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«Non hai intenzione di recarti dal tuo sposo, Duchessa?»

Forse fu il tono della sua voce, forse fu il suo potere a fare scattare qualcosa nell’animo di Loyse, che rispose sinceramente.

«Non sono duchessa di Karsten, signora. Oh, hanno pronunciato le parole del rito alla presenza dei nobili di Yvian, e poi mi hanno reso omaggio in ginocchio.» Sorrise vagamente, ricordando l’impaccio di Siric. «Non sono stata io a scegliere Yvian. Ho accettato queste nozze solo per poter fuggire.»

«Eppure sei venuta in mio aiuto,» l’interruppe l’altra, osservandola con quegli occhi scuri fino a quando Loyse si sentì sconvolta.

«Perché non potevo fare altrimenti!» scattò allora. «Qualcosa mi ha trattenuta qui. Un tuo incantesimo, signora?»

«In un certo senso, in un certo senso. Ho fatto appello, a modo mio, a chiunque entro queste mura fosse in grado di udirmi. Si direbbe che noi abbiamo in comune qualcosa di più del pericolo, Signora di Verlaine.» Sorrise, apertamente. «0 meglio, dato che hai cambiato guisa per questa partenza, Signore di Verlaine.»

«Chiamami Briant: sono un mercenario senza stemma sullo scudo,» suggerì Loyse, che aveva preparato quell’identità già da diversi giorni.

«E dove andrai, Briant? A cercare di arruolarti a Kars? Oppure al nord? A nord ci sarà grande richiesta di mercenari senza stemma.»

«Estcarp è in guerra?»

«Diciamo che le viene mossa guerra. Ma è un’altra faccenda.» La strega si alzò. «Potremo discuterne quando saremo fuori da queste mura… poiché sono certa che tu conosci una via per uscirne.»

Loyse si buttò sulle spalle le sacche da sella, si assestò il cappuccio del mantello sull’elmo senza cimiero. Quando si mosse per spegnere i globi luminosi, la strega indicò lo scialle abbandonato sul pavimento. Irritata dalla propria dimenticanza, la fanciulla lo prese e gettò le ciocche recise nel fuoco morente.

«Ben fatto,» disse l’altra. «Non lasciare nulla che potrebbe venire usato per farti tornare… i capelli hanno questo potere.» Poi guardò la finestra centrale.

«Si affaccia sul mare?»

«Sì.»

«E allora lascia una falsa pista. Fai che Loyse di Verlaine muoia!»

Fu questione di un attimo spalancare la finestra e gettar fuori la splendida veste da sposa. Ma la strega le suggerì di fissare un brandello di biancheria all’orlo scabro del davanzale di pietra.

«Così,» disse, «non credo che cercheranno con troppo accanimento altre vie d’uscita da questa stanza.»

Varcarono di nuovo la porta segreta, e si avviarono nell’oscurità. Loyse spiegò che dovevano seguire il muro di destra e scendere lentamente. Sotto le loro mani, il muro divenne più umido, e l’aria si caricò degli odori umidi del mare, contaminati da un’antica putredine. Continuarono a scendere, fino a quando il mormorio delle onde prese a pulsare attraverso il muro. Loyse contò i gradini.

«Ecco! Ora viene il passaggio che conduce al luogo strano.»

«Il luogo strano?»

«Sì. Non mi piace indugiarvi, ma non abbiamo scelta. Dobbiamo attendere la luce dell’alba, perché ci guidi.»

Continuò ad avanzare, lottando con la riluttanza che cresceva gradatamente dentro di lei. In passato era giunta fin lì tre volte, ed ogni volta aveva dovuto combattere quella guerra silenziosa con il proprio corpo. Riconobbe la crescente apprensione, la minaccia che s’irradiava dalla tenebra promettendo qualcosa di peggio della sofferenza fisica. E tuttavia procedette, tenendo le dita agganciate alla cintura della compagna per trascinarla dietro di sé.

Nell’oscurità, Loyse udì l’altra trattenere il respiro, e poi parlare, in un bisbiglio sommesso, come se nelle vicinanze vi fosse qualcosa che poteva ascoltare le sue parole.

«Questo è un Luogo del Potere.»

«È un luogo strano,» ripeté ostinatamente Loyse. «Non mi piace: ma qui è la porta che ci farà uscire da Verlaine.»

