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C’era un accampamento alla foce dell’Es: e c’era una tenda eretta sulla riva dell’oceano. Dal suo ingresso si poteva vedere l’ombra dell’isola, simile a un banco di nubi sopra le acque. E in attesa del segnale, oltre la punta dove le rovine del loro forte erano battute dalle onde, indugiavano le navi, cariche di uomini di Sulcar, Falconieri e scorridori del confine.

Ma prima era necessario abbattere la barriera che cingeva Corni, e questo spettava a coloro che detenevano il Potere di Estcarp. Perciò, senza sapere perché dovesse far parte di quel gruppo, Simon si ritrovò seduto ad un tavolo che sembrava destinato ad un gioco. Ma non c’era una superficie a blocchi alternati di colori: davanti ad ogni seggio c’era un simbolo dipinto. I presenti formavano uno strano assortimento, per un comando supremo.

Simon scoprì che gli era stato assegnato il posto accanto alla Guardiana: il simbolo, lì, copriva due spazi. Era un falco bruno, incorniciato da un ovale dorato; e sopra l’ovale stava una corona a tre punte. Alla sua sinistra, un rombo verdazzurro racchiudeva un pugno che stringeva un’ascia. E più oltre, un quadrato rosso incastonava un pesce cornuto.

A destra, oltre la Guardiana, c’erano altri due simboli che Simon non poteva distinguere senza sporgersi in avanti. Due streghe sedettero in silenzio davanti a quei segni, posandovi sopra le mani. Vi fu un movimento sulla sinistra; e Simon, alzando la testa, provò uno strano senso di sollievo quando incontrò uno sguardo fermo nel quale c’era qualcosa di più del riconoscimento della sua identità. Ma lei non parlò, e Simon imitò quel silenzio. Il sesto ed ultimo dei presenti era il giovane Briant, pallidissimo: fissava il pesce dipinto davanti a lui come se fosse vivo, e come se dovesse tenerlo prigioniero con lo sguardo entro quel mare scarlatto.

La donna che aveva stretto la mano di Simon mentre egli pensava all’uomo di Gorm entrò nella tenda, seguita da altre due, ognuna delle quali portava un piccolo braciere d’argilla esalante un fumo dolcissimo. Li posarono sull’orlo del tavolo, e l’altra donna posò l’ampio canestro che aveva portato. Tolse il telo che lo copriva e scoprì una fila di piccole immagini.

Prese la prima, e andò a mettersi davanti a Briant. Per due volte passò nel fumo la statuetta, poi la tenne davanti agli occhi del ragazzo. Era un manichino splendidamente lavorato, con i capelli d’oro rosso, e con un aspetto così realistico che Simon immaginò fosse il ritratto di un uomo vivente.

«Fulk.» La donna pronunciò il nome e depose la statuetta al centro del quadrato scarlatto, esattamente sul pesce dipinto. Briant non poteva impallidire: la sua carnagione trasparente era sempre esangue. Ma Simon lo vide deglutire convulsamente, prima di rispondere.

«Fulk di Verlaine.»

La donna tolse dal canestro una seconda figura e, quando si avvicinò alla vicina di Simon, questi poté rendersi meglio conto della perfezione del suo lavoro. Infatti la donna teneva tra le mani, facendola passare nel fumo, un’immagine perfetta di colei che aveva chiesto un incantesimo per tenere legato a sé Yvian.

«Aldis.»

«Aldis di Kars,» riconobbe la donna seduta accanto a Simon, mentre i piedi minuscoli della statuetta venivano posati sul pugno che stringeva l’ascia.

«Sandar di Alizon.» Una terza statuetta per la posizione più lontana, sulla destra.

«Siric.» Un’immagine ventruta dalle vesti fluenti per l’altro simbolo di destra.

Poi la donna prese l’ultima figurina, studiandola per un momento prima di passarla tra il fumo. Quando venne a mettersi davanti a Simon e alla Guardiana, non pronunciò nomi, ma gliela mostrò perché la riconoscesse. E Simon vide il piccolo simulacro del comandante di Gorm. A quanto poteva ricordare, la somiglianza era perfetta.

«Gorm!» riconobbe Simon, sebbene non sapesse dare un nome più preciso al Kolder. E la donna posò scrupolosamente la statuetta sul falco bruno ed oro.

