Uscì dalla porta prima che Loyse potesse muoversi per trattenerla. E poi la stanza le parve stranamente vuota, come se l’ancella avesse portato via una vita pulsante che aveva atteso in un angolo buio.
Lentamente, Loyse si tolse la veste da cerimonia, tornò ad intrecciarsi i capelli senza l’aiuto dello specchio. Inspiegabilmente, non voleva guardare in quello specchio, ora, perché aveva quasi la sensazione che qualcosa d’altro potesse sbirciare al di sopra della sua spalla. Molte azioni empie ed immonde erano state compiute nella grande sala di Verlaine, da quando Fulk ne era diventato il padrone. Ma ora Loyse era convinta che a decidere la sua sorte futura era stato l’atto che aveva avuto come vittima la donna di Estcarp.
Era così assorta nei suoi pensieri da dimenticare, quasi, di essere alla vigilia delle nozze. Per la prima volta da quando li aveva nascosti, non tirò fuori gli indumenti in fondo alla cassapanca, per esaminarli e rallegrarsi della prospettiva che le offrivano.
Lungo la spiaggia il vento gemeva, sebbene non scagliasse più in alto le montagne di spruzzi. E coloro che si erano radunati in attesa della messe delle onde e delle rocce erano impazienti. La flotta che era apparsa così splendida dalla camera di Loyse, era ancora più imponente vista dalla riva.
Hunold si strinse il mantello intorno alla gola e guardò nell’oscurità. Non erano navi di Karsten, e quel naufragio poteva tornare utile al Ducato. Era fermamente convinto che stavano per assistere agli ultimi momenti di una forza nemica. Ed era un bene che, date le circostanze, lui fosse lì a tener d’occhio Fulk. Le dicerie avevano ingigantito il bottino di Verlaine. E quando Yvian avesse sposato quella pallida nullità, avrebbe potuto chiedere conto di tutto il tesoro, in nome della moglie. Sì, la Fortuna aveva sorriso, quando aveva inviato Hunold sulla spiaggia, quella notte, ad osservare e ad ascoltare ed a raccogliere gli elementi per un rapporto al Duca.
Ormai certi che le navi condannate non sarebbero riuscite a superare il promontorio, gli uomini usciti dal forte piazzarono le lanterne lungo la riva. Se quegli sciocchi a bordo dei vascelli avessero cercato di arrivare a terra in prossimità di quei fari, tanto meglio: avrebbero risparmiato ai saccheggiatori il tempo e la fatica di dar loro la caccia.
E così fu che i raggi, protesi al di sopra delle onde, inquadrarono la prima prua. Era alta, sollevata dai frangenti: si alzarono grida tra gli spettatori, e scommesse furono frettolosamente offerte ed accettate circa il punto in cui sarebbe andata a sfasciarsi. Si sollevò e poi si avventò in avanti, verso le rocce. E poi… scomparve.
Quelli sulla spiaggia si trovarono di fronte all’impossibile. In un primo momento alcuni, i più ricchi d’immaginazione, furono certi di aver visto il relitto d’una nave sfasciata, certi che si dibattesse vicino alle loro reti. Ma non c’era nulla, tranne la spuma dell’acqua battuta dal vento. Niente nave e niente relitto.
Nessuno si mosse. In quel momento, erano tutti inchiodati, incapaci di credere ai loro occhi. Si stava avvicinando un’altra di quelle navi superbe. Puntava verso il tratto di rocce su cui Hunold stava a fianco di Fulk, come se un timoniere invisibile ne guidasse la rotta. Avanzava maestosa, e nessun uomo era aggrappato alle sartie, nessun essere vivente era visibile sul ponte.
Ancora una volta le onde sollevarono il loro carico per scagliarlo sulle zanne della scogliera. E questa volta era così vicino alla riva che Hunold pensò che un uomo avrebbe potuto balzare sul ponte deserto, dal luogo in cui lui si trovava. La prua si alzò, si alzò, e la polena fantasticamente scolpita mostrò al cielo le fauci spalancate. Poi si abbassò… e le acque turbinarono.
E scomparve!
Hunold tese la mano, afferrò la spalla di Fulk, e vide nel pallore stravolto del viso dell’altro lo stesso terrore incredulo. E quando la terza nave si avvicinò, puntando diritta verso la scogliera, gli uomini di Verlaine fuggirono urlando in preda al panico. Le lanterne abbandonate illuminarono la spiaggia dove le reti fluttuavano sull’acqua, senza aver catturato neppure una tavola sfasciata.
