Un corno echeggiò, in una serie di note ascendenti, cui risposero un latrato ed un grido soffocato. Simon si mise a correre. Quando giunse sul ciglio di un burrone, ebbe la certezza che il chiasso proveniva dall’altra parte della spaccatura, e si avviò in quella direzione. Con la prudenza ispiratagli dall’addestramento nei commandos, si nascose a terra fra due macigni.
La donna irruppe per prima dagli arbusti sulla scarpata di fronte. Correva: le lunghe gambe mantenevano il ritmo costante ed ostinato di chi ha alle spalle un lungo inseguimento, e davanti una meta lontana. Sul limitare della stretta valle, esitò e si guardò indietro.
Contro lo sfondo verdegrigio della vegetazione, lo snello corpo eburneo, nascosto a malapena dagli stracci che erano tutto il suo vestiario, parve spiccare nella luce fioca dell’alba. Con un gesto impaziente, si ributtò all’indietro le ciocche dei lunghi capelli neri, si passò le mani sul viso. Poi cominciò a procedere lungo la cresta del pendio, in cerca di un punto dove fosse possibile scendere.
Il corno squillò, e gli rispose il latrato. La donna trasalì convulsamente, e Simon si rialzò a mezzo dal nascondiglio, quando si rese conto all’improvviso che, in quella caccia feroce, lei doveva essere la selvaggina.
Si lasciò cadere di nuovo su un ginocchio, mentre la donna liberava freneticamente i suoi stracci impigliati in un roveto. La forza dello strattone la fece sdrucciolare oltre il ciglio della scarpata. Non gridò, ma le sue mani si protesero verso un arbusto, mentre cadeva: e i rami la sorressero. Quando cercò di trovare un appiglio per rimettersi in piedi, comparvero i segugi.
Erano animali bianchi e magri: i corpi scarni si girarono con fluidità incredibile, quando giunsero sull’orlo della valle. Con i nasi aguzzi puntati verso la donna, lanciarono ululati trionfanti.
La donna si contorse, tendendo convulsamente le gambe per trovare un appiglio sullo stretto cornicione sulla destra, il cornicione che poteva permetterle di discendere sul londovalle. Forse vi sarebbe riuscita, se non fossero sopraggiunti i cacciatori.
Erano a cavallo, e quello che portava sulle spalle il corno restò in sella, mentre il suo compagno smontava e andava ad affacciarsi, scostando i segugi a calci e sberle. Quando vide la donna, si portò la mano sulla fondina.
La donna lo vide, a sua volta, e interruppe i vani tentativi di raggiungere il cornicione: restò appesa all’arbusto, volgendo verso di lui il viso inespressivo. L’uomo sogghignò estraendo l’arma, come se assaporasse l’impotenza della sua preda.
Poi il proiettile sparato dalla pistola di Simon lo centrò. Con un urlo, l’uomo mosse qualche passo in avanti, barcollando, e precipitò dalla scarpata.
Prima che l’eco dello sparo e dell’urlo si fosse spenta, l’altro cacciatore si buttò al coperto, e Simon cominciò a capire meglio di che calibro fossero coloro che aveva affrontato. I segugi, impazziti, presero a correre avanti e indietro, riempiendo l’aria con i loro guaiti.
Ma la donna tentò un ultimo sforzo e trovò l’appiglio sul cornicione. Scese precipitosamente sul fondo del canalone, nascondendosi tra le rocce e gli arbusti. Simon vide un lampo nell’aria. Con la punta piantata nel suolo, a due pollici dal posto in cui s’era acquattato per sparare, un piccolo dardo vibrò e poi restò immobile. L’altro cacciatore era deciso a combattere.
Dieci anni prima, Simon aveva giocato a quel gioco quasi tutti i giorni, e ci si era divertito. E aveva scoperto che certe azioni, una volta apprese dai muscoli e dal corpo, non vengono dimenticate facilmente. Si trascinò fra gli arbusti più fitti per nascondersi ed attendere. I segugi cominciavano a stancarsi: molti si erano buttati a terra, ansimando. Ormai era solo questione di aver pazienza, e Simon ne aveva in abbondanza. Vide fremere la vegetazione e sparò una seconda volta… Gli rispose un grido.
