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Quando i bacili diedero l’avvertimento, venne appiccato il fuoco con le torce e le altre porte furono chiuse, isolando dal nucleo centrale le gallerie invase dalle fiamme.

«Che ci sbattano pure il naso!» gridò Magnis Osberic, battendo con esultanza l’ascia sul tavolo nella sala principale del grande forte. Per la prima volta da quando la nebbia aveva imprigionato il suo regno, il Mastro Mercante parve perdere la sua aria preoccupata. Da buon marinaio, odiava e temeva la nebbia, naturale o innaturale che fosse. Adesso che c’era la possibilità di entrare in azione, era nuovamente animato dall’energia e dall’entusiasmo.

«Ahhhhh!» Nel frastuono, l’urlo risuonò tagliente come un colpo di spada. Non esprimeva soltanto la sofferenza del corpo, perché soltanto una paura suprema poteva averlo strappato ad una gola umana.

Magnis, con la testa taurina abbassata come se si accingesse a caricare il nemico, Koris, con la spada in pugno, un po’ curvo affinché il suo corpo di gnomo traesse energia dalla terra, e tutti gli altri presenti rimasero agghiacciati per un lungo istante.

Forse perché in tutto quel periodo di attesa se l’era quasi aspettato, Simon fu il primo a identificarne la provenienza, e si precipitò verso la scala che, tre piani più sopra, portava al bastione del tetto.

Non vi arrivò. Le grida e le urla che scendevano dall’alto, il clangore del metallo contro il metallo furono un avvertimento sufficiente. Rallentando il passo, Simon estrasse il lanciadardi. Fu un bene per lui, essere così cauto, perché mentre stava salendo verso il secondo piano, un corpo rotolò dalla scala, mancandolo di pochissimo. Era un uomo di Sulcar: dalla gola squarciata usciva a fiotti il sangue che spruzzava le pareti ed i gradini. Simon alzò gli occhi, verso quella confusione atroce.

Due Guardie e tre marinai combattevano ancora, con le spalle contro la parete del pianerottolo, tenendo a bada gli invasori che attaccavano con la ferocia maniacale dimostrata dai loro simili nell’imboscata. Simon sparò un colpo, poi un altro. Ma dall’alto continuava a scendere, incessante, un’ondata di elmi con la visiera a punta. Si poteva solo pensare che il nemico fosse giunto per via aerea ed avesse occupato i piani superiori del forte.

Non c’era tempo per formulare ipotesi sul modo in cui erano giunti fin lì… bastava sapere che erano riusciti a passare. Altri due marinai ed un uomo della Guardia erano caduti. Gli assalitori ignoravano i morti e i feriti, amici o nemici che fossero. I corpi scivolavano lungo le scale… era impossibile arrestarli in quel punto. Bisognava fermarli più in basso.

Simon si lanciò verso il primo pianerottolo, spalancò a calci le due porte che si fronteggiavano. I mobili preferiti dagli abitanti di Sulcar erano molto pesanti: ma quelli più piccoli si potevano spostare. Simon chiamò a raccolta un’energia che non sapeva di possedere e cominciò a tirare e a spingere le suppellettili per ostruire la tromba della scala.

Una testa protetta dalla visiera a punta lo fronteggiò al di là delle gambe della sedia che aveva sollevato per coronare la barricata, e la punta di una spada si avventò verso i suoi occhi. Simon abbatté la sedia sull’elmo. La sua guancia bruciava per la ferita, ma l’assalitore era crollato sulla barriera.

«Sul! Sul!» Simon si sentì spingere da parte e vide la faccia di Magnis, rossa quanto i suoi baffi ispidi, sollevarsi mentre il mercante sferrava colpi all’impazzata contro la prima ondata di invasori che aveva raggiunto la barricata e cercava di smuovere i mobili che la componevano.

Simon prese la mira, sparò, mirò di nuovo. Gettò via un caricatore vuoto, ricaricò il lanciadardi per riprendere a sparare. Scavalcò una Guardia che era caduta a terra gemendo, e difese il ferito fino a quando fu possibile trascinarlo via, al sicuro nell’interno del forte. E continuò a sparare…

Simon era ritornato nel corridoio: poi il gruppo di cui faceva parte giunse ad un’altra scala, difendendo accanitamente ogni gradino. C’era un fumo sottile… tentacoli di nebbia? No, perché quando li avvolgeva era acre, e pungeva la gola e le narici. Simon prese la mira… sparò… strappò i caricatori dalla cintura di una Guardia caduta che non avrebbe più potuto usare un’arma.

