Le circostanze su cui Loyse aveva contato per trovare la libertà si volsero contro di lei nei giorni seguenti. Infatti, anche se Yvian di Karsten non venne personalmente a Verlaine per vedere la sposa che aveva scelto e l’eredità che lei gli avrebbe portato, inviò un seguito adeguato per farle onore. Loyse venne chiamata ad assistere all’arrivo, e sotto la maschera d’impassibilità ribolliva d’impazienza e di disperazione crescente.
Alla fine, puntò tutte le sue speranze sul banchetto nuziale, perché senza dubbio in quell’occasione i fumi del vino avrebbero annebbiato la mente di tutti, nel forte. Fulk teneva a far colpo sui cortigiani del Duca con la sua prodigalità. Avrebbe fornito i tesori liquidi della sua signoria, e quella sarebbe stata l’occasione migliore per la realizzazione dei piani di Loyse.
Ma prima scoppiò la tempesta: una furia di vento e di onde quale Loyse non aveva mai visto, sebbene conoscesse quella costa fin dalla nascita. Gli spruzzi erano così alti da investire le finestre della sua stanza. Bettris e l’ancella che Fulk aveva mandato per aiutarla a preparare gli abiti tremavano ogni volta che il pugno del vento scuoteva le pietre della mura.
Bettris si alzò, lasciando cadere sul pavimento un rotolo di splendida seta verde e spalancando gli occhi scuri. Mosse le dita e tracciò il sacro segno imparato nell’infanzia, nel suo villaggio dimenticato.
«Una tempesta stregata,» disse con un filo di voce, sopraffatto dall’urlo della bufera. Loyse udì solo un mormorio.
«Non siamo ad Estcarp.» Loyse accostò un pezzo di merletto al raso e l’imbastì. «Noi non abbiamo potere sul vento e sulle onde, e quelli di Estcarp non ne lasciano i confini. È una tempesta, ecco tutto. E se vuoi far piacere al Nobile Fulk, non devi tremare ad ogni mareggiata, perché sono piuttosto frequenti, a Verlaine. Come credi,» chiese, soffermandosi per infilare un ago, «che sia stato acquisito il nostro tesoro?»
Bettris si voltò verso di lei, con le labbra tirate sui dentini affilati in un ghigno da volpe. «Io sono nata sulla costa, e ho visto molte tempeste. Sì, dopo andavo sulla spiaggia con i raccoglitori. Ed è più di quanto tu ti sia mai degnata di fare, mia signora! Ma non ho mai visto una tempesta simile, e non ne ho mai sentita descrivere una eguale in tutta la mia vita! C’è il male, in essa, ti dico… un grande male!»
«È male per coloro che devono affidarsi alle onde.» Loyse posò il suo lavoro. Si accostò alla finestra; ma non scorse nulla oltre le trine di spuma che nascondevano la semioscurità del giorno.
L’ancella non fingeva neppure di lavorare. Si era rannicchiata accanto al focolare dove il corallo marino bruciava convulsamente, e si dondolava avanti e indietro, premendosi le mani sul petto come per placare un dolore. Loyse le andò vicino. Provava poca pietà e poco interesse per le donne del castello… da Bettris alle sguattere. Ora, controvoglia, chiese: «Stai male, ragazza?»
La ragazza era più linda di quanto lo fossero di solito le sue pari. Forse le era stato ordinato di pulirsi, prima di presentarsi a lei. Ma quando alzò la testa, il suo viso attirò l’attenzione della figlia di Fulk. Non era una ragazza di villaggio, una contadinella trascinata nella fortezza per il piacere d’un cortigiano e poi rimasta a fare la sguattera. Il suo volto era la maschera d’una paura che da tanto tempo era parte di lei da averla modellata come un vasaio modella l’argilla. Eppure, sotto la paura, c’era qualcosa d’altro.
Bettris rise con voce stridula. «Non è il mal di pancia che la divora, solo il ricordo. Anche lei è stata gettata a terra dal mare. Non è così, sguattera?» Colpì con la morbida scarpa di pelle il fianco della ragazza, e per poco non la fece cadere nel fuoco.
«Lasciala in pace!» Per la prima volta, Loyse lasciò balenare la sua fiamma interiore. Si era sempre tenuta lontano dalla spiaggia, dopo le tempeste, perché non poteva far nulla per contrastare il dominio di Fulk, e non voleva vedere cose che non avrebbe più potuto dimenticare.
Bettris si agitò, a disagio. Di fronte a Loyse si sentiva sempre incerta, e non osò risponderle.
