«Dunque,» disse, riassestandosi sul seggio con il sorriso di chi assiste al divertimento di individui meno raffinati ed evoluti, «avete preso una strega.» Squadrò arditamente la donna. Era magra, ma c’era spirito, in lei… sarebbe stato divertente. Forse Hunold avrebbe voluto incaricarsi di domarla. Nessuna di quelle streghe era mai bella; e quella aveva l’aria di aver lottato per un mese contro le onde. Studiò più attentamente le vesti che coprivano quel corpo scarno.
Erano di cuoio… gli indumenti che si portavano sotto gli usberghi di maglia metallica! Quindi aveva preso le armi, quella. Fulk si scosse. Una strega armata e quella flotta fantasma! Forse Estcarp aveva deciso di muoversi… e di muoversi contro Verlaine? Estcarp aveva molti conti da regolare con lui, sebbene fino ad ora nessuno, lassù al nord, avesse dato segno di essere al corrente delle sue attività. Ma era meglio accantonare quel problema per esaminarlo più tardi: ora doveva pensare a Hunold ed a ciò che avrebbe dovuto fare per conservare l’alleanza di Karsten.
Evitò scrupolosamente di incontrare gli occhi della prigioniera. Ma cercò di riaffermare la sua vecchia superiorità.
«A Kars non si sa ancora, Nobile Comandante, che queste streghe possono piegare un uomo alla loro volontà, con il solo potere degli occhi? Vedo che i tuoi scudieri non hanno preso precauzioni contro un attacco del genere.»
«Si direbbe che tu conosca piuttosto bene queste streghe.»
Prudenza, si disse Fulk. Hunold non si era assicurato un posto alla destra di Yvian grazie alla sola forza del suo braccio. Era meglio non provocarlo troppo: bastava dimostrargli che il signore di Verlaine non era né un traditore né uno sciocco.
«Estcarp ha già pagato altri tributi al nostro promontorio,» disse sorridendo.
Vedendo quel sorriso, Hunold lanciò un ordine ai suoi uomini. «Tu, Marc! Buttale il mantello sulla testa!»
La donna non si era mossa, non aveva proferito alcun suono, quando l’avevano condotta lì dentro. Era come avessero a che fare con un corpo privo d’anima e di mente. Forse era stordita dalle traversie subite in mare, dall’urto contro qualche roccia della scogliera. Tuttavia, nessuno degli uomini di Verlaine avrebbe allentato la vigilanza solo perché la prigioniera non gridava o implorava o si dibatteva inutilmente. Mentre le pieghe del mantello le si avvolgevano intorno alla testa ed alle spalle, Fulk si sporse dal seggio e parlò: le sue parole erano dirette alla donna, più che agli uomini cui sembrava rivolgersi… nella speranza di strapparle qualche reazione che gli rivelasse il suo stato di coscienza.
«E non ti ho neppure detto, Nobile Comandante, come si possono disarmare queste streghe? È una procedura molto semplice… e qualche volta piacevole.» Deliberatamente, si addentrò nei dettagli più osceni.
Siric rise, sorreggendosi con le mani la pancia sussultante. Hunold sorrise.
«Voi di Verlaine conoscete veramente piaceri molto sottili,» ammise.
Solo il Nobile Duarte rimase in silenzio, fissandosi le mani posate sulle ginocchia, mentre agitava nervosamente le dita. Un lento, cupo rossore si diffuse sulle guance magre, sotto la corta barba da vecchio.
La figura avviluppata non si mosse, non protestò.
«Portatela via.» Fulk diede l’ordine, in una piccola dimostrazione di potere. «Consegnatela al siniscalco, che la terrà al sicuro per il nostro futuro piacere. Per ogni piacere, infatti, c’è il momento giusto.» Era ridiventato un ospite tutto cortesia, sicuro della propria posizione. «Ed ora dobbiamo pensare al piacere del nostro Duca… la consegna della sua sposa.»
Fulk attese. Nessuno avrebbe potuto intuire la tensione con cui ascoltò le successive parole di Hunold. Fino a quando Loyse non fosse stata davanti all’altare, nella cappella poco usata, con le mani sull’ascia, mentre Siric pronunciava la formula di rito, Hunold poteva chiamarsi fuori, in nome del suo padrone. Ma quando Loyse fosse diventata Duchessa di Karsten, sia pure nominalmente, Fulk sarebbe stato libero di procedere per la strada che aveva scrupolosamente preordinata e tracciata.
