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Secondo il codice Angyar era la verità; e se c'era una persona che non avrebbe mai infranto il codice, quella era Mogien.

— Se tu trovassi un nuovo padrone, quello vecchio non potrebbe più toccarti: è vero, Yahan?

Il ragazzo assentì. — Ma un servo ribelle non trova padroni.

— Dipende. Impegnati a servirmi, e io risponderò di te a Mogien… ammesso che lo troviamo. Non conosco la formula che usate…

— Noi diciamo — cominciò Yahan, parlando a voce molto bassa, — dono al mio Signore le ore delia mia vita e l'uso della mia morte.

— E io le accetto. E con esse anche la vita che tu mi hai ridato.

Il ruscello scorreva rumoreggiando dal fianco della montagna, e il cielo si era oscurato. Qualche tempo più tardi, Rocannon si tolse la tuta e si distese nell'acqua fredda, perché l'acqua, scorrendo lungo tutto il corpo, portasse via il sudore, la stanchezza, la paura e l'immagine delle fiamme che gli sfioravano gli occhi.

Una volta sfilata, la tuta era una manciata di tessuto trasparente e di tubi e di fili quasi invisibili, sottili come capelli, con due cubi traslucidi grossi come un'unghia. Yahan, a disagio, osservò Rocannon che si rimetteva la tuta (non aveva abiti, e Yahan era stato costretto a scambiare con un paio di pelli di herilor, sudice, le sue vesti Angyar).

— Signore Olhor — disse infine, — è stata quella pelle, che non ha permesso al fuoco di bruciarti? O è stato… il gioiello?

Adesso la collana era nascosta nel sacchetto degli amuleti di Yahan, intorno al collo di Rocannon. Rocannon rispose gentilmente: — La pelle. Non ci sono incantesimi. Si tratta solo di una corazza molto robusta.

— E il bastone bianco?

Rocannon abbassò gli occhi sul bastone, lo stesso che aveva raccolto sulla spiaggia, con l'unica differenza che adesso una delle estremità era carbonizzata. Yahan l'aveva trovato la notte prima, tra l'erba della scogliera, e lo aveva portato con sé, esattamente come avevano fatto in precedenza gli uomini di Zgama, i quali l'avevano portato al forte insieme con Rocannon; parevano convinti che dovesse tenerselo: che cos'era un mago senza la sua bacchetta?

— Be' — rispose, — è un buon bastone, se c'è da camminare. — Si distese nuovamente, e per mancanza di un pasto prima del sonno, si dissetò ancora con l'acqua del ruscello scuro, freddo e rumoroso.

Il mattino seguente, quando si svegliò, sul tardi, si era ristabilito ed era affamato. Yahan si era allontanato all'alba, sia per controllare le trappole sia perché aveva troppo freddo per rimaner e ancora a lungo in quell'umida tana. Quando fece ritorno aveva soltanto una manciata di erbe, e recava una cattiva notizia. Era salito fino alla cresta della montagna (si trovavano ancora sul versante rivolto verso il nord) e da lassù aveva visto che a sud si stendeva un altro largo braccio di mare.

— Quei maledetti mangiapesci di Tolen ci hanno lasciato su un'isola? — brontolò. Il suo solito ottimismo era messo a dura prova dal freddo, dalla fame e dal dubbio.

Rocannon cercò di ricordare com'era tracciata la costa nelle sue carte geografiche scomparse in mare. Un fiume che giungeva dall'ovest sfociava a settentrione di una lunga lingua di terra, la quale a sua volta faceva parte di una lunga catena montuosa parallela alla costa, che correva da ovest a est; tra la lingua di terra e la massa principale del continente si stendeva un braccio di mare abbastanza lungo e ampio, chiaramente delineato sulla cartina e nella memoria di Rocannon. Quanto poteva essere lungo? Cento, duecento chilometri?

— Quant'è largo? — domandò a Yahan.

Il giovane gli rispose tristemente: — Molto largo. Io non so nuotare, Signore.

— Possiamo camminare. Questo promontorio si unisce alla terraferma, a ovest. Probabilmente troveremo Mogien lungo la strada: ci starà aspettando. — Spettava a lui dare gli ordini (Yahan aveva già fatto la sua parte), ma aveva un tuffo al cuore quando pensava al lungo tragitto in un territorio sconosciuto e ostile. Yahan non aveva incontrato anima viva, ma aveva scorto sentieri tracciati, e in quei boschi doveva esserci qualche abitante, visto che la selvaggina era così scarsa e timorosa.

