Aveva il mento rasato, ma sul labbro superiore spuntavano baffi ispidi che si allungavano sulle guance coriacee. Le sopracciglia erano come una seconda barra pelosa sulla parte superiore del viso. L’elmo era sormontato da una testa d’orso, modellata splendidamente, con il muso contratto in un ringhio minaccioso. Un’enorme pelle d’orso, conciata e foderata di stoffa zafferano, formava il mantello: le zampe anteriori, ornate d’artigli d’oro, erano allacciate sotto il mento squadrato.
«Noi del Forte Sulcar rispettiamo la pace dei mercanti.» Evidentemente si sforzava di dominare la propria voce, ma riecheggiava tra le pareti della saletta. «È la manteniamo con le nostre spade, se si presenta la necessità. Ma contro gli stregoni della notte, a cosa serve l’acciaio? Non contesto l’antica sapienza,» disse, rivolgendosi direttamente alla Guardiana, come se si fronteggiassero attraverso il banco di una bottega. «Ognuno ha i suoi dei ed i suoi poteri, ed Estcarp non ha mai imposto ad altri la sua fede. Ma Kolder si comporta in modo ben diverso. Dilaga, ed i suoi nemici scompaiono! Ti assicuro, signora, che il nostro mondo morrà, se non ci leviamo insieme per erigere una barriera contro questa marea.»
«E tu, Mastro Mercante,» chiese la Guardiana, «hai mai veduto un uomo nato da donna che potesse controllare le maree?»
«Controllarle, no: ma sfruttarle, sì! Questa è la mia magia!» Il colosso si batté la mano sulla corazza in un gesto che sarebbe apparso teatrale in un altro, ma che in lui era naturale. «Ma non abbiamo simpatie per i Kolder, e quelli ora intendono colpire Forte Sulcar! Lascia che quegli sciocchi di Alizon credano di poter tenersi fuori: a tempo debito, verranno trattati come Gorm. Ma gli uomini di Sulcar hanno munito le loro mura… e combatteranno. E quando il nostro porto sarà caduto, le maree si avvicineranno a voi, signora. Dicono che possediate la magia del vento e della tempesta, e gli incantesimi che mutano la forma e la mente degli uomini. La vostra magia può resistere a Kolder?»
La donna si portò le mani alla gemma che le brillava sul petto e la sfiorò.
«Ti sto dicendo la verità, Magnis Osberic… non so. Kolder è un’incognita: non siamo riusciti a violarne le mura. Per il resto… sono d’accordo. È venuto il momento di resistere. Capitano,» disse, rivolgendosi a Koris, «qual è la tua opinione?»
Il bel volto di Koris non perse l’espressione amareggiata, ma i suoi occhi brillarono.
«Dico che dobbiamo usare le spade, finché possiamo! Con il tuo permesso, Estcarp andrà in soccorso di Forte Sulcar.»
«Le spade di Estcarp andranno in soccorso di Forte Sulcar, se questa è la tua decisione, Capitano, perché tua è la via delle armi. Ma verrà anche l’altro Potere, affinché possiamo offrire tutta la forza che è a nostra disposizione.»
La donna non fece alcun gesto, questa volta, ma la strega che era stata a spiare in Alizon girò intorno al seggio e si portò alla destra della Guardiana. I suoi scuri occhi obliqui scrutarono i presenti, fino a quando incontrarono Simon, che sedeva in disparte.
Forse l’ombra di un sorriso, svanita dopo un istante, s’era diffusa dagli occhi alle labbra? Simon non avrebbe potuto giurarlo, ma pensava che fosse così. Senza comprenderne il perché, sentì in quel momento un filo sottile che si tendeva tra loro; e non sapeva se quel legame lo irritasse o no.
Quando uscirono dalla città, a metà del pomeriggio, Simon si accorse che il suo cavallo procedeva al passo con quello di lei. Come gli uomini della Guardia, la donna portava l’usbergo di maglia e l’elmo con la lunga sciarpa metallica. Non c’erano differenze esteriori tra lei e gli altri, perché portava a fianco una spada ed un lanciadardi come quello di Simon.
«Dunque, guerriero venuto da un altro mondo…» La voce di lei era sommessa, e Simon pensò che volesse farsi udire da lui soltanto. «Ancora una volta percorriamo la stessa strada.»
Qualcosa, nella serena compostezza della donna, lo irritò. «Speriamo che, questa volta, saremo i cacciatori e non la selvaggina.»