«Caccia via quell’idiota. Non lavorerà finché infuria la tempesta… e neppure dopo, per un po’. È un peccato, perché è esperta nell’uso dell’ago, altrimenti già da molto tempo sarebbe finita a ingrassare le anguille.»
Loyse si accostò al grande letto su cui era stata già stesa molta della sua roba. C’era uno scialle, piuttosto semplice tra le sete fulgide e le stoffe preziose. Lo prese e lo portò accanto al camino, lo gettò sulle spalle dell’ancella tremante. Senza badare allo sbalordimento di Bettris, s’inginocchiò, posò le mani sulle mani della ragazza e, guardando quel volto teso, si sforzò di far dimenticare ad entrambe le truci usanze di Verlaine che, in modi diversi, le avevano profondamente cambiate.
Bettris le tirò la manica.
«Come osi?» scattò Loyse.
L’altra non cedette, con un sogghigno ironico sulle labbra carnose. «Si sta facendo tardi, signora. Il Nobile Fulk sarebbe contento di sapere che ti occupi di questa sguattera mentre lui s’incontra con i dignitari del Duca per la firma del contratto nuziale? Devo dirgli perché non vuoi venire?»
Loyse la guardò freddamente. «Farò il volere del mio signore in questo, come in altre cose, ragazza. Non pensare di dar lezione a me!»
Lasciò con riluttanza le mani dell’ancella, e le disse: «Rimani qui. Nessuno ti verrà vicino. Capisci? Nessuno!»
L’altra aveva capito? Aveva ripreso a dondolarsi avanti e indietro, straziata dall’antica sofferenza impressa nella sua mente offuscata, anche dopo che le cicatrici erano svanite dal suo corpo.
«Non c’è bisogno che tu mi vesta.» Loyse si rivolse a Bettris, e l’altra arrossì. Non era capace di tenerle testa, e lo sapeva.
«Ti sarebbe utile conoscere un po’ gli incantesimi noti a tutte le donne, signora,» rispose bruscamente. «Potrei insegnarti ad indurre un uomo a voltarsi al tuo passaggio. Se mettessi solo un poco di tinta scura sulle ciglia e le sopracciglia, e un po’ di pomata rosa sulle labbra…» Aveva dimenticato l’irritazione: il suo istinto creativo riprese il sopravvento. Scrutò Loyse con aria critica, impersonalmente, e la fanciulla si sorprese ad ascoltarla, nonostante il disprezzo che provava per Bettris e tutto ciò che rappresentava. «Sì, se tu volessi ascoltarmi, signora, forse riusciresti a distogliere gli occhi del tuo signore da quella Aldis per il tempo necessario ad accorgersi di te. E vi sono anche altri modi per incantare un uomo.» Si passò sulle labbra la punta della lingua. «Posso insegnarti molte cose, signora: e sarebbero armi molto utili, per te.» Si fece più vicina: la luce dei lampi si rifletteva nei suoi occhi.
«Yvian mi ha chiesta così come sono,» rispose Loyse, respingendo l’offerta di Bettris e tutto ciò che Bettris rappresentava. «Quindi dovrà accontentarsi di quel che avrà!» E questo è vero più di quanto tu possa immaginare, aggiunse tra sé.
Bettris scrollò le spalle. «Si tratta della tua vita, signora. E prima che finisca, scoprirai che non puoi piegarla al tuo volere.»
«Ho mai potuto farlo?» chiese sottovoce Loyse. «E adesso vai. Come hai detto, si fa tardi, ed io ho molto da fare.»
Assistette alle cerimonie della firma del contratto con l’abituale, tranquilla rassegnazione. Gli uomini che il Duca aveva inviato per condurre la sposa a Kersten erano tre tipi molto diversi, e lei li studiò con interesse.
Hunold era stato compagno di Yvian ai tempi in cui il Duca era un mercenario. Aveva una reputazione, come soldato, che era giunta persino in una località isolata come Verlaine. Stranamente, il suo aspetto non si accordava con la sua fama e con la sua occupazione. Loyse si era aspettata di vedere un uomo simile al siniscalco di suo padre — forse un po’ più raffinato — ma si trovò davanti ad un cortigiano affettato, languido, abbigliato di sete, che sembrava non aver mai sentito sulle spalle il peso di un usbergo. Il mento arrotondato, gli occhi dalle lunghe ciglia, le guance lisce gli conferivano un ingannevole aspetto giovanile ed un’aria quasi tenera. E Loyse, cercando di confrontare quell’uomo con ciò che aveva sentito raccontare sul suo conto, provò un senso di paura.