La scala, ormai, era dietro di loro. Gli uomini lanciavano grida rauche, e il fumo era più fitto. Simon si passò la mano sugli occhi che lacrimavano, allentò la sciarpa di maglia metallica dell’elmo. Ansimava.

Ciecamente, seguì i suoi compagni. Dietro di loro venivano chiuse e sbarrate porte dello spessore d’una decina di centimetri. Una… due… tre… quattro barriere. Poi entrarono in una stanza, di fronte ad una installazione sistemata in una cassa più alta dell’uomo gigantesco che vi stava appoggiato. Le Guardie ed i marinai che l’avevano costruita si disposero intorno alla stanza, lasciando la strana macchina al capo della città.

Magnis Osberic aveva perduto l’elmo con il cimiero a testa d’orso, e la pelle che gli fungeva da mantello era sbrindellata. La sua ascia era posata sopra la cassa, e dalla lama un filo rosso colava lentamente sul pavimento di pietra. Il suo volto aveva perso il colorito rubizzo, ed appariva contratto, sciupato. Gli occhi spalancati fissavano i guerrieri senza vederli… Simon intuì che l’uomo era in uno stato di choc.

«È finita!» Magnis riprese l’ascia, la fece passare sulla mano callosa. «Sono venuti dall’aria, come demoni alati! Nessuno può battersi con i demoni.» Poi rise sommessamente, con calore, come un uomo che prende tra le braccia la sua donna innamorata. «Ma esiste un modo per rispondere degnamente ai demoni. Forte Sulcar non diventerà il nido di quella genìa generata dall’inferno!»

La testa taurina si abbassò di nuovo, girò lentamente mentre gli occhi cercavano, tra i suoi seguaci, gli uomini di Estcarp. «Avete combattuto bene, voi del sangue delle streghe. Ma non v’impongo di finire come noi. Scateneremo l’energia che alimenta la città, e faremo saltare in aria il porto. Andatevene: forse potrete regolare i conti in un modo che gli stregoni volanti possano capire. Siatene certi: ne porteremo con noi più che potremo, e il giorno della resa dei conti si ritroveranno a ranghi ridotti! Andatevene, uomini delle streghe, e lasciate che noi di Forte Sulcar facciamo ciò che dobbiamo fare!»

Sospinti dai suoi occhi e dalla sua voce, come se Magnis li avesse afferrati uno ad uno e li avesse scagliati lontano da sé e dai suoi, gli uomini della Guardia si radunarono in gruppo. Koris era ancora con loro: il cimiero a forma di falco aveva perduto un’ala. E la strega, serena in volto, muoveva tuttavia le labbra mentre attraversava la stanza. Altri venti uomini… e Simon.

Le Guardie scattarono sull’attenti, levando le armi insanguinate per salutare coloro che restavano. Magnis grugnì.

«Bello, bello, uomini delle streghe. Ma non è il momento delle parate. Uscite!»

Uscirono dalla porticina che veniva loro indicata; Koris passò per ultimo, per chiuderla e sbarrarla. Si avviarono a corsa per la galleria. Fortunatamente, c’erano globi luminosi fissati al soffitto, e il pavimento era levigato, e potevano procedere velocemente.

Il rumore del mare divenne più forte: uscirono in una grotta dov’erano ormeggiate alcune barche.

«Giù!» Simon venne spinto a bordo insieme ad altri, e la mano di Koris lo colpì tra le scapole, facendolo cadere bocconi. Altri uomini balzarono intorno a lui, addosso a lui, inchiodandolo sul fondo oscillante dell’imbarcazione. Vi fu il tonfo di un’altra porta che si chiudeva… oppure era un boccaporto, sopra le loro teste? La luce era scomparsa, ed anche l’aria. Simon restò disteso, immobile, senza sapere che cosa sarebbe accaduto.