«Può darsi che i Kolder siano una razza di demoni, come si vocifera: ma non disdegnano le cose belle di questa terra. Anch’essi vorrebbero tuffare le zampe nelle nostre ricchezze. È per questo che noi abbiamo, qui, anche un’ultima difesa… se Forte Sulcar cadesse, i suoi conquistatori non ne trarrebbero profitto!» Batté il grosso pugno sul parapetto, violentemente. «Forte Sulcar fu costruito ai tempi del mio bisavolo, per assicurare alla nostra razza un porto sicuro in caso di tempesta… la tempesta della guerra, e non soltanto del vento e delle onde. Ed ora sembra che ne abbiamo veramente bisogno.»
«Tre navi in porto.» Koris le aveva contate. «Un mercantile e due vascelli armati.»
«Il mercantile partirà per Karsten all’alba. Poiché trasporta merci per il Duca, potrà battere la sua bandiera, e il suo equipaggio non avrà bisogno di armi nel porto d’arrivo,» osservò Osberic.
«Si dice che il Duca intenda sposarsi. Ma c’è un monile samiano, in uno scrigno caricato a bordo, destinato al collo candido di Aldis. Si direbbe che Yvian sia intenzionato a mettere il braccialetto nuziale al polso di un’altra: ma non ha intenzione di portarne uno anche lui.»
La strega scrollò le spalle; e Koris sembrava interessato alle navi, più che ai pettegolezzi del regno vicino. «E i vascelli armati?» chiese.
«Quelli resteranno, per un po’.» Il Mastro Mercante divenne evasivo. «Svolgeranno servizio di pattuglia. Preferisco sapere chi si avvicina per mare.»
Un bombardiere avrebbe potuto ridurre in macerie il guscio esterno di Forte Sulcar con un paio di passaggi, l’artiglieria pesante avrebbe potuto sfondarne le mura massicce in poche ore, pensò Simon mentre continuava il giro d’ispezione insieme a Koris. Ma c’era un labirinto di gallerie e di camere, sotto le fondamenta, e alcune portavano al mare. Gli accessi erano chiusi da porte sbarrate. A meno che i Kolder disponessero di armi molto superiori a quelle che aveva avuto modo di vedere su quel mondo, il nervosismo dei mercanti era ingiustificato. E lo si poteva anche credere, fino a quando si ricordavano i guerrieri di Gorm.
Simon notò poi che, sebbene vi fossero numerosi corpi di guardia, ed arsenali piene di panoplie cariche d’armi, e soprattutto di pesanti asce, c’erano pochi uomini, sparsi qua e là, e le pattuglie di guardia erano molto distanziate, sulle mura. Forte Sulcar era in grado di accogliere e di equipaggiare migliaia di uomini, ma lì erano poco più di cento.
Koris, la strega e Simon salirono su una torre affacciata sul mare, e il vento della sera li investì.
«Non oso spogliare Estcarp dei suoi uomini,» disse rabbiosamente Koris, come se rispondesse ad una osservazione che i suoi compagni non avevano formulato, «per concentrare qui il grosso delle nostre forze. Sarebbe come invitare Alizon ed il Ducato ad invaderci da nord e da sud. Osberic è protetto da un guscio che neppure le fauci dei Kolder potrebbero stritolare, secondo me; ma, dentro, gli uomini mancano. Ha atteso troppo a lungo: con tutti i suoi, se li avesse tenuti in porto, avrebbe potuto spuntarla. Ma così, ne dubito.»
«Ne dubiti, Koris, ma combatterai,» disse la donna. Il suo tono non era né incoraggiante né scoraggiante. «Perché è quel che bisogna fare. E può darsi che questa fortezza spezzi le fauci dei Kolder. Ma Kolder si avvicina… in questo la previsione di Magnis è esatta.»
Il Capitano la guardò, ansiosamente: «Hai una precognizione da annunciarmi, signora?»
Lei scosse il capo. «Non pretendere da me quello che non posso dare, Capitano. Quando siamo finiti in quell’imboscata, non riuscivo a vedere altro che un vuoto, davanti a noi. Ho riconosciuto Kolder da quel segno negativo. Ma non posso fare di meglio. E tu, Simon?»
