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La strega non distolse lo sguardo dalla nebbia, scrutandola con l’attenzione di un assistente di laboratorio impegnato in un esperimento decisivo.

«Forse i Kolder cercano la cecità; ma la cecità può essere un’arma a doppio taglio. Se creano un’illusione… allora è meglio combatterli con lo stesso trucco!»

«Combattere la nebbia con la nebbia?» chiese il Capitano.

«Non si può combattere un trucco con un trucco identico. I Kolder attingono all’aria e all’acqua. Perciò anche noi dobbiamo usare acqua ed aria, ma in modo diverso.» La strega si batté contro i denti l’unghia del pollice. «Sì, potrebbe essere una mossa capace di sconcertarli,» mormorò, voltandosi. «Dobbiamo scendere al porto. Chiedi a Magnis un quantitativo di legna: rami ben secchi, se ne ha. Ma, se non ne ha, procurati i coltelli per poter tagliare il legno. E anche qualche straccio. E porta tutto al molo centrale.»

Il clamore soffocato dei gong continuava ad echeggiare attraverso il porto mentre il gruppetto di uomini di Sulcar e di Guardie usciva sul molo. Portavano bracciate di pezzi di legno, e la strega scelse il più piccolo. Impugnando il coltello, si sforzò di scolpire i rozzi contorni di una barca, con la prua appuntita e la poppa arrotondata. Simon gliela tolse dalle mani, staccando con facilità i trucioli bianchi: vedendo l’approvazione della donna, altri lo imitarono.

Fabbricarono una flotta di dieci, e poi di venti, e poi di trenta barchette minuscole che stavano nel cavo di una mano; ognuna aveva un albero fatto con uno stecco, ed una vela di stoffa che la strega aveva provveduto a legare. Lei s’inginocchiò davanti alla fila e, chinandosi, soffiò scrupolosamente su ogni piccola vela, premette per un istante il dito sulla prua d’ogni minuscola imbarcazione.

«Vento ed acqua, vento ed acqua,» cantilenò. «Vento per affrettare, acqua per portare, mare per sostenere, nebbia per intrappolare!»

Le sue mani si mossero rapidamente, gettando uno dopo l’altro i rozzi simulacri delle acque del porto. La nebbia li aveva quasi raggiunti, ma non era ancora abbastanza densa per impedire a Simon di scorgere uno spettacolo sorprendente. Le minuscole barche si erano disposte in una formazione a cuneo, puntata direttamente verso il largo. E quando la prima varcò la linea della cortina di nebbia, non fu più un ninnolo intagliato frettolosamente, ma una nave agile e splendente, più bella dei vascelli che Osberic aveva mostrato con orgoglio.

La strega si aggrappò al polso di Simon per rialzarsi in piedi. «Non credere a tutto ciò che vedi, uomo di un altro mondo. Noi che abbiamo il Potere creiamo illusioni. Ma speriamo che questa illusione sia efficace quanto la loro nebbia, e spaventi gli invasori.»

«Non possono essere navi vere!» Simon protestò ostinatamente, incapace di credere ai propri occhi.

«Noi contiamo troppo sui nostri sensi esteriori. Se si possono ingannare gli occhi, le dita, il naso… allora la magia è concreta, per qualche tempo. Dimmi, Simon, se intendessi entrare in questo porto per attaccarlo, e poi vedessi intorno alle tue navi, nella nebbia, una flotta di cui non avevi sospettato la presenza, non ci penseresti due volte, prima di dare inizio alla battaglia? Io ho solo cercato di guadagnare tempo, perché l’illusione si infrangerà, quando verrà messa alla prova della realtà. Se un vascello dei Kolder tentasse di andare all’arrembaggio d’una di queste navi, si rivelerebbe per ciò che è. Ma talvolta è utile guadagnare un po’ di tempo.»

In un certo senso, aveva ragione lei. Almeno, se il nemico aveva progettato di servirsi della coltre di nebbia per coprire un attacco contro il porto, l’attacco non lo realizzò. Quella notte non venne dato l’allarme dell’invasione, e la densa coltre di nebbia non si sollevò neppure dopo l’alba.

I comandanti delle tre navi in porto andarono a chiedere ordini ad Osberic: ma quello poté dir loro soltanto di attendere che la nebbia diradasse. Simon fece il giro delle Guardie, accodandosi a Koris; qualche volta era necessario che gli uomini si tenessero stretti per i cinturoni, per non perdersi sulle postazioni esterne della diga. Venne dato l’ordine di continuare a suonare i gong ad intervalli regolari, non più per guidare coloro che potevano trovarsi in mare, ma semplicemente perché un posto di guardia potesse tenersi in contatto con gli altri. Gli uomini volgevano i volti esausti e tirati quando venivano a sostituirli, e bisognava gridare la parola d’ordine e farsi riconoscere per non venire trafitti dalla lama di una sentinella innervosita.

