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Sorrise, e stava tornando all’interno per parlare della proposta con Temba e gli altri, quando la sentinella appostata in cima al camino della segherìa lanciò un urlo.

— Stanno arrivando! — gridò con voce acutissima, come un bambino che giocasse a Neri e Rhodesiani.

Qualcun altro, dalla parte ovest della palizzata, cominciò a urlare a sua volta. Un colpo di fucile.

E arrivavano davvero. Cristo, come arrivavano. Ce n’erano migliaia, migliaia. Nessun suono, nessun rumore, fino a quell’urlo della sentinella; poi una singola fucilata; poi un’esplosione… una mina anti-uomo che scoppiava… e un’altra, una dopo l’altra e centinaia e centinaia di torce che venivano accese l’una dall’altra e venivano scagliate e volavano come razzi nell’aria nera e umida, e le pareti della palizzata che diventavano vive a forza di creechie che si riversavano, traboccavano, spingevano, sciamavano; migliaia di creechie.

Era come un esercito di ratti che Davidson aveva visto una volta, quando era bambino, nell’ultima Carestia, nelle strade di Cleveland, Ohio, dove era cresciuto. Qualcosa aveva cacciato i topi dalle loro tane, ed essi erano usciti alla luce del sole, formicolando su per le pareti: una coperta pulsante, fatta di pelo e occhi e piccole mani e denti, e lui aveva urlato per chiamare sua madre ed era scappato via come un pazzo; oppure era stato solo un sogno che aveva fatto da bambino?

Era importante mantenere il sangue freddo. L’elicottero era parcheggiato nel recinto dei creechie; era ancora completamente buio da quella parte, e lui vi giunse immediatamente. La porta era chiusa: la teneva sempre chiusa, nel caso a qualcuna delle sorelline fifone venisse l’idea di volarsene fino a Papà Din-Don-Dan in qualche notte buia. Gli parve che prendere la chiave, infilarla nella serratura e girarla nel verso giusto gli richiedesse un tempo esageratamente lungo, ma era solo questione di conservare la calma, e poi gli occorse un altro lungo tempo per correre fino all’elicottero e aprire il portello.

Ora Post e Aabi erano con lui. E infine si alzò il possente rumore dei rotori che sbattevano le uova, che coprivano tutti gli altri folli rumori, le voci acute che urlavano e stridevano e cantavano. Poi si sollevarono, e l’inferno si precipitò lontano da loro, sotto di loro: un recinto pieno di sorci, in fiamme.

— Occorre del sangue freddo per afferrare immediatamente la natura di una situazione di emergenza — disse Davidson. — Voi uomini avete pensato in fretta e agito in fretta. Ottimo lavoro. Dov’è Temba?

— Si è preso una lancia nello stomaco — disse Post.

Aabi, il pilota, sembrava voler guidare l’elicottero, e Davidson gli passò i comandi. Raggiunse a tentoni uno dei sedili posteriori, e si appoggiò allo schienale, per rilassarsi i muscoli. La foresta scorreva sotto di loro, nero sotto nero.

— Dove ti stai dirigendo, Aabi?

— Centrale.

— No. Noi non vogliamo andare alla Centrale.

— E allora dove vogliamo andare? — chiese Aabi, con una sorta di risolino femmineo. — New York? Pechino?

— Limitati a mantenere in volo l’elicottero per un po’ di tempo, Aabi, e vola in cerchio attorno al campo. Grandi cerchi. Fuori portata di udito.

— Capitano, ormai non c’è più nessun Campo New Java — disse Post, caposquadra dei boscaioli, un uomo solido, massiccio.

— Quando i creechie avranno finito di bruciare il campo, torneremo noi a bruciare i creechie. Ci devono essere quattromila creechie radunati in un posto solo, laggiù. Abbiamo sei lanciafiamme nel retro dell’elicottero. Diamo loro tempo una ventina di minuti. Poi cominciamo con il napalm e spariamo coi lanciafiamme a quelli che corrono via.

— Cristo — esclamò Aabi, con violenza — alcuni dei nostri potrebbero essere ancora laggiù, i creechie potrebbero avere fatto dei prigionieri, non lo sappiamo. Io non torno laggiù per bruciare forse degli esseri umani.

