Erano quasi arrivati a quella barriera quando la fortuna li abbandonò. Dall’erba, accanto al sentiero eruppe un piccolo animale scuro che passò correndo tra i piedi della donna, facendole perdere l’equilibrio: lei cadde sull’argilla battuta. Per la prima volta fece udire la sua voce, lanciando un grido di dolore, e si strinse la caviglia destra. Simon si affrettò a scostarle le mani e, attingendo alle conoscenze apprese sul campo di battaglia, si chinò per valutare la lesione. Non c’erano fratture: ma sotto il suo tocco la donna trattenne il fiato, bruscamente. Era chiaro che non avrebbe potuto proseguire. Poi, ancora una volta, giunse il suono del corno.
«Questo decide tutto!» disse Simon, più a se stesso che alla donna. Corse verso il varco. La strada si snodava fino a un fiume che scorreva nella pianura, allo scoperto. Eccettuati i pinnacoli di roccia che vigilavano il passo, non c’era nulla che rompesse la superficie piatta del terreno, per miglia e miglia. Si girò verso la scarpata e l’esaminò attentamente. Lasciò cadere il soprabito, si sfilò le scarpe scalciando e provò a cercare appigli. Dopo qualche secondo raggiunse un cornicione che, visto dalla strada, appariva solo come un’ombra. Ma era abbastanza largo per assicurare un riparo: e avrebbero dovuto accontentarsene.
Quando Simon scese, la donna si trascinò verso di lui, strisciando sulle mani e sulle ginocchia. Unendo le loro forze, raggiunsero il rifugio, e si acquattarono così vicini in quella depressione di roccia erosa dal vento che Simon sentì il calore del respiro affrettato di lei sulla guancia, quando si voltò a guardare il sentiero.
Si accorse che lei tremava, scossa da brividi che la squassavano dalla testa ai piedi quando il vento l’investiva. Goffamente, l’avvolse nella giacca bagnata, e la vide sorridere, sebbene la curva delle labbra fosse deturpata dalla lacerazione di un recente colpo. Non era bella, decise: era troppo magra, troppo pallida, troppo esausta. Anzi, sebbene il corpo fosse esposto dal disordine degli stracci, non provava per lei il minimo interesse maschile. E mentre quel pensiero gli attraversava la mente, si rese conto che in qualche modo lei comprendeva quella valutazione, e la trovava divertente.
La giovane donna si trascinò verso l’orlo della depressione, si mise a spalla a spalla con lui; poi rialzò il polso della giacca, appoggiandosi sul ginocchio il polso cinto dal bracciale. Di tanto in tanto, stropicciava le dita su un cristallo ovale incastonato nella fascia metallica.
Tra i sibili del vento, potevano udire il corno, la risposta dei segugi. Simon estrasse l’automatica. Le dita della sua compagna lasciarono il braccialetto per toccare brevemente l’arma, come se in quel modo lei potesse comprenderne la natura. Poi annuì, mentre i punti bianchi che erano segugi uscivano dagli alberi, in fondo alla strada. Li seguivano quattro cavalieri: Simon li osservò.
La tranquillità con cui si avvicinavano indicava che non si aspettavano difficoltà. Forse non conoscevano ancora la sorte toccata ai loro compagni, al burrone. Forse credevano di stare ancora inseguendo una sola preda e non due. E si augurò che fosse veramente così.
Avevano le teste coperte da elmi metallici crestati, con strane visiere abbassate per nascondere la metà superiore dei volti. Indossavano indumenti che sembravano una via di mezzo tra la camicia e la giacca, allacciati dalla cintola alla gola. Le cinture erano larghe una ventina di pollici e sostenevano armi chiuse nelle fondine, coltelli, e varie borse ed oggetti che Simon non seppe identificare. Le brache erano aderenti, e gli stivali terminavano a punta all’esterno delle gambe. Sembravano in uniforme: gli indumenti erano dello stesso taglio e della stessa stoffa verde-azzurra, e sul lato destro dei giachi spiccavano simboli identici.
I segugi scarni, dalle teste piatte come quelle dei serpenti, salirono turbinando la strada e si avventarono ai piedi della roccia: alcuni si rizzarono sulle zampe posteriori, raspando l’aria sotto il cornicione. Simon, ricordando il dardo che l’aveva mancato di poco, sparò per primo.
