatevi al problema.

Tutti si misero a guardarlo senza far niente, con un’aria stupida. La cosa gli diede fastidio. Si rivolgevano sempre a lui, per qualsiasi cosa. Lui era un capo per dono di nascita, ma gli piaceva che gli uomini sapessero anche pensare per conto proprio.

— Trova tu il modo, è il tuo tipo di lavoro, Aabi — disse, e uscì a fumarsi una sigaretta, disgustato del modo in cui tutti si comportavano, come se avessero perso il fegato. Quegli uomini non riuscivano ad affrontare la fredda, dura realtà.