Tregarth trasalì. «Io? Ma io non possiedo il tuo Potere…» incominciò; poi aggiunse, sinceramente: «Non posso dire nulla… Solo, come soldato ritengo che questo forte sia efficiente: ma ora mi ci sento prigioniero.» Aveva aggiunto quelle parole quasi senza riflettere, ma sapeva che erano esatte.
«Questo non lo diremo ad Osberic,» decise Koris. Continuarono, insieme, ad osservare il porto mentre il sole tramontava, e la città perse sempre di più il suo aspetto di rifugio ed assunse quello di una gabbia.
Capitolo sesto
La nebbia
Cominciò un poco dopo mezzanotte… quella linea strisciante che avanzava attraverso il mare, cancellando le stelle e le onde, e sospingendo davanti a sé un soffio gelido che non era creato dal vento né dalla pioggia, ma che si insinuava insidiosamente nelle ossa, ricopriva gli usberghi di gocce oleose, aveva un sapore salmastro e tuttavia leggermente putrido.
La fila dei globi luminosi che seguivano le curve delle fortificazioni del porto venne sommersa. Una ad una, le chiazze di luce venivano soffocate, e restavano solo vaghe screziature giallognole. Era come vedere un mondo cancellato spanna a spanna.
Simon camminava avanti e indietro sulla piccola piattaforma di guardia della torre centrale. Metà delle fortificazioni esterne, ormai, era stata inghiottita, perduta. Uno degli agili vascelli attraccati nel porto era tagliato in due da quella cortina. Non somigliava alle nebbie naturali che aveva visto: neppure alle famosi coltri di nebbia di Londra, o i velenosi smog industriali del suo mondo. Il modo in cui avanzava da occidente faceva pensare ad una sola cosa… era una cortina dietro la quale poteva prepararsi un attacco.
Stordito e turbato, udì il clamore dei segnali d’allarme delle mura, i grandi gong bronzei piazzati lungo i bracci del porto. L’attacco! Mentre raggiungeva la porta della torre, incontrò la strega.
«Stanno attaccando!»
«Non ancora. Sono i segnali della tempesta, per guidare le navi che potrebbero trovarsi nelle vicinanze del porto.»
«Una nave Kolder!»
«Può darsi. Ma non si possono sovvertire in un’ora le tradizioni dei secoli. Nella nebbia, i gong di Forte Sulcar sono al servizio dei marinai, e solo gli ordini di Osberic potrebbero cambiare la situazione.»
«Allora si conoscono già nebbie come questa?»
«Si conoscono le nebbie. Come questa… è un’altra faccenda.»
Gli passò accanto per uscire, volgendosi verso il mare come aveva fatto Simon qualche momento prima, e scrutò il porto che scompariva rapidamente.
«Noi che possediamo il Potere siamo in grado di esercitare un certo controllo sugli elementi naturali, anche se, come tutto il resto, il successo o l’insuccesso esorbitano dalle nostre capacità di previsione. Ognuna delle mie sorelle è capace di produrre una nebbia che confonde non soltanto gli occhi degli incauti, ma anche le loro menti… per un certo tempo. Ma questa è diversa.»
«È naturale?» insistette Simon, certo che non lo fosse. Non avrebbe saputo spiegare il perché di quella convinzione.
«Quando un vasaio crea un vaso, dispone l’argilla sulla ruota e la modella con mani esperte, facendola corrispondere al progetto che ha nei suoi pensieri. L’argilla è un prodotto della terra, ma ciò che ne cambia la forma è il prodotto dell’intelligenza e dell’esperienza. Sono certa che qualcuno — o qualcosa — ha raccolto ciò che fa parte del mare, o dell’aria, e l’ha modellato secondo i suoi scopi.»
«E tu che cosa farai, signora?» Koris si era avvicinato. Si diresse al parapetto e batté le mani sulla pietra imperlata di gocce d’acqua. «In questa nebbia, saremo praticamente ciechi?»