Più tardi, una mano afferrò quella rete, l’afferrò e la strinse nell’ultimo, disperato sforzo per aggrapparsi alla vita. Un corpo rotolò nella risacca, ma la rete resistette, e la mano resistette. Poi vi fu la lunga, lenta avanzata verso la riva, fino a quando una figura esausta e dolorante giacque prona sulla sabbia e si addormentò.
Capitolo terzo
La strega prigioniera
In generale, gli abitanti di Verlaine ammettevano che la flotta scomparsa fosse stata un’illusione inviata dai demoni. E Fulk non sarebbe riuscito a costringere uno solo dei suoi uomini a scendere sulla spiaggia, la mattina dopo. Anzi, non tentò neppure di dare un simile ordine.
Era necessario concludere le nozze prima che a Kars giungesse la notizia ed offrisse un legittimo pretesto per rifiutare l’erede di Verlaine. Per placare le paure superstiziose che i tre agenti ducali potevano nutrire, Fulk, con una certa riluttanza, li condusse nella sala del tesoro, offrendo a ciascuno di loro un prezioso ricordo, e scegliendo una spada tempestata di gemme quale pegno della sua ammirazione per il valore guerresco del Duca. Tuttavia continuava a sudare, e stentava a reprimere l’impulso di andare ad ispezionare gli angoli bui della scala e del corridoio.
Notò che nessuno dei suoi ospiti faceva allusione a quanto era accaduto sulla scogliera, e si chiese se quello era un buono o un cattivo segno. Solo quando furono nella sala del consiglio privato, un’ora prima della cerimonia, Hunold trasse dalla sopravveste foderata di pelliccia un piccolo oggetto e lo mostrò delicatamente in una chiazza di pallido sole.
Siric piegò la pancia sulle ginocchia e sbuffò un paio di volte, tendendosi incuriosito a guardarlo.
«Che cos’è, Nobile Comandante? Che cos’è? Hai rubato il giocattolo ad un marmocchio del villaggio?»
Hunold sollevò l’oggetto nel cavo della mano. Sebbene fosse modellato rozzamente, la forma era piuttosto evidente… una barca, E per albero c’era uno stecco spezzato.
«Questa, Voce Reverendissima,» rispose sottovoce Hunold, «è la possente nave, o una delle possenti navi che abbiamo visto avventarsi verso la catastrofe, questa notte. Sì, è un giocattolo: ma non uno dei soliti. E per la sicurezza di Karsten debbo chiederti, Nobile Fulk, quali rapporti intrattieni con le figlie delle tenebre… le streghe di Estcarp.»
Fulk, punto sul vivo, fissò la barca di legno. Il suo volto impallidì, poi si oscurò, quando il sangue lo invase. Ma lottò furiosamente per calmarsi. Se avesse sbagliato, ora, avrebbe perduto la partita.
«Avrei mandato gli spigolatori alle scogliere per ricevere una flotta di barche giocattolo e per saccheggiarle?» Riuscì a simulare una serenità che non provava. «Immagino che tu l’abbia ripescato dal mare questa mattina, Nobile Comandante. Ma che cosa t’induce a credere che facesse parte di una magia di Estcarp, o che le navi viste da noi fossero nate da questo trucco?»
«Questa è stata raccolta sulla sabbia stamattina, sì,» ammise Hunold. «E conosco da un pezzo le illusioni delle streghe. A conferma, abbiamo trovato qualcosa d’altro sulla spiaggia, i miei uomini ed io; un grande tesoro, tale da rivaleggiare con quelli che ci hai mostrati e che il mare ha portato alla tua fortezza. Marc; Jothen!» Alzò la voce, e due scudieri del Duca entrarono, portando una prigioniera strettamente legata, che sembravano trattare con evidente imbarazzo.
Fulk era abituato a vedere prigionieri incrostati di sale e strappati alle fauci del mare, e li trattava in modo sbrigativo. Ed una volta, per giunta, s’era trovato di fronte ad un problema identico e l’aveva risolto per il meglio. Hunold lo aveva sconvolto, ma solo per un momento. Ormai aveva ritrovato tutta la sua sicurezza.