Ma per avere qualche possibilità di trovare Mogien (ammesso che Mogien fosse vivo, che fosse libero, e che avesse ancora i destrieri) si sarebbero dovuti dirigere verso sud, perché laggiù si trovava il loro obbiettivo. — Andiamo — disse Rocannon. e si avviarono.

Era da poco passato il mezzogiorno quando, guardando dalla cima di una montagnola, scorsero un'ampia insenatura che si stendeva a perdita d'occhio, da ovest a est, e che appariva plumbea sotto un ciclo di nuvole basse.

La costa, dall'altro lato del mare, era visibile unicamente come una fila di collinette basse e scure, indistinguibili nella distanza. Il vento proveniente dallo stretto soffiava freddo e pungente alle loro spalle mentre scendevano faticosamente verso la costa e si avviavano poi verso ovest. Yahan alzò gli occhi verso le nubi, chinò la testa fra le spalle e disse tristemente: — Tra poco nevicherà.

E infatti cominciò presto a nevicare: neve di primavera, umida e spinta dal vento, che svaniva immediatamente al contatto con la terra, così come svaniva subito quando veniva a cadere sull'acqua scura. La tuta difendeva Rocannon dal freddo, ma la fame e la fatica lo indebolivano. Anche Yahan era stanco, e aveva freddo. Continuarono a camminare, perché non c'era altro da fare. Guadarono un ruscello, si arrampicarono sulla riva, tra erba ruvida e raffiche di neve, e giunti sull'argine si trovarono a faccia a faccia con un uomo.

— Houf! — fece questi, sgranando gli occhi, prima per la sorpresa, e poi per lo stupore nel vedere quei due uomini: uno con le labbra livide, tremante, vestito di un paio di pelli lacere, e il secondo nudo.

— Ha, houf! — ripeté. Era un individuo irsuto, scarno, dalla schiena curva: aveva una grande barba e occhi scuri ed eccitati. — Ehi, voi, laggiù! — disse, nel dialetto Olgyior, — morirete assiderati!

— Siamo arrivati a nuoto… la nave è affondata — disse Yahan, improvvisando. — Hai una casa dove sia acceso un fuoco, cacciatore di pelliun?

— Venite da sud, dall'altra parte dello stretto?

L'uomo pareva preoccupato da questa prospettiva, e Yahan rispose, indicando con un gesto vago la zona alle sue spalle: — No, veniamo da est… intendevamo comprare pelli di pelliun, ma tutta la nostra merce da scambio è finita in acqua.

— Ahn, ahn — fece l'uomo selvaggio, avviandosi. Era ancora preoccupato, ma una qualche vena di cortesia pareva averla avuta vinta sulle sue paure. — Seguitemi; ho fuoco e cibo — disse, e voltatosi, riprese a camminare nella neve leggera che giungeva a folate.

Rocannon e Yahan lo seguirono, e presto giunsero alla sua capanna, appollaiata su un pendio, tra la cima della collinetta coperta d'alberi e lo stretto. All'interno e all'esterno era uguale alle capanne da caccia dei plebei delle foreste dell'Angien, e Yahan si accovacciò accanto al fuoco con un sospiro di sollievo, come se fosse ritornato a casa. Questo comportamento rassicurò il loro ospite, meglio di qualsiasi complicala spiegazione. — Accendi il fuoco, ragazzo — disse a Yahan, mentre cercava per Rocannon un mantello filato in casa, perché potesse coprirsi.

Toltosi il mantello, mise a riscaldarsi tra le ceneri una pentola di coccio piena di stufato e sedette amichevolmente accanto agli ospiti, fissando con curiosità prima l'uno e poi l'altro. — Nevica sempre, in questo periodo dell'anno, e presto nevicherà più forte. C'è tutto lo spazio che volete; d'inverno siamo solo in tre, qui dentro. Gli altri arriveranno questa sera o domani, o abbastanza presto; aspetteranno che finisca di nevicare, prima di scendere dalla montagna dove sono andati a caccia. Siamo cacciatori di pelliun, come avrai certo capito dai miei zufoli, vero, ragazzo? — Toccò la serie di massicci flauti di legno che portava appesi alla cintura, e sorrise. Aveva un'aria selvatica, feroce e un po' sciocca, ma era ospitale. Diede a tutti e due un'abbondante razione di stufato, e quando giunse la sera, indicò loro dove riposare. Rocannon non se lo fece ripetere due volte. Si avvolse nelle pelli sporche che costituivano il letto e si addormentò come un bambino.