Borbottii… suoni di una zuffa. Loyse premette con tutte le sue forze la molla segreta. Ma nessuno l’aveva mai oliata: non c’era stata ragione di tenerla in buono stato d’efficienza. Si bloccò. Loyse arretrò e puntellò la spalla contro la porta, poggiando entrambe le mani contro l’altra parete dello stesso passaggio, ed usando tutte le sue energie; e quando la porta si aprì, riuscì a non cadere aggrappandosi ai bordi dell’apertura.
Si girò di scatto, sguainando la spada con la prontezza che aveva acquisito esercitandosi continuamente in segreto. La faccia sbalordita di Hunold si volse verso di lei dal letto, dove stava lottando per tener ferma la vittima che si dibatteva. Con prontezza felina, scivolò dalla parte opposta, lasciando la donna, e balzò verso la cintura appesa alla spalliera della sedia più vicina.
Capitolo quarto
I passaggi segreti
Loyse aveva dimenticato il modo in cui si era vestita, e non pensò che Hunold poteva vedere in lei un altro maschio venuto a guastargli il divertimento. L’uomo aveva estratto fulmineamente il lanciadardi: lei aveva in mano la spada e il gesto di Hunold era in contrasto con le tradizioni più antiche. Ma la mira era un po’ esitante, tra l’intrusa e la donna distesa sul letto che, sebbene avesse le mani legate, si trascinava verso di lui sopra le coperte gualcite.
Spinta dall’istinto più che da un piano preciso, Loyse afferrò la sopravveste che Hunold si era tolta e gliela scagliò contro; forse fu quel gesto a salvarle la vita. Le fitte pieghe della stoffa deviarono la mira, e il dardo si piantò vibrando nel sostegno del baldacchino, anziché nel petto di Loyse.
Con un torrente d’imprecazioni, Hunold scostò con un calcio la stoffa aggrovigliata e si voltò di scatto verso la donna. Lei non cercò di fuggire: gli stava di fronte con una strana calma. Schiuse le labbra e lasciò cadere un oggetto ovale, dondolante da una corta catenella ancora stretta fra i denti.
Il Nobile Comandante non si mosse. I suoi occhi, sotto le palpebre socchiuse, cominciarono a seguire il lento movimento pendolare della gemma.
Loyse era giunta ai piedi del letto, e si soffermò nel vedere quella scena che sembrava uscita da un incubo. La donna si mosse lentamente e Hunold, gli occhi fissi sulla gemma, la seguì. Lei presentò a Loyse le braccia legate, mentre il suo corpo formava una parziale barriera tra la fanciulla e l’uomo.
Gli occhi di Hunold giravano da sinistra a destra e da destra a sinistra: poi, quando la gemma si fermò, rimase immobile. Aprì la bocca in un’espressione stordita: lungo l’attaccatura dei suoi capelli si formavano gocce di sudore.
L’impulso che l’aveva condotta fin lì, muovendola come una pedina nel gioco condotto da qualcun altro, dominava ancora Loyse. Tagliò con la spada le corde che legavano i polsi della donna, recidendo i nodi crudeli, liberando le braccia violacee. E quando l’ultima corda cadde, la donna abbandonò pesantemente le mani lungo i fianchi, come se non riuscisse a farle muovere.
Hunold si scosse. La mano che stringeva il lanciadardi descrisse un cerchio, ma lentamente, come piegata da una pressione enorme. Il suo viso luccicava di sudore: una goccia si raccolse sul labbro inferiore, gli cadde sul petto ansante.
Aveva gli occhi vivi, ardenti d’odio e di panico crescente. Eppure la mano continuava a muoversi, ed egli non riusciva a distogliere lo sguardo dalla gemma opaca. La spalla gli tremava. Loyse, a pochi passi di distanza, percepiva la sofferenza atroce di quella lotta vana. Hunold non voleva più uccidere: voleva solo salvarsi. Ma per il Nobile Condottiero di Kars non c’era scampo.
L’estremità della canna toccò la bianca pelle morbida nel punto in cui la gola s’innestava nel torace. L’uomo gemette sommessamente, come un animale in trappola, prima che il grilletto scattasse.
