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Diritto di saccheggio sui relitti, sopra le onde e sulla riva! Dal giorno in cui Forte Verlaine era stato edificato sulle alture, tra due promontori pericolosi, il mare aveva portato ai suoi signori una ricca messe. E il magazzeno era un’autentica sala del tesoro, che si apriva soltanto per ordine del signore. Fulk doveva essere convinto di aver concluso un buon affare con Yvian, per permetterle di far bottino indiscriminatamente. Loyse non si preoccupava della compagnia di Bettris. La più recente concubina di Fulk era avida quanto bella, e non avrebbe degnato d’uno sguardo ciò che avrebbe scelto Loyse, purché avesse avuto la possibilità di cercare qualcosa per sé.

Loyse fece saltare la chiave dalla mano destra alla sinistra, e per la prima volta un sorriso incurvò le sue labbra pallide.

Fulk sarebbe rimasto sorpreso delle scelte che lei avrebbe compiuto nel tesoro di Verlaine! E forse si sarebbe stupito, se avesse saputo quante cose conosceva delle mura che lui considerava come barriere inviolabili. Il suo sguardo guizzò per un momento verso la parete cui era appeso lo specchio.

Poi sentì bussare frettolosamente alla porta. Loyse sorrise di nuovo, questa volta con un’espressione di disprezzo. Bettris non aveva impiegato molto ad obbedire agli ordini di Fulk. Ma almeno, quella donna non osava entrare nella stanza della figlia del suo amante senza essere invitata a farlo. Loyse andò alla porta.

«Il Nobile Fulk…» cominciò la ragazza che stava sulla soglia: la sua bellezza formosa era vivida quanto quella virile di Fulk.

Loyse mostrò la chiave. «Eccola.» Non chiamò per nome l’altra, non le diede alcun titolo, ma scrutò le spalle tornite che erompevano dalla veste drappeggiata sulle curve lussureggianti. Dietro Bettris c’erano due servitori che reggevano un grosso cofano. Loyse inarcò le sopracciglia, e l’altra rise, nervosamente.

«Il Nobile Fulk vuole che tu scelga le vesti da sposa, signora. Ha detto di non aver riguardi.»

«Il Nobile Fulk è generoso,» rispose Loyse con voce atona. «Vogliamo andare?»

Le donne evitarono la grande sala della fortezza, perché la stanza del tesoro si trovava ai piedi della torre in cui erano gli appartamenti privati della famiglia. Loyse ne era lieta; si teneva sempre lontana dall’animazione della casa di suo padre. E quando giunse finalmente alla porta aperta dalla sua chiave, si compiacque nel vedere che solo Bettris osava seguirla all’interno. I servi spinsero avanti il grosso cofano e si ritirarono.

Tre globi fissati al soffitto irradiavano luce su scrigni e casse, balle e sacchi. Bettris si allisciò la veste sui fianchi, con il gesto d’una venditrice che, al mercato, si accinge a contrattare. I suoi occhi scuri sfrecciavano da un mucchio all’altro; e Loyse, riponendo la chiave nella borsa, si affrettò ad alimentarne l’avidità.

«Non credo che il Nobile Fulk ti negherebbe di scegliere qualcosa anche per te. Anzi, me l’ha detto lui stesso: ma vorrei avvertirti di essere discreta e non troppo avida.»

Le mani grassocce volarono dai fianchi di Bettris al seno semiscoperto. Loyse si diresse verso il tavolo posto al centro della stanza, alzò il coperchio di uno scrigno. Batté le palpebre, nel vedere le ricchezze che vi erano racchiuse. Mai, prima di quel momento, si era resa conto che le rapine compiute da Verlaine nel corso degli anni avessero fruttato tanto. Da un groviglio di catene e di collane liberò una grande spilla, ornata di pietre rosse e d’intarsi, un gingillo che non era di suo gusto, ma che s’intonava con la bellezza straripante della sua accompagnatrice.

«Qualcosa del genere,» suggerì, porgendola.

Le mani di Bettris si protesero, poi si ritrassero di scatto. Socchiudendo le labbra rosse, la donna deviò lo sguardo dalla spilla a Loyse, e da Loyse alla spilla. Vincendo la ripugnanza, la fanciulla accostò il massiccio gioiello alla scollatura della veste dell’altra, dominando l’impulso di ritrarsi al contatto di quella carne morbida.