«A ciascuno la sua giornata,» disse lei, indifferente. «In Alizon ero stata tradita, ed ero disarmata.»
«Mentre ora cavalchi con spada e lanciadardi.»
Lei diede un’occhiata al suo equipaggiamento e rise. «Sì, Simon Tregarth, con spada e lanciadardi… ed altre cose. Ma hai ragione di pensare a ciò che pensi: ci avviamo verso un incontro tenebroso.»
«È precognizione, signora?» La sua impazienza crebbe. In quel momento, era un miscredente. Confidare nell’acciaio era più facile che affidarsi alle intuizioni, agli sguardi, alle sensazioni.
«Precognizione, Simon.» Gli occhi obliqui lo guardarono con quell’ombra d’un sorriso. «Non ti impongo impegni, straniero. Ma so questo: i fili delle nostre due vite sono stati raccolti insieme nella Mano della Guardiana Celeste. Ciò che desideriamo e ciò che si avvererà possono essere due cose ben diverse. Dirò questo, e non solo a te, ma a tutti questi guerrieri… guardatevi dal luogo dove le rocce s’inarcano alte e risuona il grido delle aquile di mare!»
Simon sorrise forzatamente. «Credimi, signora, in questa terra io sto in guardia come se avessi occhi anche sulla nuca. Non è la mia prima spedizione.»
«Questo è noto. Altrimenti non saresti partito con il Falco.» La donna indicò Koris con un cenno del mento. «Se tu non fossi fatto di stoffa adatta non ti avrebbe voluto con sé. Koris è di stirpe guerriera, ed è un condottiero nato… per buona sorte di Estcarp!»
«E tu prevedi pericolo a Forte Sulcar?» insistette Simon.
Lei scosse il capo. «Tu sai com’è il Dono. Ci sono concessi solo frammenti… mai l’intero quadro. Ma nella mia immagine mentale non vi sono le mura d’una città. Tieni pronto il lanciadardi, Simon, e snuda i tuoi pugni esperti.» Sembrava di nuovo divertita, ma la sua risata non era ironica… era piuttosto la gaiezza del cameratismo. Simon sapeva che doveva accettarla alle sue condizioni.
Capitolo quinto
Battaglia di demoni
Le truppe di Estcarp affrettarono l’andatura; ma li attendeva ancora un giorno di viaggio, quando ebbero superato l’ultimo posto di frontiera e si diressero verso la curva della strada che conduceva al porto. Avevano cambiato regolarmente i cavalli alle fortezze della Guardia ed avevano trascorso la notte nell’ultima, procedendo ad un trotto costante che divorava le miglia.
Sebbene gli uomini di Sulcar non cavalcassero con la stessa disinvoltura delle Guardie, restavano ostinatamente piazzati sulle selle che sembravano troppo piccole per la loro mole — Magnis Osberic non era il solo gigante, tra loro — e procedevano con la rabbiosa decisione di chi vede nel tempo un nemico minaccioso.
Ma il mattino era luminoso, e distese di arbusti dai fiori purpurei traevano splendore dal sole. L’aria portava la promessa delle onde salmastre e Simon provò un senso d’esaltazione che credeva di aver perduto ormai da molto tempo. Non si accorse di canticchiare sino a quando una voce un po’ roca, alla sua sinistra, lo interruppe.
«Gli uccelli cantano prima che il falco attacchi.»
Simon accettò quella frase ironica con buona grazia. «Mi rifiuto di ascoltare il gracchiare degli annunci di sventura… è una giornata troppo bella.»
La donna scostò la sciarpa di maglia metallica che le avvolgeva le spalle e la gola, come se quelle pieghe morbide l’imprigionassero. «Il mare… è nel vento…» Il suo sguardo vagò verso il punto dove la strada s’increspava all’orizzonte. «Noi di Estcarp abbiamo un po’ di mare nelle vene. È per questo che il sangue di Sulcar può mescolarsi con il nostro, come è avvenuto spesso. Un giorno mi piacerebbe avventurarmi sul mare. C’è un’attrazione nel movimento delle onde che si ritraggono dalla riva.»
Le sue parole erano un mormorio canoro, ma all’improvviso Simon si scosse: la melodia che aveva canticchiato gli si inaridì in gola. Non possedeva i doni delle streghe di Estcarp: ma nel profondo del suo essere qualcosa fremette, prese vita, e prima che avesse compreso la ragione del suo gesto, levò di scatto la mano in un segnale del suo passato, mentre tirava le redini del cavallo.