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«Volt? Verità?» gli fece eco Simon; e l’uomo di Gorm rispose, impaziente.

«Volt dell’Ascia. Volt che scaglia i tuoni… Volt che ormai è solo uno spauracchio per spaventare i bambini cattivi! Estcarp è antica, la sua sapienza proviene da tempi anteriori alla storia dell’uomo… o alle sue leggende. Ma Volt è ancora più vecchio di Estcarp! È uno di coloro che vennero prima che l’uomo si armasse di clave e di pietre per combattere le belve. Solo Volt continuò a vivere: conobbe i primi uomini, ed essi conobbero lui… e la sua ascia. Nella sua solitudine, Volt ebbe pietà degli uomini, e con l’ascia aprì loro la strada verso la sapienza e il dominio, prima di abbandonarli.

«In alcuni luoghi ricordano Volt con gratitudine, sebbene lo temano, poiché era incomprensibile. E in altri luoghi lo odiano di un odio profondo, perché la sapienza di Volt ostacolava i loro desideri più grandi. Perciò noi rammentiamo Volt con preghiere e maledizioni, ed egli è nel contempo dio e demonio. Eppure noi quattro, ora, possiamo constatare che un tempo era un essere vivente, in questo affine a noi. Anche se, forse, possedeva altri doni in armonia con la natura della sua razza.

«Ah, Volt!» Koris levò il lungo braccio in un gesto di saluto. «Io, Koris, che sono Capitano di Estcarp e delle sue Guardie, ti reco il mio omaggio, e l’annuncio che il mondo non è cambiato molto dal giorno in cui lo abbandonasti. Combattiamo ancora, e la pace dura solo per poco tempo: ma forse ora, da Kolder, sta giungendo per noi la notte. E poiché sono stato disarmato dal mare, ti chiedo le tue armi! Se per tuo volere potremo fronteggiare ancora Kolder, mi sia concesso di brandire la tua ascia!»

Salì sul primo gradino e tese la mano, con sicurezza. Simon udì il grido soffocato di Jivin, il respiro sibilante di Tunston. Ma Koris sorrideva, mentre tirava delicatamente l’arma verso di sé. La figura assisa sembrava così viva che Simon quasi si aspettava che le mani cariche di anelli si stringessero, per strappare l’arma gigantesca all’uomo che l’aveva chiesta. Ma l’arma si liberò senza difficoltà, cedendo alla stretta di Koris, come se colui che l’aveva impugnata per tante generazioni non soltanto la lasciasse volontariamente, ma la spingesse verso il Capitano.

Simon si aspettava che il manico si sgretolasse, putrefatto, quando Koris la liberò. Ma il Capitano la brandì, levandola alta, e l’avventò in un colpo discendente, arrestandola a pochi centimetri dalla pietra del gradino. Nelle sue mani l’arma era una cosa viva, bellissima.

«Ti sarò grato per tutta la vita, Volt!» gridò. «Con questa conquisterò la vittoria, perché mai ho avuto nelle mani una simile arma. Io sono Koris, già di Gorm, Koris il Deforme. Eppure, grazie ai tuoi auspici, oh, Volt, sarò Koris il Conquistatore, ed il tuo nome sarà di nuovo grande in questa terra!»

Forse fu il timbro della sua voce a smuovere antiche correnti d’aria; Simon cercò di aggrapparsi a quella spiegazione razionale, di fronte a ciò che seguì. L’uomo seduto — o la figura antropomorfa — parve annuire, una volta, due volte, accettando le promesse esultanti di Koris. Poi il corpo che fino a pochi secondi prima era apparso tanto solido, cambiò sotto il loro sguardo, ripiegandosi su se stesso.

Jivin si nascose il volto tra le mani e Simon soffocò un’esclamazione. Volt — se pure era veramente Volt — era scomparso. Sul seggio era rimasta solo la polvere, null’altro… e l’ascia nella stretta di Koris. Tunston, che era un uomo privo d’immaginazione, si rivolse al suo ufficiale.

«Il suo turno di servizio era terminato, Capitano. Ora incomincia il tuo. Hai fatto bene a rivendicare l’arma. E credo che ci porterà fortuna.»

Koris stava facendo roteare di nuovo l’ascia; la lama curva passò sibilando nell’aria. Simon volse le spalle al seggio vuoto. Da quando era entrato in quel mondo aveva assistito alle magie delle streghe e le aveva accettate come parte della sua nuova vita: e adesso accettava anche questo. Ma neppure l’acquisizione della favolosa Ascia di Volt avrebbe portato loro l’acqua ed il cibo necessari alla loro sopravvivenza, e lo disse.