«Ti sta bene, prendila!» Nonostante il suo desiderio, le parole di Loyse erano brusche come un ordine. Ma l’altra abboccò all’amo. Concentrando l’attenzione sulle gemme, la donna si accostò al tavolo: e Loyse, per il momento, si sentì libera di fare ciò che voleva.

Sapeva cosa cercare, ma non era certa del posto in cui si doveva trovare. Lentamente, la fanciulla si mosse tra i mucchi di casse di cofani. Alcuni erano macchiati da incrostazioni saline, e da altri esalavano lievi profumi esotici. Dopo aver messo tra sé e Bettris una piccola barriera di casse, trovò uno scrigno che le parve promettente.

L’aspetto fragile di Loyse era ingannevole. Come aveva dominato le proprie emozioni in attesa di quel giorno, aveva allenato inflessibilmente anche il proprio corpo. Il coperchio era pesante, ma lo sollevò. E l’odore d’olio, la vista delle stoffe scolorite, le dissero che era sulla pista buona. Scostò i drappi, temendo di macchiarsi le mani e di rivelare la natura della sua ricerca. Poi estrasse un usbergo di maglia, appoggiandoselo contro le spalle per misurarselo. Troppo grande… forse non sarebbe riuscita a trovare nulla che si adattasse alla sua figura esile.

Frugò ancora. Un secondo giaco… un terzo… la cassa doveva essere appartenuta ad un armaiolo. In fondo ce n’era uno che doveva essere stato confezionato su misura per il figlioletto di qualche sovrano. Loyse lo prese, e vide che richiedeva ben pochi cambiamenti, per adattarsi alla sua figura. Rimise il resto nella cassa, e arrotolò il giaco perché occupasse il minor spazio possibile.

Bettris era affascinata dal cofano dei gioielli, e Loyse era certa che s’era già nascosta addosso più di un monile. Ma questo le lasciava la possibilità di proseguire le sue ricerche, muovendosi apertamente tra la cassa portata dai servitori e le sue fonti di rifornimento e aggiungendo stoffe di seta e di velluto ed un mantello di pelliccia per coprire il resto.

Per compiacere Bettris e per stornare i sospetti, Loyse scelse anche diversi gioielli, e poi chiamò i servi perché portassero la cassa nella sua stanza. Temeva che Bettris pretendesse di aiutarla a togliere gli oggetti dal cofano. Ma il suo trucco aveva funzionato; la donna smaniava dalla voglia di andare ad esaminare il suo bottino, e non si trattenne.

Con una rapidità quasi furiosa, temperata dalla prudenza e dalla precisione di un piano studiato minuziosamente in anticipo, Loyse si mise al lavoro. Scaricò sul letto le pezze di stoffa scelte frettolosamente, i pacchi di merletti e di ricami. Poi s’inginocchiò, sgombrando la cassapanca dove era riposto il suo guardaroba attuale. Diverse cose erano già pronte da molto tempo. Ma c’era tutto il resto. Con una cura che non aveva riservato alle stoffe più splendide, Loyse radunò la dote che intendeva portarsi via da Verlaine, indosso, nella borsa, nelle sacche della sella.

L’usbergo di maglia, vestiti di cuoio, armi, elmo, monete d’oro, una manciata di gioielli. Su questi buttò di nuovo i suoi abiti, assestandoli con la meticolosità di una brava massaia. Il suo respiro era un po’ affrettato: ma aveva già chiuso la cassapanca e stava spiegando sul letto il resto del suo bottino quando udì il passo nel corridoio… Fulk che tornava a riprendersi la chiave.

Impulsivamente, Loyse prese un velo bordato di fili d’argento, lieve come una ragnatela costellata di rugiada, e se lo drappeggiò sulla testa e sulle spalle: le stava malissimo, lo sapeva, ma adesso che aveva realizzato il suo intento si sentiva abbastanza generosa per permettere che suo padre ridesse di lei. Tenendo il velo sul capo, andò a mettersi in posa davanti allo scudo che fungeva da specchio.

Capitolo secondo

Naufragio