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Ma Simon non aveva bisogno di quel richiamo per osservare. Aveva visto a sua volta il secondo vortice d’acqua, che sospinse la prima nave verso il molo. Ormai era chiaro: nessuno le governava. Quasi non osando credere che il vascello fosse abbandonato, i tre rimasero nascosti. Solo quando emerse la terza nave, e fece roteare le altre due spostando l’acqua, Simon accettò l’evidenza e si alzò in piedi. Quelle navi non avevano nessuno, a bordo, oppure erano in avaria totale. Andavano alla deriva senza guida: due si scontrarono con un tonfo.

Sui ponti non si scorgevano aperture: nulla indicava che portassero equipaggi e passeggeri. Ma lo spettacolo offerto dal molo sembrava indicare che la situazione doveva essere diversa: c’era stato un carico affrettato dei vascelli, per attaccare o per ritirarsi da Gorm. E se lo scopo fosse stato un attacco, gli schiavi sarebbero stati uccisi?

Sarebbe stata una follia salire a bordo d’uno di quei siluri argentei, senza alcuna preparazione. Ma sarebbe stato opportuno tenerli d’occhio. I tre ritornarono all’ascensore. Una delle navi urtò contro il molo, se ne staccò di poco, ondeggiando.

«Rimarrete qui?» Era una domanda, quella che Simon rivolse ai suoi uomini, più che un ordine. Le Guardie di Estcarp erano abituate a cose molto strane, ma quello non era il posto più adatto per piazzare un uomo riluttante.

«Quelle navi… dovremmo scoprirne i segreti,» rispose uno degli uomini. «Ma non credo che usciranno mai più di qui, Capitano.»

Simon accettò quel dissenso larvato. Insieme, abbandonarono il porto sotterraneo ai relitti ed ai morti. Prima di risalire con l’ascensore, Simon ne esaminò l’interno, per cercare i comandi. Voleva raggiungere un piano da cui fosse possibile mettersi in contatto con il contingente di Koris, senza tornare di nuovo alla sala della mappa.

Ma le pareti della cabina erano completamente spoglie. Delusi, chiusero la porta, aspettandosi di venir ricondotti di sopra. Quando la vibrazione delle pareti attestò che erano in moto, Simon ricordò nitidamente il corridoio del laboratorio, e desiderò di raggiungerlo.

La cabina si fermò, la porta si aprì, ed i tre si trovarono di fronte ad altri uomini sorpresi ed armati. Solo quegli istanti di sbalordimento risparmiarono un errore fatale, perché uno del gruppo che stava all’esterno chiamò Simon per nome: era Briant.

Poi la figura inconfondibile di Koris si fece largo.

«Da dove saltate fuori?» chiese il Capitano. «Dal muro?»

Simon riconobbe il corridoio in cui stavano: era quello cui aveva pensato. Ma perché la cabina l’aveva condotto lì, come se reagisse al suo desiderio? Al suo desiderio!

«Avete trovato il laboratorio?»

«Abbiamo trovato molte cose, ma sono quasi tutte incomprensibili. E non abbiamo trovato ancora un Kolder! E voi?»

«Un Kolder, e adesso è morto… o forse sono morti tutti!» Simon pensò alle navi nella caverna, a ciò che potevano avere a bordo. «Non credo che corriamo il rischio d’incontrarli, ormai.»

Nelle ore che seguirono, la profezia di Simon si rivelò esatta. Tranne l’uomo dalla calotta metallica, non c’erano più Kolder, in Gorm. E coloro che avevano servito i Kolder erano tutti morti. Li trovarono a squadre, a compagnie, a piccoli gruppi nei corridoi e nelle stanze della fortezza. Giacevano come se si fossero accasciati all’improvviso, come se la forza che li faceva agire fosse cessata di colpo, ed essi fossero piombati nel nulla cui avrebbero dovuto appartenere già da tempo, nella pace che i padroni avevano loro negata.

Le Guardie trovarono altri prigionieri nella stanza dopo il laboratorio. Alcuni erano stati compagni di prigionia di Simon. Si svegliarono storditi dal sonno drogato, incapaci di ricordare ciò che era avvenuto da quando erano stati gassati: ma ringraziarono i loro dei per essere stati portati a Gorm troppo tardi per seguire la tragica sorte dei loro predecessori.

