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Simon continuava a scrutare la costa, scrutando l’imboccatura di ognuna di quelle strade deserte, levando di tanto in tanto gli occhi verso la mole cieca che era il cuore di Sippar sotto molti punti di vista. Non avrebbe saputo dire che cosa temeva… una squadriglia di aerei, un esercito che si riversasse dalle strade ai moli. Non incontrare nulla di nulla era più sconcertante che affrontare le armi di Kolder portate da torme di schiavi. Era troppo facile, e Simon non riusciva a nutrire piena fiducia nel Gioco del Potere; una parte di lui rifiutava di credere che avessero sconfitto tutto ciò che vi era in Gorm, solo perché una minuscola statuetta era finita con la testa fusa.

Raggiunsero la riva senza incidenti; quelli di Sulcar sbarcarono più avanti, sulla costa, per tagliare la strada agli eventuali rinforzi che potevano provenire da altri punti dell’isola. Esplorarono le strade ed i vicoli che Simon aveva percorso giorni prima, controllarono le porte sbarrate, frugarono negli angoli bui. Ma a quanto poterono scoprire, non c’era nulla che vivesse e si muovesse entro il guscio vuoto della capitale di Gorm.

Erano ormai vicini alla fortezza centrale quando venne il primo segno di resistenza: non dall’aria, e non sotto forma di onde invisibili, ma a piedi, e con le armi in mano, come gli uomini di quel mondo avevano combattuto per generazioni.

All’improvviso le vie si popolarono di guerrieri che si muovevano rapidi, ma senza far rumore, senza lanciare grida di battaglia, e avanzavano decisi e minacciosi. Alcuni portavano le uniformi caratteristiche di Sulcar, altri di Karsten, e Simon vide tra loro alcuni elmi dei Falconieri.

La carica silenziosa veniva compiuta da uomini che non erano soltanto sacrificabili, ma non pensavano a proteggere se stessi, come quelli dell’imboscata sulla strada del mare. Si avventarono sulle forze d’invasione con l’impatto di un carro armato su una compagnia di fanti. Simon cominciò a sparare con il lanciadardi, ma Koris caricò con l’Ascia di Volt, come un turbinante strumento di morte, per aprire un varco attraverso le linee nemiche.

Gli schiavi dei Kolder erano degni avversari, ma erano privi della scintilla d’intelligenza che li avrebbe spinti a ridisporsi in formazione, per sfruttare meglio la superiorità numerica. Sapevano solo di dover attaccare finché restava loro un po’ di forza, finché erano ancora in piedi. E attaccavano, con l’insana insistenza dei dementi. Era un macello insensato che disgustava persino i veterani della Guardia, mentre s’impegnavano per difendersi e guadagnare terreno.

L’Ascia di Volt non era più lucente; tuttavia Koris la lanciò in aria per dare il segnale dell’avanzata. I suoi uomini serrarono le file, lasciandosi alle spalle una via che non era più vuota, sebbene fosse priva di vita.

«Questo aveva lo scopo di attardarci.» Simon raggiunse il Capitano.

«Lo credo anch’io. E adesso cosa dobbiamo attenderci? La morte dall’aria, come è avvenuto a Forte Sulcar?» Koris scrutò il cielo: e rivolse l’attenzione ai tetti.

E quei tetti suggerirono un altro piano al suo compagno.

«Non credo che potrete fare irruzione nella fortezza a livello del suolo,» cominciò Simon, e udì una risata sommessa echeggiare sotto la visiera abbassata del Capitano.

«Non è vero. Io conosco certe vie d’accesso che forse neppure i Kolder hanno saputo scoprire. Un tempo, questa era la mia tana.»

«Ma io ho un piano,» l’interruppe Simon. «Sulle navi ci sono corde in abbondanza, e grappini d’abbordaggio. Lascia che un gruppo proceda attraverso i tetti, mentre tu rintracci le tue tane, e forse potremo stringerli fra due fuochi.»

«Va bene!» concesse Koris. «Tu tenta le vie dell’aria, poiché una volta le hai già percorse. Scegli i tuoi uomini, ma non prenderne più di venti.»

