Il vecchio allargò le braccia, e con un'ultima protesta si avviò zoppicando tra le stradine del villaggio. I viaggiatori lo seguirono; le ali ripiegate dei loro destrieri sfioravano i bassi tetti rossi, da entrambi i lati del passaggio.
— Kyo, cosa sono i pedanar?
L'ometto sorrise, e non disse nulla.
— Yahan, cosa significa quella parola, pedanar?
Il giovane plebeo, una persona tranquilla e candida, parve imbarazzato. — Be', Signore, un pedan è… uno che cammina in mezzo agli uomini…
Rocannon annuì, facendo tesoro di quell'informazione, per piccola che fosse. Allorché egli studiava la specie, prima di allearsi militarmente ad essa, aveva continuato a cercare dati sulla sua religione; sembrava che non avesse alcuna fede. Eppure era una specie disposta a credere ai più disparati aspetti del sovrannaturale. Accettavano gli incantesimi, le maledizioni, gli strani poteri come realtà, e il loro rapporto con la natura era profondamente animistico. Ma non avevano dèi. E adesso, finalmente, ecco una parola che faceva pensare al sovrannaturale. Non gli venne in mente, sul momento, che quella parola si riferisse a lui.
Occorsero tre di quelle miserevoli capanne per ospitare i sette viaggiatori; i destrieri, troppo grossi per entrare in una casa del villaggio, dovettero rimanere fuori, legati. Le bestie si raccolsero tutte insieme, arruffando il pelo per proteggersi dal vento gelido proveniente dal mare. Il destriero di Rocannon, quello con il manto a strisce, continuò a grattare il muro e a lamentarsi con lunghi miagolii, finché Kyo non uscì ad accarezzargli le orecchie.
— Presto gli capiterà anche di peggio, povera bestia — disse Mogien, seduto con Rocannon accanto al focolare che riscaldava la capanna. — Odiano l'acqua.
— A Hallan mi hai detto che non volano al di sopra dell'acqua, e questi contadini non hanno navi capaci di trasportarli. Come attraverseremo il canale?
— Hai con te il ritratto della regione? — domandò Mogien. Gli Angyar non avevano carte geografiche, e Mogien era affascinato dalle cartine della Spedizione Geografica stampate nel Manuale. Rocannon estrasse il libro dalla vecchia borsa a tracolla di cuoio che lo aveva accompagnato da un mondo all'altro e che conteneva le poche cose che aveva con sé a Hallan, quando la nave era stata distrutta. Il Manuale e i bloc-notes, la tuta e la pistola, l'astuccio del pronto soccorso e la radio, una scacchiera della Terra e un volume di poesia Hainila, mezzo squinternato. Dapprima aveva tenuto nella borsa anche la collana con lo zaffiro, ma la sera precedente, preoccupato per il valore del gioiello, aveva cucito intorno al pendente un sacchetto di soffice pelle di barilor, e si era messo al collo la collana, sotto la tunica e la camicia, cosicché ora sembrava un amuleto; d'ora in poi, perché potesse perderla, occorreva che perdesse anche la testa.
Con il lungo, sottile dito indice, Mogien seguì sulla cartina la costa dei due continenti occidentali, nel tratto dove erano separati da un braccio di mare: la regione all'estremo sud di Angien, con due profondi golfi e un grasso promontorio che puntava a sud. Indicò, sull'altra sponda del canale, il capo più settentrionale del continente di sudovest, che Mogien chiamava «Fien».
— Noi siamo qui — disse Rocannon, prendendo, dagli avanzi del pasto, una vertebra di pesce e appoggiandola sulla punta del promontorio.
— E qui, se questi contadinacci fifoni e mangiapesci dicono la verità, c'è un castello chiamato Plenot. — Mogien posò sulla carta una seconda vertebra, un centimetro a est della precedente, e si soffermò a contemplarla. — Una torre ha un aspetto molto simile, vista dall'alto. Quando ritornerò a Hallan, manderò cento uomini in ricognizione, in volo, perché osservino il territorio: i loro disegni ci aiuteranno a scolpire un grande ritratto in pietra di tutto l'Angien. A Plenot troveremo le navi: probabilmente tutte le navi di questo villaggio, Tolen, e quelle del signore locale. Tra questi due Signori poveri c'è stata una faida, e per questo adesso Tolen è il dominio del vento e della notte. Così raccontava a Yahan quel vecchio.