Dopo qualche istante, messo in guardia dallo scricchiolio dei cespugli, si spinse strisciando sul ciglio della valle, e si trovò faccia a faccia con la donna. Gli occhi neri, obliqui nel viso triangolare, lo scrutarono intenti, acutissimi: Simon si sentì sconcertato. Poi, mentre le afferrava la spalla con la mano per trascinarla al coperto, provò una viva sensazione di pericolo, un bisogno disperato di continuare a muoversi attraverso la brughiera. La salvezza stava oltre il limitare della brughiera, nella direzione da cui era venuto.
La sensazione era così forte che Simon si sorprese a trascinarsi di nuovo tra le rocce, prima di alzarsi in piedi per mettersi a correre, misurando il passo su quello di lei, mentre l’abbaiare dei segugi diventava più debole dietro di loro.
Sebbene avesse già dovuto correre senza dubbio per molte miglia, la sua compagna manteneva un’andatura che gli costava fatica reggere. Finalmente giunsero in un luogo dove la brughiera cominciava a lasciar posto a stagni acquitrinosi circondati da erbe altissime. Fu allora che un soffio di vento portò di nuovo fino a loro il richiamo lontano di un corno. A quell’eco, la donna rise, lanciando un’occhiata a Simon, quasi chiedendogli di condividere la sua gaiezza. Indicò gli stagni, con un gesto, come per suggerire che là sarebbero stati al sicuro.
Un quarto di miglio più avanti, la nebbia si avvolgeva in spire, addensandosi, estendendosi per tagliare il loro cammino, e Simon la studiò. Forse sarebbero stati in salvo, entro quella cortina, ma forse si sarebbero perduti. E stranamente quella nebbia pareva provenire da un’unica sorgente.
La donna alzò il braccio destro. Da una larga fascia metallica che le cingeva il polso scaturì un lampo di luce, diretto verso la nebbia. Con l’altra mano, lei gli accennò di restare immobile, e Simon scrutò in quella coltre fitta, quasi certo di scorgervi il movimento di sagome scure.
Venne un grido: le parole erano incomprensibili, ma il tono di sfida era inequivocabile. La sua compagna rispose con una cadenza cantilenante. Ma quando giunse la risposta, lei vacillò. Poi si riscosse e guardò Simon, tendendo la mano in un gesto quasi supplichevole. Simon la prese, stringendola nel pugno: aveva intuito che l’aiuto richiesto era stato rifiutato.
«E adesso?» chiese. Forse la donna non riusciva a comprendere le parole, ma era certo che lei ne aveva indovinato il significato.
Delicatamente, la donna si inumidì la punta dell’indice e l’alzò nel vento che spirava ributtandole i capelli all’indietro, scostandoli dal volto segnato da un livido violaceo alla mascella e da ombre nere sotto gli zigomi. Poi, tenendo la mano di Simon, lo tirò sulla sinistra, immergendosi nelle pozzanghere fetide dove la schiuma verdastra si spezzava al loro passaggio, incollandosi in chiazze viscose alle gambe di lei ed ai calzoni infradiciati di Tregarth.
Girarono intorno all’acquitrino, e la nebbia che ne isolava la parte interna proseguì parallelamente a loro, escludendoli. La fame che Simon provava era ormai tormentosa, le scarpe fradice gli laceravano i piedi. Ma il suono del corno s’era disperso. Forse quel percorso aveva sconcertato i segugi.
La sua guida si fece largo tra le canne, ed uscì su una cresta sopraelevata dove c’era una specie di strada, indurita dall’uso, ma non più ampia d’un sentiero. La seguirono, procedendo più rapidamente.
Doveva essere pomeriggio avanzato, anche se in quella luce grigia e neutra era difficile valutare le ore, quando la strada cominciò a salire. Più avanti c’erano le scarpate di roccia rossa, che ascendevano quasi come una muraglia scabra, squarciata da un varco che accoglieva la strada.