Per due volte furono attaccati dalle schiere silenziose dei morti viventi, ed ogni volta lasciarono numerosi compagni sul terreno, quando finirono di abbattere gli schiavi di Kolder. Alla fine, le forze di Estcarp si separarono. Simon e venti uomini della Guardia sfondarono una porta e salirono verso un tetto, tra i vecchi miasmi di morte. Il senso dell’orientamento non aveva tradito Tregarth; il tetto vicino presentava uno squarcio irregolare. Era lì che era finito con il suo aereo.

Si scostò per lasciar passare i marinai che lanciarono i grappini d’abbordaggio verso il parapetto dell’altro tetto, sopra le loro teste, dall’altra parte della via. Gli uomini si legarono al fianco le spade, strinsero le cinture, fissarono decisi quel doppio cavo gettato attraverso il vuoto. Simon aveva preso con sé soltanto uomini abituati alle alte montagne. Ma adesso, al momento decisivo, aveva più dubbi che speranze.

Salì per primo: la corda ruvida gli scalfiva le mani, imponeva alle sue spalle una tensione che sentiva farsi più insopportabile ad ogni momento.

Poi l’incubo finì. Sciolse una terza corda che portava arrotolata alla cintura, e ne gettò l’estremità appesantita ad uno dei compagni, girando intorno ad una delle colonne che sostenevano il tendone, per aiutarlo a salire.

Gli aerei che aveva sfasciato erano ancora dove li aveva lasciati, ma i pannelli dei motori aperti e gli utensili sparsi qua e là testimoniavano che qualcuno era venuto a ripararli. Era impossibile capire perché le riparazioni non fossero state ultimate. Simon ordinò a quattro uomini di sorvegliare il tetto e le corde, e insieme agli altri scese ai piani sottostanti.

Anche lì regnava lo stesso silenzio che predominava nella città. Percorsero corridoi, scesero le scale, passando davanti alle porte chiuse: e si udiva solo il suono leggero dei loro passi. Il forte era deserto?

Si addentrarono nel cuore dell’edificio cieco, aspettandosi di incontrare da un momento all’altro una schiera di invasati. La luce diventò più intensa; c’era nell’aria un cambiamento indefinibile, e suggeriva che, se quei piani adesso erano deserti, non lo erano stati fino a poco tempo prima.

Simon ed i suoi uomini giunsero all’ultima scala di pietra che ricordava così bene. In fondo, quella pietra sarebbe stata rivestita dalle pareti grige dei Kolder. Simon si affacciò, ascoltando. In basso, molto in basso, c’era finalmente un suono, regolare come il battito del suo cuore.

Capitolo sesto

Piazza pulita a Gorm

«Capitano.» Tunston gli si avvicinò. «Che cosa incontreremo laggiù?»

«In questo, la tua previsione vale la mia,» rispose Simon quasi distrattamente, perché in quel momento si accorse che non percepiva alcun senso di pericolo, neppure in quello strano luogo di morte e di vita parziale. Eppure là sotto c’era qualcosa, altrimenti non si sarebbe sentito quel rumore.

Simon si avviò per primo, con il lanciadardi in pugno, scendendo i gradini cautamente, ma a passi svelti. C’erano porte chiuse che resistettero ai loro tentativi di aprirle, fino a quando giunsero nella sala con la mappa sulla parete.

I tonfi salivano dal pavimento sotto i loro piedi, facevano vibrare le pareti, e saturavano i loro orecchi e i loro corpi con quel ritmo lento.

Le luci della mappa erano spente. Non c’erano più macchine sul tavolo, e non c’erano più gli uomini grigio-vestiti che le azionavano, sebbene i morsetti metallici e qualche filo abbandonato indicassero i punti in cui si trovavano un tempo. Ma all’altro tavolo sedeva ancora una figura con la calotta sul capo: era immobile come Simon l’aveva vista l’altra volta.

In un primo momento, Simon credette che l’uomo fosse morto. Si accostò al tavolo, scrutando intento il Kolder. A quanto gli pareva di capire, era lo stesso uomo che aveva tentato di visualizzare per l’artista di Estcarp. E si sentì fuggevolmente compiaciuto per l’esattezza del suo ricordo.