Vomitando un fiotto di sangue, liberato dalla morsa della volontà che l’aveva forzato ad uccidersi, Hunold avanzò barcollando. La donna si scostò a lato, agilmente, trascinando con sé Loyse. Hunold cadde contro il letto e si accasciò con la testa e le spalle penzoloni, le ginocchia sul pavimento come in un gesto di preghiera, mentre le sue mani si aggrappavano spasmodicamente alle coperte.
Per la prima volta, la donna guardò in faccia Loyse. Tentò di sollevare verso la bocca una di quelle mani orribilmente gonfie, forse per afferrare la gemma. E quando si accorse di non riuscirvi, tornò ad aspirare la gemma tra le labbra, e indicò con un cenno imperioso il varco nella parete.
Loyse non era più tanto sicura di sé. Per tutta la vita aveva sentito parlare della magia di Estcarp. Ma erano stati racconti di cose lontane, che non impegnavano la fede dell’ascoltatore. Bettris le aveva descritto la scomparsa della flotta lungo la scogliera, mentre l’aiutava a vestirsi per la cerimonia nuziale. Ma lei era così assorta nei suoi piani e nelle sue paure, in quel momento, che l’aveva considerata un’esagerazione.
Ciò che aveva veduto trascendeva la sua capacità di comprensione; si sottrasse alla vicinanza della strega, procedendo a tentoni nel passaggio segreto: desiderava soltanto di poter porre tra lei e l’altra un solido muro. Ma la donna la seguiva con agilità, dimostrando di possedere ancora notevoli riserve d’energia, nonostante il rude trattamento subito.
Loyse non aveva nessuna voglia di indugiare accanto al cadavere di Hunold. E temeva che Fulk, defraudato dello spasso, facesse irruzione da un momento all’altro. Tuttavia, chiuse il pannello dall’interno con estrema riluttanza. E rabbrividì in tutto il corpo quando l’altra la toccò con una mano intormentita, perché le facesse da guida. Infilò le dita nella cintura che teneva ancora insieme le vesti lacere della strega, e la trascinò via.
Si diresse verso la sua camera. Restava così poco tempo. Se Fulk avesse seguito il Nobile Comandante… se il valletto di Hunold fosse entrato per caso in quella stanza… o se per una ragione qualunque suo padre fosse venuto a cercarla…! Doveva uscire da Verlaine prima dell’alba, con la strega o senza la strega! Con improvvisa decisione, rimorchiò la sconosciuta lungo i passaggi bui.
Ma quando si ritrovò di nuovo nella luce, Loyse non si sentì capace di mostrarsi insensibile. Cercò qualche pezzo di tela morbida per lavare e fasciare i polsi dell’altra; frugò tra i suoi abiti per offrirle qualcosa con cui coprirsi.
Finalmente la strega riacquistò il controllo del proprio corpo, e si portò sotto il mento appuntito le mani socchiuse. Lasciò cadere dalle labbra la gemma. Evidentemente, non voleva che Loyse la toccasse, e dal canto suo la ragazza non era disposta a farlo.
«Mettimela al collo, ti prego.» Era la prima volta che la strega parlava.
Loyse prese la catenella, aprì il fermaglio e l’allacciò sotto i capelli scomposti che dovevano essere stati tagliati con fretta inesperta come i suoi… e forse per la stessa ragione.
«Ti ringrazio, Signora di Verlaine. Ed ora, se non ti spiace…» Aveva la voce rauca, come se la sua gola fosse inaridita. «Vorrei un po’ d’acqua.»
Loyse le accostò la coppa alle labbra. «Non è necessario che mi ringrazi,» rispose, con tutto l’ardire che riuscì a trovare in se stessa. «Si direbbe che porti con te un’arma più potente dell’acciaio!»
Sopra l’orlo della coppa, gli occhi della strega sorridevano. Loyse, scoprendo quella gentilezza, perse un po’ delle sua paura. Ma era ancora giovane, goffa, insicura di sé, e si risentiva rabbiosamente di quelle emozioni.
«Era un’arma che non ho potuto usare fino a quando tu hai distolto l’attenzione del nobile Comandante. Non posso permettere che cada in altre mani, neppure per salvarmi la vita. Ma basta…» Sollevò le mani, esaminò le fasciature ai polsi. Poi scrutò la stanza in disordine, notò sul pavimento lo scialle carico di capelli recisi, e le sacche da sella sulla cassapanca.