«Sì, sì.» Siric sbuffò e si alzò faticosamente in piedi, affrettandosi ad assestare le pieghe della cappa. «Il matrimonio… Non dobbiamo fare aspettare la signora, eh, Nobile Duarte? Sangue giovane, sangue impaziente. Venite, venite, miei signori… alle nozze!» Quella parte spettava a lui e una volta tanto quel giovane soldato di ventura dagli occhi di ghiaccio non avrebbe potuto avere il ruolo principale. Era molto più dignitoso e conveniente che il Nobile Duarte, della più antica schiatta nobiliare di Karsten, portasse l’ascia e sposasse per procura la promessa del loro sovrano. Era stato un suo saggio suggerimento, quello, ed Yvian l’aveva ringraziato con calore, prima della loro partenza da Kars. Sì, Yvian avrebbe scoperto… anzi, stava scoprendo che con il potere della Confraternita del Tempio e l’appoggio delle vecchie famiglie nobili, non avrebbe più dovuto ascoltare i mestatori come Hunold. Con la celebrazione del matrimonio, il sole di Hunold si sarebbe avviato al tramonto!
Faceva freddo. Loyse procedette in fretta lungo la balconata della grande sala che era il cuore del forte. Era rimasta mentre tutti brindavano, ma non aveva neppure risposto ai pii auguri di felicità che le venivano rivolti… felicità! Loyse non sapeva neppure cosa fosse. Voleva solo la libertà.
Quando sbatté la porta dietro di se, sistemò le tre sbarre che avrebbero potuto resistere persino ad un ariete, e si mise al lavoro. Si strappò i gioielli dalla gola, dalla testa, dalle orecchie e dalle dita, e li gettò in un mucchio. Scostò con un calcio la lunga veste orlata di pelliccia. Alla fine, si mise davanti allo specchio, sopra uno scialle, troppo emozionata per sentire il freddo che filtrava dalle pareti circostanti; sciolse i capelli e se li lasciò ricadere sulle spalle, in un manto che le copriva i fianchi nudi. Ciocca per ciocca, li aggredì implacabilmente con le forbici, lasciandoli cadere sullo scialle. Prima li tagliò all’altezza del collo, e poi più attentamente e con maggiore impaccio, riducendoli corti, come ci si poteva aspettare di vederli sotto un camaglio metallico ed un elmo. I trucchi che aveva rifiutato di usare nonostante i consigli di Bettris, ora li adottò con scrupolosa concentrazione. Strofinò delicatamente un miscuglio di fuliggine sulle sopracciglia pallide, e poi sulle ciglia corte e folte. Era così intenta ai dettagli che non aveva considerato il risultato d’insieme. Ora, scostandosi un po’ dallo specchio, scrutò con aria critica la propria immagine, stupita da ciò che vedeva.
Il suo morale migliorò: era quasi sicura che avrebbe potuto attraversare la grande sala senza che Fulk la riconoscesse. Corse al letto e cominciò a vestire gli indumenti che aveva preparato. La cintura con le armi si adattava alla perfezione intorno alla sua vita. Fece per prendere le sacche da sella, ma la sua mano si mosse lentamente. Perché era così riluttante ad abbandonare Verlaine? Aveva subito le cerimonie di quel giorno nascondendo i suoi propositi, tenendoli celati come il tesoro più prezioso. E sapeva che il banchetto era l’occasione migliore per fuggire. Loyse pensava che nessuna sentinella in servizio dentro o fuori del forte sarebbe stata troppo zelante, quella notte… E inoltre, lei conosceva un’uscita segreta.
Eppure qualcosa la tratteneva, facendole sprecare momenti decisivi. Il desiderio di tornare sulla balconata affacciata sulla sala, di spiare i banchettanti, la spinse verso la porta senza che quasi se ne rendesse conto.
Cosa aveva detto l’ancella? qualcuna stava arrivando sulle ali della tempesta… approfitta dell’occasione ed usala bene, Loyse di Verlaine! Ebbene, quella era la sua occasione, ed era disposta a servirsene con tutta la saggezza che la vita nella casa di Fulk l’aveva costretta ad acquisire.
Tuttavia, quando si mosse, non si diresse verso il passaggio segreto, ignoto a Fulk ed ai suoi uomini, bensì verso la porta. E mentre lottava contro l’impulso assurdo ed avventato, la sua mano scostò le sbarre, e lei si trovò nel corridoio. I tacchi degli stivali ticchettavano sulla scala che l’avrebbe condotta alla balconata.