Tra Simon e il continente si estendeva l’ampiezza della baia. Se quel porto era Sippar, e non aveva motivo di credere che non lo fosse, ora si trovava di fronte al lungo braccio di terra su cui gli invasori avevano edificato Yle, il braccio che terminava in un dito di cui Forte Sulcar era stato l’unghia. Dopo la caduta della roccaforte dei mercanti, era probabile che le forze dei Kolder controllassero ormai l’intero promontorio.
Se fosse riuscito a trovare una piccola imbarcazione ed a prendere il largo, Simon sarebbe stato costretto a seguire la rotta più lunga ad est, lungo la baia, verso la foce del fiume Es, e poi fino ad Estcarp. Ed era ossessionato dalla certezza che il tempo non combatteva più dalla sua parte.
Trovò la barca che cercava, un piccolo guscio custodito in un magazzeno. Sebbene Simon non fosse un marinaio, prese tutte le possibili precauzioni per assicurarsi che fosse in grado di tenere il mare. E attese che fosse completamente buio prima di prendere i remi; digrignò i denti per il dolore delle ammaccature e remò energicamente, zigzagando tra i relitti putridi della flotta gormiana.
Quando li ebbe superati, si azzardò ad alzare il piccolo albero… e urtò a capofitto contro le difese dei Kolder. Non vide e non udì nulla, quando si accasciò sul fondo della barca, tappandosi le orecchie con le mani, chiudendo gli occhi per ripararsi dal tumulto del suono silenzioso e di luce invisibile che s’irradiava da un punto del suo cervello. Aveva pensato che la lotta contro la pressione della volontà l’avesse reso consapevole del potere dei Kolder, ma quel sovvertimento nel cervello era anche peggio.
Per quanto rimase entro quella nube? Pochi minuti, un giorno o un anno? Stordito e muto, Simon non riusciva a comprenderlo. Giaceva abbandonato in una barca che oscillava seguendo le onde, ma obbediva alla lieve spinta del vento sulla vela. E dietro di lui c’era Gorm, morta e buia nel chiaro di luna.
Prima dell’alba, Simon venne raccolto da un vascello della guardia costiera proveniente dall’Es, e ormai aveva recuperato la lucidità, sebbene si sentisse ancora la mente sconvolta. Cambiando cavallo alle varie postazioni, raggiunse la città di Estcarp.
Nel forte, nella stessa sala dove aveva incontrato per la prima volta la Guardiana, Simon partecipò a un consiglio di guerra e riferì la sua avventura a Gorm, e i suoi contatti con i Kolder agli ufficiali di Estcarp ed alle donne che ascoltavano impassibili. Mentre parlava, cercava con gli occhi una delle streghe, ma non la trovò.
Quando ebbe terminato (gli avevano rivolto poche domande, lasciando che raccontasse a modo suo, mentre Koris stringeva le labbra, impietrito, nel sentir descrivere la città dei morti), la Guardiana chiamò con un cenno una delle altre donne.
«Ora, Simon Tregarth, prendile le mani, e pensa all’uomo con la calotta in testa, ricorda ogni dettaglio del suo abbigliamento e del suo viso,» ordinò la Guardiana.
Sebbene non ne comprendesse lo scopo, Simon obbedì. Di solito, pensò ironicamente, si obbediva alle streghe di Estcarp.
Prese tra le sue quelle mani fresche ed asciutte, e raffigurò mentalmente la veste grigia, la strana faccia con la metà inferiore che contrastava stranamente con la metà superiore, la calotta metallica, l’espressione di potenza e poi di perplessità apparsa su quei lineamenti quando Simon si era ribellato. Le mani della donna si ritrassero, e la Guardiana parlò di nuovo.
«Hai visto, sorella? Puoi modellare?»
«Ho visto,» rispose la donna. «E posso modellare ciò che ho visto. Poiché ha usato il potere nel duello di volontà, l’impressione dovrebbe essere forte. Tuttavia…» La strega abbassò lo sguardo sulle mani, muovendo le dita come se si preparasse a qualche compito, «Tuttavia non so se potremo servircene. Sarebbe stato meglio se fosse scorso il sangue.»
