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Koris balzò sul sentiero, e piombò in una depressione dove stavano accovacciati due uomini. Simon proseguì lungo una pista fino ad un punto da cui, con una pietra, abbatté un bandito intento a sparare nella mischia. Gli bastò un momento per spogliare il cadavere del lanciadardi e delle munizioni; e subito puntò l’arma contro i camerati dell’ucciso.

I falchi volavano urlando, avventandosi su facce ed occhi, lacerando con gli artigli aguzzi. Simon sparò, prese di nuovo la mira e tornò a sparare, constatando i propri successi con rabbiosa soddisfazione. Un po’ dell’amarezza per la sconfitta subita a Forte Sulcar lo abbandonò in quei momenti frenetici, mentre c’era ancora resistenza attiva intorno a lui e sulla strada.

Uno squillo di corno stroncò le grida degli uccelli. Dall’altra parte della valle, una bandiera lacera si agitò vigorosamente, e i fuorilegge che erano ancora in piedi ripiegarono, sebbene non si dessero alla fuga fino a quando raggiunsero una zona boscosa, dove gli uomini a cavallo non avrebbero potuto inseguirli. Stava scendendo rapidamente la sera, e le ombre li inghiottirono.

I banditi potevano nascondersi agli uomini, ma non agli occhi dei falchi. I rapaci volteggiarono sui pendii, lanciandosi in picchiata: talvolta trovavano una preda, come attestavano le urla di dolore. Simon vide Koris sulla strada, con l’ascia in pugno chiazzata di scuro. Parlava concitatamente con un Falconiere, senza badare agli altri che passavano da un caduto all’altro e che talvolta sferravano con la spada un rapido colpo di grazia. C’era lo stesso impegno rabbioso, in quella procedura, che Simon aveva osservato dopo l’imboscata tesa dalle truppe di Gorm. Simon si diede da fare per allacciarsi la nuova cintura, poiché preferiva non osservare quella particolare attività.

I falchi stavano ridiscendendo nel cielo della sera, in risposta ai fischi dei loro padroni. I corpi di due Falconieri vennero legati attraverso le selle, e altri uomini cavalcavano fasciati, sorretti dai compagni. Ma le perdite dei fuorilegge erano state molto più pesanti.

Simon montò di nuovo in sella dietro un Falconiere: ma non era lo stesso uomo. E questo non aveva voglia di parlare: si stringeva al petto il braccio ferito e imprecava sommessamente ad ogni scossone.

La notte scese rapida tra le montagne: i picchi più alti nascondevano il sole, cingendo gore sempre più vaste d’oscurità. Si avviarono per un sentiero più largo e pianeggiante che, con una ripida scalata, li portò al nido che i Falconieri s’erano costruiti nella terra del loro esilio. La vista del forte strappò a Simon un fischio di meraviglia.

Era stato profondamente colpito dalle antiche mura di Estcarp, che sembravano modellate dalle ossa di quel mondo nei giorni della sua creazione. E Forte Sulcar, sebbene ammantato dalla nebbia innaturale, gli era apparso poderoso. Ma questa fortezza faceva parte dei precipizi e della montagna. Poteva solo pensare che i costruttori avessero scoperto per caso una vetta traforata da una serie di grotte, e le avessero ampliate e adattate. Il Nido non era un castello: era una montagna trasformata in fortezza.

Attraversarono un ponte levatoio gettato su un abisso fortunatamente nascosto dal crepuscolo: era così stretto che poteva passare solo un cavallo per volta. Simon riprese a respirare solo quando il cavallo passò sotto le punte affilate d’una saracinesca ed entrò in una caverna. Aiutò il Falconiere ferito a smontare e l’affidò ad uno dei suoi compagni, poi si girò per cercare le Guardie: notò la testa bruna di Tunston prima di scorgere gli altri.

Koris si diresse verso di loro, seguito da Jivin. Per qualche istante, sembrò che i loro ospiti li avessero dimenticati. I cavalli furono condotti via, e ciascuno degli uomini si trasferì il falcone sul guanto imbottito, prima di avviarsi verso un’altra galleria. Alla fine, uno degli elmi a forma di testa d’uccello girò verso di loro, e un ufficiale dei falconieri si avvicinò.