Koris e Simon guidarono alcuni marinai di Sulcar al porto sotterraneo e, a bordo di una barca, esplorarono la caverna. Trovarono soltanto pareti di roccia. L’uscita doveva trovarsi sotto la superficie, e Simon pensò che fosse stata bloccata prima che le navi potessero fuggire.

«Se l’uomo con la calotta controllava tutto,» mormorò Koris, «allora la sua morte deve averle imprigionate qui. Inoltre, poiché tu avevi già lottato con lui da lontano per mezzo del Potere, forse già da tempo impartiva ordini confusi.»

«Forse,» ammise distrattamente Simon. Pensava a ciò che aveva appreso dal Kolder, in quegli ultimi secondi di vita. Se il resto delle forze nemiche era veramente rinchiuso in quelle navi, allora Estcarp aveva veramente ragione di rallegrarsi.

Con una cima, trascinarono una delle navi a fianco del molo. Ma le chiusure del portello apparivano enigmatiche; Koris e Simon lasciarono ai marmai di Sulcar il compito di risolvere il problema e tornarono al forte.

«È un’altra delle loro magie.» Koris chiuse dietro di loro la porta dell’ascensore. «Ma evidentemente l’uomo con la calotta non la controllava, perché noi possiamo usarla ancora adesso.»

«Questa si può controllare come faceva il Kolder.» Simon si appoggiò alla parete: si sentiva invadere dalla stanchezza. La loro vittoria non era conclusiva; aveva il presentimento che altre lotte l’attendevano. Ma quelli di Estcarp avrebbero creduto a ciò che lui aveva da dire? «Pensa al corridoio in cui ci siamo incontrati, raffiguralo nella tua mente.»

«Davvero? Koris si tolse l’elmo: si appoggiò con le spalle alla parete di fronte e chiuse gli occhi, concentrandosi.

La porta si aprì. Videro il corridoio del laboratorio, e Koris rise, divertito come un ragazzo.

«Anch’io, Koris il Deforme, posso operare questa magia. Si direbbe che tra i Kolder il Potere non fosse limitato soltanto alle donne.»

Simon richiuse la porta, pensò intensamente alla sala della mappa. Solo quando la raggiunsero rispose all’osservazione del suo compagno.

«Forse è questo che ora dobbiamo temere, Capitano. I Kolder avevano una loro forma del Potere, e hai visto come la usavano. Forse Gorm, adesso, racchiude i tesori della loro sapienza.»

Koris gettò l’elmo sul tavolo, sotto la mappa, si appoggiò all’ascia e guardò Simon.

«È un tesoro che ci consigli di non saccheggiare?» Aveva compreso immediatamente.

«Non so.» Simon si lasciò cadere su una sedia: appoggiò la fronte sui pugni e fissò la superficie del tavolo. «Non sono uno scienziato, un maestro di questo genere di magia. Gli uomini di Sulcar si lasceranno tentare da quelle navi, Estcarp da tutto quello che c’è qui.»

«Tentare?» Qualcuno ripeté quella parola, e i due uomini si voltarono. Simon si alzò, quando vide la donna che si sedeva quietamente un po’ discosta da loro, mentre Briant le stava accanto come se fosse il suo scudiero.

La strega portava l’elmo e l’usbergo, ma Simon sapeva che l’avrebbe riconosciuta comunque, anche se si fosse camuffata con una metamorfosi.

«Tentare,» ripeté lei. «Hai scelto bene la parola, Simon. Sì, noi di Estcarp verremo tentati; è per questo che io sono qui. Questa lama è a doppio taglio, e noi potremo ferirci, se non saremo prudenti. Dovremo rifiutare questa strana sapienza, o distruggere tutto ciò che abbiamo scoperto, e metterci al sicuro; oppure rischieremo di aprire inconsapevolmente la strada ad un secondo attacco dei Kolder, poiché non è possibile preparare una difesa, se non si conoscono bene le armi contro cui ci si deve battere.»

«Non dovrete temere molto, da parte dei Kolder,» disse Simon, lentamente. «Fin dall’inizio sono sempre stati poco numerosi. Se qualcuno è riuscito a fuggire di qui, possiamo sempre inseguirli fino alla fonte, e chiuderla.»

«Chiuderla?» Fu Koris a formulare quella domanda.

«Durante la lotta finale con il loro capo, lui ha rivelato il segreto.»

«Non sono originari di questo mondo?»