«Se continua così,» commentò Tregarth, mentre si scostava per evitare un uomo di Sulcar che avevano incontrato all’improvviso, salvandosi così da un colpo violento sferrato alla cieca, «non avranno bisogno di attaccare, perché finiremo per sbranarci tra di noi. Basta che un uomo sembri avere addosso un elmo con la visiera a punta, in questa nebbia, perché si ritrovi senza testa.»

«L’ho pensato anch’io,» rispose laconicamente il Capitano. «I Kolder contano anche sulle illusioni create dai nostri nervi e dalle nostre paure. Ma cosa possiamo fare, più di quanto abbiamo già fatto?»

«Chiunque abbia buone orecchie può captare le nostre parole d’ordine,» disse Simon, deciso ad affrontare il peggio. «Un intero tratto delle mura potrebbe cadere in loro mano, postazione per postazione.»

«E come possiamo essere certi che questo sia un attacco?» ribatté amaramente l’altro. «Uomo d’un altro mondo, se sei in grado di dare ordini migliori, fallo, ed io sarò ben lieto di accettarli! Sono un militare, e conosco bene la guerra… o credevo di conoscerla! E credevo anche di conoscere le usanze degli incantatori, poiché servo Estcarp con sincera devozione. Ma questo non l’avevo mai visto: posso fare solo del mio meglio.»

«Neppure io ho mai visto un simile modo di combattere,» ammise prontamente Simon. «Sconcerterebbe chiunque. Ma ora sto pensando una cosa… loro non verranno dal mare.»

«Perché noi guardiamo da questa parte, aspettando di vederceli piombare addosso?» Koris lo comprese al volo. «Non credo che il forte possa venire attaccato da terra. Questi marinai hanno edificato abilmente la loro rocca. Sarebbero necessarie macchine che richiederebbero settimane di preparazione.»

«Mare e terra… che cosa resta?»

«Suolo ed aria,» rispose Koris. «Il sottosuolo! I passaggi sotterranei!»

«Ma non possiamo disperdere gli uomini per sorvegliare tutte le gallerie.»

Gli occhi verdemare di Koris brillarono della stessa luce ferina che Simon aveva scorto in occasione del loro primo incontro.

«Possiamo sorvegliarle, anche senza bisogno di uomini. È un trucco che conosco. Andiamo da Magnis.» Si mise a correre, mentre la punta del fodero della spada tintinnava di tanto in tanto contro le mura di pietra, quando svoltava agli angoli dei corridoi del forte.

Su un tavolo erano allineati bacili di tutte le grandezze e di diverse forme: ma erano tutti di rame e anche le sfere che Koris aveva scrupolosamente ripartito, una per bacile, erano di metallo. Una combinazione di bacile e sfera, installata nella parte del muro posta sopra una galleria sotterranea, avrebbe tradito ogni movimento di forzare la porta, là sotto, mediante l’oscillazione della palla nel recipiente.

I sotterranei, quindi, erano salvaguardati per quanto era possibile. Restava… l’aria. Forse perché conosceva bene la guerra aerea, Simon si sorprendeva ad ascoltare e ad osservare, fino a farsi venire il torcicollo, l’oscurità che avvolgeva le torri del porto. Eppure una civiltà che si affidava ai lanciadardi relativamente primitivi, alle spade, agli scudi ed agli usberghi per la difesa e per l’offesa — fosse pure con l’aiuto di sottili trucchi della mente — non poteva produrre anche attacchi aerei.

Grazie all’idea di Koris ebbero qualche momento di preavviso quando venne l’attacco dei Kolder. Ma da tutti i cinque punti in cui erano stati piazzati i bacili, l’allarme venne quasi nello stesso istante. I corridoi che conducevano alle porte erano stati riempiti, in lunghe ore di attività frenetiche, con tutto il materiale combustibile esistente nei magazzini del porto. Stuoie di lana di pecora e di pelli bovine, intrise d’olio e di catrame, che venivano usate per calafatare le navi, erano legate intorno a balle di tessuti finissimi, a sacchi di cereali e di semi, e l’olio e il vino erano stati versati a rivoli per inzuppare quei tappi giganteschi.