Nessuno fornì spiegazioni, e Simon non ebbe tempo di fare domande, perché Koris lo prese in disparte, appena il consiglio si sciolse, e lo condusse alla caserma. Appena furono nella stanza che gli era spettata prima della partenza per Forte Sulcar, Simon chiese al Capitano:
«Dov’è la signora?» Era irritante non poterne dire il nome: quella stranezza delle streghe lo infastidiva più che mai. Ma Koris comprese.
«Sta controllando le postazioni di confine.»
«Ma è al sicuro?»
Koris scrollò le spalle. «Chi di noi è al sicuro, Simon? Ma stai certo che le donne del Potere non corrono rischi inutili. Ciò che custodiscono in se stesse non può venire sprecato alla leggera.» Si era accostato alla finestra, volgendo il viso alla luce, con gli occhi intenti come se non volesse vedere altro che la pianura oltre la città. «Dunque Gorm è morto.» Lo disse con voce pesante.
Simon si sfilò gli stivali e si sdraiò sul letto. Era stanchissimo e indolenzito.
«Ti ho detto ciò che ho visto, nient’altro. C’è vita nel forte centrale di Sippar. Non ho trovato esseri viventi altrove, ma non ho cercato molto.»
«Vita? Che genere di vita?»
«Questo devi chiederlo ai Kolder, o forse alle streghe,» ribatté Simon insonnolito. «Né gli uni né le altre sono simili a te ed a me, e forse considerano la vita in un modo diverso.»
Si accorse appena che il Capitano si era allontanato dalla finestra e gli stava accanto, nascondendo con le ampie spalle la luce del giorno.
«Sto pensando, Simon Tregarth, che anche tu sei diverso.» Ancora una volta, il tono era pesante, senza sonorità. «E vedendo Gorm, come hai considerato la sua vita… o la sua morte?»
«Atroce,» mormorò Simon. «Ma anche questo dovrà venire giudicato a suo tempo.» E si stupì delle parole che aveva scelto, mentre si stava addormentando.
Dormì, si svegliò, mangiò voracemente, e si riaddormentò. Nessuno venne a cercarlo, e si disinteressò di quel che succedeva nel forte di Estcarp. Riposava come un animale che accumulasse il riposo sotto la pelle, come un orso accumula strati di grasso in vista dell’ibernazione. Quando si svegliò di nuovo, si sentì pronto, impaziente, fresco come non gli era accaduto da tanto tempo… prima di Berlino. Berlino… cosa… dove era Berlino? Ormai i suoi ricordi erano sepolti sotto nuove realtà.
E il ricordo che tornava più spesso ad assillarlo era la stanza della casa di Kars, dove gli arazzi lisi coprivano le pareti ed una donna lo guardava con gli occhi colmi di stupore, mentre tracciava con la mano un simbolo fiammeggiante nell’aria. Poi c’era l’altro momento, quando lei era rimasta, nauseata e stranamente sola, dopo aver operato una sordida magia per Aldis, contaminando il suo dono per il bene della sua causa.
Mentre Simon stava disteso, fremente di vita in ogni nervo e in ogni cellula, liberato dai dolori, dalla tensione della fame e della concitazione, mosse la mano destra e se la posò sul cuore. Ma non sentì il calore della propria pelle: cullava nella memoria qualcosa di diverso, mentre un canto che non era un canto fluiva da lui, e nell’altra mano aveva afferrato una sostanza che non sapeva di possedere.
Sopra ogni altra cosa, più della vita tra gli scorridori del confine, più dell’esperienza della prigionia… quelle scene silenziose e passive lo dominavano. Sebbene prive di azione fisica, possedevano per lui un interesse segreto che non osava definire o spiegare troppo minuziosamente.
Ma ben presto dovette scuotersi. Mentre dormiva, Estcarp aveva radunato tutte le sue forze. I fari sulle alture avevano portato messaggeri dalle montagne, dal Nido, da tutti coloro che erano disposti ad opporsi a Gorm ed alla fine atroce minacciata da Gorm. Mezza dozzina di vascelli di Sulcar, rimasti senza patria, erano attraccati nelle cale scoperte dai Falconieri; le famiglie degli equipaggi erano sbarcate sane e salve, e le navi erano state armate e preparate per l’attacco. Ormai tutti erano convinti che bisognava muovere guerra a Gorm prima che fosse Gorm ad aggredirli.