Con un grido soffocato, il primo dei cacciatori vacillò e sdrucciolò dalla sella; lo stivale s’impigliò nella staffa e il cavallo, proseguendo la corsa, trascinò il corpo inerte lungo la strada. Vi fu un grido, quando Simon sparò un secondo colpo. L’uomo si strinse il braccio mentre si buttava al riparo: il cavallo che trascinava ancora il morto superò il varco e si lanciò verso la pianura del fiume.
I segugi smisero di abbaiare. Ansimando, si buttarono ai piedi della guglia: i loro occhi sembravano scintille di fuoco giallo. Simon li scrutò con disagio crescente. Conosceva i cani da guerra: li aveva visti utilizzare come sentinelle. Questi erano grossi animali, capaci di uccidere: lo si capiva dalla loro postura mentre osservavano e attendevano. Avrebbe potuto centrarli uno ad uno, ma non osava sprecare le munizioni.
Sebbene la giornata fosse stata semibuia, si rendeva conto che la notte sarebbe stata anche peggio, con la totale oscurità: e stava scendendo rapidamente. Il vento che spirava dagli acquitrini investiva gelido il loro rifugio.
Simon si mosse, ed uno dei segugi balzò su, vigile, puntando le zampe anteriori sulla roccia e levando un ululato minaccioso. Una mano salda strinse il braccio di Simon, trascinandolo indietro nella posizione precedente. Ancora una volta, ricevette un messaggio attraverso quel contatto. Sebbene la loro situazione sembrasse disperata, la donna non appariva intimorita. Simon intuì che stava aspettando qualcosa.
Potevano sperare di arrampicarsi fino in cima alla scarpata? Nel crepuscolo, la vide scuotere i capelli scarmigliati, come se gli avesse letto nel pensiero.
I segugi tornarono a quietarsi, sdraiandosi ai piedi della parete, e tennero gli sguardi puntati in direzione delle loro prede. Chissà dove — Simon si sforzava di vedere nel crepuscolo — chissà dove i loro padroni dovevano essere in movimento, decisi a raggiungere i fuggitivi. Simon sapeva di essere un ottimo tiratore, ma le condizioni stavano rapidamente cambiando in favore degli altri.
Tenne stretta l’automatica, pronto ad agire al minimo suono. La donna si scosse, con un’esclamazione soffocata, un respiro ansimante. Simon non ebbe bisogno di sentirsi tirare per il braccio, per volgersi a guardarla.
Nella semioscurità, un’ombra si mosse all’estremità del cornicione. E la donna gli strappò dalla mano la pistola, di sorpresa, ne batté rabbiosamente il calcio su quella cosa strisciante.
Vi fu uno squittio acuto, troncato bruscamente. Simon si affrettò a riprendere l’arma e solo quando la riebbe saldamente in mano guardò l’essere che si contorceva con la schiena spezzata. Denti bianchi ed aguzzi in una testa piatta e stretta, saldata ad un corpo peloso, gli occhi rossi vivi di qualcosa che lo sbalordì… intelligenza animale! Stava morendo, ma si contorceva ancora per raggiungere la donna, esalando un lieve sibilo tra le zanne, con un intento maligno che traspariva da ogni linea del corpo straziato.
Disgustato, Simon mosse il piede di scatto, colpendo il fianco dell’essere, e lo scagliò nel vuoto, tra i segugi.
Li vide disperdersi, separarsi indietreggiando come se avesse gettato in mezzo a loro una bomba a mano. Tra i loro guaiti, udì un suono più incoraggiante, la risata della donna che gli stava accanto. Vide che aveva gli occhi illuminati da una luce di trionfo. Lei annuì e rise di nuovo, mentre Simon si sporgeva a scrutare quello stagno d’ombra che lambiva la base del pinnacolo, nascondendo il corpo dell’essere.
Gli uomini nascosti là sotto avevano forse sguinzagliato contro di loro un altro cacciatore? Eppure la paura, la rapida ritirata dei cani che adesso turbinavano a parecchi metri di distanza, sembravano indicare altrimenti. Se avevano cacciato in compagnia dell’essere ucciso, non l’avevano fatto per libera scelta. Accettando quella possibilità come un altro dei misteri del mondo in cui era finito — di sua volontà — Simon si preparò a vegliare per tutta la notte. Se l’attacco silenzioso del piccolo animale era stato una mossa degli assedianti, forse sarebbero usciti allo scoperto per insistere.