«Il Signore delle Ali vorrebbe parlare con voi, Guardie. Sangue e Pane, Spada e Scudo al nostro servizio!»

Koris gettò in aria l’ascia, l’afferrò al volo, e rivolse cerimoniosamente la lama lontano dall’altro. «Spada e Scudo, Sangue e Pane, uomo dei falchi!»

Capitolo terzo

Una strega a Kars

Simon si sollevò a sedere sulla branda, stringendosi la testa dolorante. Aveva fatto un sogno vivido e terrificante, di cui ricordava solo il terrore. Si era svegliato, e s’era trovato nell’austera stanza di un Falconiere, con quel dolore tremendo che gli trafiggeva la testa. Ma ancora più torte della sofferenza c’era la sensazione di dover obbedire ad un ordine… oppure doveva rispondere ad un’invocazione?

Il dolore si dileguò, ma il turbamento rimase. Non poteva rimanere a letto. Indossò gli abiti di cuoio forniti dai suoi ospiti, ed uscì, calcolando che doveva mancare poco all’aurora.

Erano al Nido da cinque giorni, e Koris intendeva dirigersi presto al nord, avviandosi verso Estcarp attraverso leghe e leghe di territorio infestato dai banditi. Simon sapeva che il Capitano sperava di legare i Falconieri alla causa della nazione settentrionale. Appena giunto alla capitale, avrebbe usato la sua influenza per vincere i pregiudizi delle streghe, in modo che i valenti guerrieri dagli elmi a testa di rapace potessero venire arruolati al servizio di Estcarp.

La caduta di Forte Sulcar aveva scosso gli abitatori delle montagne, e si parlava di preparativi di guerra. Nelle grotte più basse della strana fortezza, i fabbri lavoravano giorno e notte, gli armaioli non avevano tregua, e un gruppo di tecnici preparava le minuscole sfere che venivano fissate ai geti dei falchi e che permettevano ai rapaci di riferire ai loro padroni. Quello era il segreto più gelosamente custodito della nazione, e Simon era riuscito soltanto a sapere che era basato su un congegno meccanico.

Molte volte, Tregarth era rimasto sconcertato, nella sua valutazione di quei popoli, da sorprese inaspettate come quella. Gli uomini che combattevano armati di spade e scudi non avrebbero dovuto realizzare mezzi di comunicazione tanto complessi. Quelle stranezze erano sconcertanti. Poteva accettare la «magia» delle streghe più facilmente dell’idea che i falconi portassero occhi, orecchi e — quand’era necessario — anche voci.

La magia delle streghe… Simon salì una scala intagliata in una delle gallerie, e uscì in una postazione di vedetta. Non c’erano nebbie che nascondessero la catena di colline, nella luce del mattino. Attraverso un varco lontano, poteva scorgere la distesa pianeggiante che sapeva essere Karsten.

Karsten! Era così intento ad osservare che Simon non si accorse della presenza della sentinella fino a quando l’uomo parlò:

«Hai un messaggio, Guardia?»

Un messaggio? Quelle parole fecero scattare qualcosa nella mente di Simon. Per un istante, sentì rinascere la sofferenza sopra gli occhi, la certezza di dover fare qualcosa. Era una sorta di precognizione, ma diversa da quella che aveva provato sulla strada per Forte Sulcar. Adesso veniva chiamato, non avvertito. Koris e le Guardie potevano dirigersi a nord, se volevano: ma lui doveva andare a sud. Simon abbassò l’ultima difesa contro quella sensazione insidiosa, e lasciò che lo invadesse.

«È giunta qualche notizia dal sud?» chiese alla sentinella.

«Chiedilo al Signore delle Ali, Guardia.» L’uomo era sospettoso, come tutti i suoi simili. Simon si avviò verso la scala.

«Puoi starne certo!»

Prima di recarsi dal Comandante dei Falconieri, cercò il Capitano: lo trovò occupato nei preparativi per la partenza. Koris alzò gli occhi dai sacchi da sella, e smise di tirare fibbie e cinghie.

«Cosa c’è?»

«Ridi pure, se vuoi,» rispose seccamente Simon. «La mia strada volge al sud.»