«Anche questo è vero,» riconobbe Tunston. «Se non ci sono altre vie d’uscita, dovremo ritornare sulla spiaggia e cercare altrove.»

Ma un’altra via c’era, perché la parete dietro il grande seggio mostrava un’arcata chiusa da terriccio e detriti. Cominciarono a scavare con le mani ed i coltelli. Era un lavoro sfibrante, e lo sarebbe stato anche per uomini che si fossero accinti a compierlo perfettamente riposati. E solo il nuovo orrore per il mare induceva Simon ad insistere. Alla fine, sgombrarono un corto corridoio e si trovarono di fronte ad una porta.

Un tempo doveva essere stata saldissima, intagliata com’era in un forte legno locale. La putredine non l’aveva erosa: ma la chimica naturale del suolo l’aveva trasformata in una sostanza dura come selce. Koris accennò agli altri di tirarsi indietro.

«Questo è un lavoro per me.»

Ancora una volta, l’Ascia di Volt si sollevò. Simon si lasciò quasi sfuggire un grido, temendo che la splendida lama si danneggiasse. Vi fu un clangore, e l’ascia si levò di nuovo, si abbatté, spinta dalle spalle poderose del Capitano.

La porta si schiantò: una parte s’inclinò verso l’esterno. Koris si scostò: e tutti e tre cominciarono ad allargare il varco. Il fulgore del sole li investì, e la frescura della brezza scacciò l’odore muffito del sepolcro.

Tolsero di mezzo ciò che restava della porta e irruppero attraverso uno schermo di rampicanti secchi e di arbusti; si trovarono sul fianco d’una collina, dove l’erba tenera della primavera spiccava a chiazze vive e i piccoli fiori gialli brillavano come monete d’oro. Erano sulla sommità della parete rocciosa e il pendio, da questa parte, scendeva verso un ruscello. Senza pronunciare una parola, Simon scese barcollando verso l’acqua che prometteva di togliergli la polvere dalla gola e di alleviare la tortura delle incrostazioni di sale sulla pelle.

Alzò la testa sgocciolante dal ruscello, qualche minuto dopo, e vide che Koris non c’era. Eppure era certo che il Capitano fosse uscito con loro dalla Tomba di Volt.

«Koris?» chiese a Tunston. L’altro si massaggiava il volto con manciate d’erba bagnata, sospirando di soddisfazione, mentre Jivin giaceva sul dorso accanto al ruscello, ad occhi chiusi.

«È andato a fare ciò che si deve fare per quell’uomo laggiù,» rispose Tunston in tono distaccato. «Nessuna Guardia deve restare abbandonata al vento e alle onde, se il suo ufficiale può provvedere diversamente.»

Simon arrossì. Aveva dimenticato il cadavere sulla spiaggia. Sebbene fosse entrato spontaneamente nella Guardia di Estcarp, non aveva mai sentito di farne veramente parte. Estcarp era troppo antica, ed i suoi uomini — e le sue streghe — gli erano alieni. Eppure, cosa gli aveva promesso Petronius, quando gli aveva offerto una via di scampo? L’uomo che si serviva del Seggio Periglioso trovava il mondo desiderato dal suo spirito. Lui era un soldato ed era giunto in un mondo in guerra: tuttavia quello non era il suo modo di combattere, e si sentiva ancora uno straniero senza patria.

Ricordò la donna con cui era fuggito attraverso la brughiera, senza sapere, allora, che era una strega di Estcarp. In certi momenti, durante la fuga, li aveva uniti un tacito cameratismo. Ma poi anche quello era svanito.

Lei era salita a bordo d’una delle altre barche, quando avevano lasciato Forte Sulcar. Aveva incontrato una sorte eguale, sul mare spietato? Si scosse, turbato da una sensazione che non voleva riconoscere, aggrappandosi disperatamente al suo ruolo di spettatore. Si girò sull’erba, appoggiò la testa sul braccio piegato, rilassandosi con uno sforzo di volontà come aveva imparato a fare molto tempo prima, e si addormentò.

Simon si svegliò altrettanto rapidamente, con i sensi vigili. Non poteva aver dormito molto, poiché il sole era ancora alto. Nell’aria c’era odore di cibi che cuocevano. Al riparo d’una roccia ardeva un piccolo fuoco, e Tunston vi arrostiva alcuni pesci infilati su fuscelli appuntiti. Koris dormiva accanto all’ascia; il suo volto fanciullesco appariva più tirato e logorato dalla stanchezza di quando era sveglio. Jivin stava disteso bocconi in riva al ruscello, e dimostrava di essere qualcosa di più d’un esperto cavaliere: la sua mano emerse dall’acqua stringendo un pesce appena catturato.