— Plenot ci presterà le navi?
— Plenot non ci presterà un bel niente. Il signore di Plenot è un Esterno.
Questo significava, nelle complicate regole che stabilivano i rapporti tra i feudi degli Angyar, un signore bandito dagli altri, fuorilegge, non legato al codice di ospitalità, di vendetta, di restituzione.
— Ha solo due destrieri — continuò Mogien, slacciandosi il cinturone per la notte. — E il suo castello, dicono, è di legno.
Il mattino seguente, mentre volavano sottovento in direzione del castello di legno, una guardia li avvistò quasi nello stesso momento in cui essi avvistavano la torre. I due destrieri del castello furono in volo pochi istanti più tardi, e continuarono a girare in cerchio intorno alla torre. Qualche istante ancora e si poterono distinguere anche alcune piccole figure con archi, dietro le feritoie. Chiaramente, un signore Esterno non si aspettava che le visite fossero amichevoli. Rocannon capì anche perché i castelli degli Angyar fossero coperti da tetti che rendevano cupo e cavernoso il loro interno, ma che li proteggevano dagli attacchi aerei. Plenot era un piccolo castello, addirittura più rustico di quello di Tolen; gli mancava il villaggio di plebei, ed era appollaiato su una rupe nera sovrastante il mare; ma per povero che fosse, la fiducia di Mogien che sei uomini riuscissero a conquistarlo sembrava un po' eccessiva. Rocannon controllò le cinghie che gli assicuravano le cosce alla sella, impugnò più saldamente la lancia da volo che Mogien gli aveva dato, e imprecò contro se stesso e il proprio destino. Non era il posto adatto per un etnologo di quarantatré anni.
Mosien, che volava in testa a tutti sul suo animale nero, sollevò la lancia e gridò. La bestia di Rocannon abbassò la testa e si buttò anch'essa in pieno volo. Le ali bianche e grige salivano e scendevano come pale; il corpo lungo, ampio e leggero della bestia era teso e pulsava tutto, sotto i battiti del cuore possente. Il vento fischiava intorno a loro, e la torre di Plenot, coperta di paglia, sembrava avvicinarsi precipitosamente. I due grifoni che volavano intorno alla torre sollevarono la testa. Rocannon si appiattì sulla schiena della bestia, preparandosi all'urto della sua lunga lancia. Sentiva crescere in sé una felicità, un antico piacere: rise, per la gioia di essere portato dal vento. La torre e le sue due guardie alate si fecero sempre più vicine, finché, d'improvviso, con un grido in falsetto, acutissimo e penetrante, Mogien scagliò la lancia, che attraversò l'aria come un fulmine argenteo.
L'arma colpì in pieno petto uno dei difensori del castello; la forza dell'impatto fu tale da spezzargli le cinghie da coscia: l'uomo scivolò sui fianchi dell'animale e, con una traiettoria netta, apparentemente lenta, toccò terra fra le onde che s'infrangevano tranquillamente sugli scogli coperti di spuma, cento metri più in basso. Senza badare al grifone privo di cavaliere, Mogien ingaggiò subito un duello con l'altra guardia, a corpo a corpo, cercando di colpire con la spada, schivando la lancia che l'altro, invece di lanciare, usava di punta e per parare.
I quattro servitori di Mogien, montati sui loro grifoni bianchi e grigi, si libravano intorno ai combattenti come terribili colombe, pronti a intervenire, ma senza intromettersi nel duello del loro signore. Badavano soltanto a mantenersi fuori tiro, per evitare che le frecce, dal castello, forassero la cotta di cuoio che proteggeva la pancia dei grifoni.
Ma d'improvviso tutti e quattro, lanciando l'urlo acutissimo che già aveva colpito sgradevolmente i timpani di Rocannon, si scagliarono verso i duellanti. Per un attimo ci fu una confusione di ali bianche e di lame scintillanti sospese a mezz'aria. Poi, da quel mucchio indistinto, cadde una figura che sembrava voler dormire nell'aria, rigirando le braccia e le gambe intorpidite per trovare la posizione giusta, e che infine urtò contro il tetto del castello e rimbalzò in basso, finendo la traiettoria su un duro letto di scogli.