Capitolo quinto

Il gioco del potere

Cinque immagini posate sui simboli delle loro terre, cinque rappresentazioni perfette di esseri viventi, quattro uomini ed una donna. Ma perché? Per quale scopo? Simon guardò di nuovo verso destra. I minuscoli piedi dell’effigie di Aldis erano circondati dalle mani della strega, quelli della figura di Fulk dalle dita di Briant. Entrambi fissavano assorti le immagini, e Briant sembrava turbato.

L’attenzione di Simon si concentrò sulla figura che gli stava davanti. Nella sua mente guizzarono vaghi ricordi di antiche favole. Avrebbero dovuto trafiggere i pupazzi con gli spilloni, per fare soffrire e morire gli originali?

La Guardiana gli prese la mano, con la stessa stretta che lui aveva conosciuto a Kars durante la metamorfosi. Nello stesso tempo, la donna posò l’altra mano, a semicerchio, intorno alla base della figurina. Simon posò la sua, in modo che le loro dita, toccandosi, racchiudessero il Kolder.

«Ora ognuno di voi deve pensare alla persona che ha effigiata davanti, e con cui ha avuto una prova di potere o un legame di sangue. Scacciate dalla mente tutto il resto, tranne la persona che dovete raggiungere e piegare al nostro volere. Perché ora vinceremo il Gioco del Potere su questo tavolo… o falliremo!»

Gli occhi di Simon erano fissi sulla figura del Kolder. Non sapeva se avrebbe potuto distoglierli, volendo. Pensava di essere stato chiamato a partecipare a quella bizzarra procedura perché lui, solo, tra tutti coloro che appartenevano alle forze di Estcarp, aveva visto il comandante di Gorm.

Il volto minuscolo, adombrato dalla calotta metallica, ingrandì, assunse proporzioni naturali. Simon lo fronteggiava attraverso lo spazio come l’aveva fronteggiato attraverso quella sala, nel cuore di Sippar.

Gli occhi erano di nuovo chiusi; l’uomo era impegnato nella sua attività misteriosa. Simon continuò a studiarlo, e poi seppe che tutto l’antagonismo per i Kolder, tutto l’odio scatenato in lui da quanto aveva scoperto nella città, dal loro modo di trattare i prigionieri, si concentravano nella sua mente: era come se componesse piccoli pezzi per ricavarne un’arma formidabile.

Simon non era più nella tenda agitata dai venti del mare, dove la sabbia soffiava su un falco dipinto. Stava invece davanti al Kolder nel cuore di Sippar, e con la sua volontà gli imponeva di aprire gli occhi chiusi, di guardarlo, di prepararsi ad un combattimento mentale.

Gli occhi si aprirono, e Simon fissò le pupille scure, vide le palpebre sollevarsi di più, come per riconoscere la minaccia che si serviva di lui come punto di concentrazione, come il calderone in cui ogni terrore ed ogni pericolo poteva venire portato all’ebollizione.

Gli occhi dell’uno fissavano gli occhi dell’altro. Le impressioni del volto piatto, della calotta metallica, di tutto, tranne quegli occhi, svanì, poco a poco. Come Simon aveva sentito il flusso del potere passare dalla sua mano a quella della strega, a Kars, adesso sapeva che l’energia ribollente in lui veniva continuamente alimentata da un calore più grande di quello che potevano generare le sue emozioni, che lui era un’arma per lanciare un dardo fatale.

All’inizio, il Kolder l’aveva contrastato con sicurezza; ora cercava di liberarsi da quel legame tra occhio ed occhio, tra mente e mente, riconoscendo troppo tardi d’essere preso in trappola. Ma la trappola era scattata, e per quanto lottasse, l’uomo non poteva sciogliersi da ciò che aveva accettato nell’arrogante fiducia verso la sua forma di magia.

Simon sentì tutta la tensione erompere bruscamente da lui, passare da lui all’altro. Gli occhi furono sommersi dal panico, il panico lasciò il posto ad un terrore abietto che continuò a bruciare fino a quando non trovò più nulla per alimentarsi. Simon comprese di avere di fronte solo un guscio vuoto, che avrebbe obbedito alla sua volontà, come i gusci vuoti di Gorm obbedivano alla volontà dei loro padroni.