Sebbene non potessero vedere, sentivano di essere passate dal corridoio ad un’area più vasta. Loyse intravvide un punto luminoso, in alto… il faro di una stella librata al di sopra di un crepaccio nella pietra.

Ma poi venne un altro barlume fioco che si ravvivò all’improvviso, come se qualcuno avesse scostato una cortina. Il lucore si muoveva nell’aria al di sopra del livello del suolo… era una macchia grigia, rotonda. Loyse udì una cantilena sommessa, parole che non conosceva. E quel suono vibrava nell’aria stranamente carica. Quando la luce divenne più forte, Loyse comprese che proveniva dalla gemma della strega.

Provò un formicolio sulla pelle: l’aria, intorno a loro, era satura d’energia. Loyse provava un senso di avidità… non avrebbe saputo dire per che cosa. Nelle altre visite in quel luogo aveva avuto paura, ed aveva dovuto soffermarsi per dominarla. Adesso aveva lasciato la paura alle spalle, ma non sapeva definire quella nuova sensazione.

La strega, rivelata dalla luce della gemma che portava sul seno, ondeggiava, estatica in volto. Il fiume di parole continuava ad uscirle dalle labbra… era una supplica, un’argomentazione, un incantesimo protettivo? Loyse non lo sapeva. Sapeva solo che entrambe erano avvolte da un’immensa ondata di un’energia che s’irradiava dalla sabbia e dalla roccia sotto i loro piedi, dalle pareti che le attorniavano: qualcosa che aveva dormito per lunghi secoli e che adesso s’era ridestato all’improvviso.

Perché? E cos’era? Loyse girò su se stessa, guadando nella tenebra che i suoi occhi non potevano penetrare. Che cosa stava in agguato al di là della fievole gora di luce dispensata dalla gemma?

«Dobbiamo andare!» Fu la strega a dirlo, incalzante. Teneva gli occhi scuri spalancati e tendeva la mano verso Loyse. «Non sono in grado di controllare forze più grandi della mia! Questo luogo è antico, alieno alla razza umana ed ai poteri che noi conosciamo. Qui un tempo venivano adorate divinità cui nessuno ha più eretto altari negli ultimi mille anni. E sento levarsi un residuo della loro antica magia! Dov’è l’uscita? Dobbiamo tentare di varcarla finché possiamo.»

«La luce della tua gemma…» Loyse chiuse gli occhi, rievocando i ricordi di quel luogo, come aveva sondato la propria memoria per ritrovare gli altri passaggi segreti. «Là,» disse, riaprendo le palpebre, tendendo la mano davanti a sé.

Passo passo, la strega si mosse in quella direzione, e la luce l’accompagnò, come Loyse aveva sperato. Alla loro destra c’era una scala dai larghi gradini rozzamente intagliati nella roccia e levigati dal tempo. Loyse sapeva che portava davanti ad un blocco piatto, segnato da solchi sinistri e piazzato sotto uno squarcio della volta, così che ad intervalli la luce del sole o della luna l’inondava d’oro o d’argento.

Girarono intorno a quella piattaforma di larghi gradini, e procedettero verso la parete. La luce della gemma rischiarò il mucchio di terra franata, ai piedi della porta di Loyse. Sarebbe stato rischioso arrampicarsi in quel buio sulla montagnola di pietra e di argilla, ma la fretta concitata della strega la turbava.

Come Loyse aveva temuto, la scalata fu un’impresa difficile. Sebbene la sua compagna non si lagnasse, immaginava che doveva essere un tormento, per lei, usare le mani martoriate. Quando poteva, la fanciulla la spingeva e la tirava; spesso il terreno cedeva sotto i loro piedi, minacciando di trascinarle di nuovo giù. Poi uscirono, e si buttarono sull’erba ruvida, circondate dall’aria salmastra: un barlume grigiastro, nel cielo, annunciò che la notte era quasi finita.

«Mare o terra?» chiese la strega. «Cerchiamo una barca lungo la spiaggia, oppure ci affidiamo alle nostre gambe e ci addentriamo fra le colline?»

Loyse si sollevò a sedere. «Niente di tutto ciò,» rispose vivacemente. «Siamo al limitare dei pascoli, tra la fortezza ed il mare. In questa stagione, i cavalli in soprannumero vengono lasciati liberi di vagare qui, fino a che c’è di nuovo bisogno di loro. E in una capanna, presso il cancello, vi sono le selle ed i finimenti dei mandriani. Ma può darsi che vi sia una guardia.»