Non voltò indietro l’elicottero.

Davidson appoggiò la bocca del revolver contro la nuca di Aabi e disse: — Sì, invece, noi torniamo indietro; perciò fatti forza, bambino, e non darmi fastidio.

— In serbatoio c’è carburante sufficiente a portarci alla Centrale, capitano — disse il pilota. Continuava a cercare di allontanare la testa dal contatto della pistola, come se una mosca gli desse fastidio. — Ma quello è tutto. Tutto quello che abbiamo.

— Allora potremo fare un mucchio di giri. Volta direzione, Aabi.

— Penso che faremmo meglio ad andare alla Centrale, capitano — disse Post, con la sua voce stolida.

Il fatto che si dessero mano in questo modo contro di lui fece arrabbiare Davidson a tal punto che, voltata dall’altra parte la pistola che aveva in mano, scattò rapido come un serpente e colpì Post sopra l’orecchio con l’impugnatura. Il boscaiolo si ripiegò su se stesso come una cartolina d’auguri natalizi e rimase a sedere sulla poltroncina anteriore, con la testa tra le ginocchia e la mano penzolante.

— Volta direzione, Aabi — disse Davidson, con la frusta nella voce.

L’elicottero voltò, descrivendo un largo arco.

— Accidenti, dov’è il campo? Non ho mai pilotato questo elicottero di notte senza segnali da seguire — disse Aabi, parlando in un tono sordo e nasale, come se avesse il raffreddore.

— Dirigiti verso est e cerca di trovare l’incendio — disse Davidson, freddo e calmo.

Nessuno di loro aveva veramente del fegato, neppure Temba. Nessuno di loro gli era rimasto al fianco quando il cammino era diventato davvero duro. Presto o tardi tutti facevano lega contro di lui, perché non riuscivano ad affrontare le cose come faceva lui. I deboli cospirano contro il forte, il forte deve rimanere da solo e badare a se stesso. Semplicemente, era il modo in cui andavano le cose. Dov’era il campo?

Avrebbero dovuto scorgere le case incendiate a distanza di chilometri, in quella profonda oscurità, anche con la pioggia. Nulla compariva. Cielo grigio-nero, terreno nero. I fuochi dovevano essere spenti. Essere stati spenti. Che gli umani avessero respinto i creechie? Dopo che lui era scappato?

Il pensiero gli attraversò la mente come uno spruzzo d’acqua gelida. No, ovviamente no, non in cinquanta contro migliaia. Ma, per Dio, doveva esserci un mucchio di brandelli di creechie saltati in aria, tutt’intorno ai campi minati. Era solo perché erano arrivati così maledettamente numerosi. Nulla sarebbe stato in grado di fermarli. Lui non avrebbe potuto predisporre difese adatte.

E da dove erano arrivati? Non c’era stato alcun creechie nella foresta, in nessuno di quei paraggi, per giorni e giorni. Dovevano essersi rovesciati laggiù da qualche altra parte, da tutte le direzioni, strisciando fin lì in mezzo ai boschi, uscendo dalle loro tane come topi. Non c’era modo di fermare una massa di creechie come quella, migliaia e migliaia.

Dove diavolo era il campo? Aabi cercava di ingannarlo, sbagliava volutamente la rotta.

— Trova quel campo, Aabi — disse piano.

— Dio Cristo, è quello che cerco di fare — disse il ragazzo.

Post non si era mosso, ripiegato sul sedile accanto al pilota.

— Non può essere scomparso, ti pare, Aabi? Hai sette minuti per trovarlo.

— Trovatevelo voi — disse Aabi, con voce acuta e torva.

— Non prima che tu e Post vi siate rimessi in riga, bambino. Abbassa l’elicottero, riduci la velocità.

Dopo un minuto, Aabi disse: — Quello sembra essere il fiume.

C’era infatti un fiume, e una larga radura; ma dov’era il Campo New Java? Non si mostrò mentre si dirigevano a nord, sorvolando la radura.

— Dev’essere questo, non c’è nessun’altra grossa radura, è questo — disse Aabi, ritornando sulla zona senza alberi.