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Al tramonto aveva lasciato il destriero legato per le redini a un albero, in una radura delle colline, e adesso, dopo qualche ora di cammino, si stava avvicinando al gruppo di edifici che sorgevano davanti a lui, in fondo a un vasto nudo spiazzo di cemento: il campo d'atterraggio dei razzi. Ce n'era soltanto uno, e veniva usato raramente, adesso che tutto il materiale e tutti gli uomini erano arrivati. Non si poteva fare la guerra con astronavi a velocità-luce, quando il più vicino pianeta civile si trovava a otto anni luce di distanza.

La base era grande, spaventosamente grande, vista con i propri occhi, ma la maggior parte dell'area e degli edifici serviva ad alloggiare gli uomini. I ribelli avevano trasportato laggiù quasi tutto il loro esercito. Mentre la Lega perdeva tempo esplorando il loro pianeta natale e occupandolo militarmente, i ribelli avevano puntalo tutto sul pianeta senza nome, data la scarsissima probabilità che qualcuno scoprisse la base segreta, su quel pianeta sconosciuto, perduto fra innumerevoli altri pianeti della Galassia.

Rocannon sapeva che alcuni di quei grandi edifici erano di nuovo vuoti: un contingente di tecnici e di soldati era partito giorni addietro, per occupare, supponeva Rocannon, qualche pianeta che i ribelli avevano conquistato o avevano convinto a unirsi come alleato. I soldati non sarebbero giunti su quel mondo che tra dieci anni. I faradayani erano molto sicuri di sé: evidentemente, la loro guerra procedeva bene. Per minacciare la sicurezza della Lega bastavano una base ben nascosta, e le loro sei possenti armi.

Rocannon aveva scelto una notte in cui, delle quattro lune, soltanto il piccolo asteroide catturato dal pianeta, Heliki, si sarebbe levato prima di mezzanotte. Esso splendeva sulle colline mentre Rocannon si avvicinava a una fila di hangar, che si alzava come una scogliera nera in un mare grigio di cemento, ma nessuno lo vide, ed egli non percepì la presenza di nessuno, nelle immediate vicinanze. Non c'erano reticolati, e gli uomini di guardia erano pochi di numero. La vera sorveglianza veniva effettuata da macchine che scrutavano lo spazio per interi anni luce intorno al sistema di Fomalhaut. Che cosa avevano da temere, in fin dei conti, dagli aborigeni del piccolo pianeta senza nome, che culturalmente erano all'Età del Bronzo?

Heliki aveva raggiunto il massimo splendore quando Rocannon lasciò le ombre della fila di hangar. Ed era a metà della sua fase calante quando raggiunse il suo obbiettivo: le sei astronavi ultra-luce. Erano posate a fianco a fianco, come sei immense uova color dell'ebano, sotto una sorta di grande tenda dai contorni vaghi: una rete mimetica. Intorno alle navi, piccoli come giocattoli, sorgevano alberi sparsi: il bordo della foresta di Viarn.

Ma adesso era giunto il momento di servirsi del suo senso mentale, per rischioso che fosse. Immobile e circospetto, all'ombra di un gruppo di alberi, e cercando allo stesso tempo di mantenere vigili gli occhi e gli orecchi, Rocannon diresse la sua facoltà mentale verso le navi ovoidali, intorno ad esse, al loro interno. A bordo di ciascuna delle sei, aveva appreso quando le aveva esaminate dal castello di Breygna, c'era sempre un pilota, giorno e notte, pronto a portar via la nave in caso di emergenza, per trasferirla probabilmente su Faraday.

Per i sei piloti, «emergenza» significava una cosa soltanto: che la Sala di Controllo, sei chilometri più in là, al confine orientale della base, era stata sabotata o bombardata. In tale caso, il pilota doveva trasportare l'astronave in un luogo sicuro, servendosi dei comandi manuali. Infatti quelle astronavi ultra-luce avevano una cabina di comando come tutte le altre astronavi: serviva a renderle indipendenti da qualsiasi computer e da qualsiasi fonte di alimentazione esterni, che potessero venire colpiti da un eventuale nemico.

Ma far partire l'astronave equivaleva a commettere un suicidio: a un «viaggio» a velocità ultra-luce non sopravviveva alcuna forma di vita. Ogni pilota, quindi non soltanto era un matematico polinomiale altamente addestrato, ma anche un fanatico suicida. Un individuo scelto. Che però, a starsene seduto a fare niente, in attesa di un improbabile momento di gloria, si annoiava come qualsiasi comune mortale.

Quella notte, in una delle astronavi, Rocannon percepì la presenza di due uomini. Entrambi erano profondamente assorti. Tra di loro c'era una superficie piana, suddivisa in quadrati. Già altre volte, nelle notti precedenti, Rocannon aveva ricevuto le stesse impressioni, e la sua mente razionale annotò: «scacchiera», mentre il suo senso materiale si spostava alla nave successiva della fila. Era vuota.

Attraversò rapidamente il campo grigio e scuro, muovendosi da un albero all'altro, raggiunse la quinta nave della fila, salì sulla passerella ed entrò per il portello d'ingresso, che era aperto. All'interno, la nave era diversa da qualsiasi altra: era tutta piena di computer e di reattori. Una sorta di angusto e mortale labirinto, con corridoi sufficientemente grandi per lasciare passare missili capaci di distruggere un'intera città.

Poiché non viaggiava nello spaziotempo, non aveva un'estremità anteriore e una posteriore, non aveva una logica che potesse guidare Rocannon, ed egli non sapeva leggere le scritte. Non c'era una mente che potesse servirgli da guida. Rocannon perse venti minuti cercando la cabina di comando, metodicamente, sforzandosi di vincere il panico, costringendosi a non usare il senso materiale per paura di allarmare il pilota assente.

Solo per un istante, quando ebbe rintracciato la cabina, ebbe trovato anche l'ansible e si fu seduto davanti ad esso, concesse poi al suo senso mentale di raggiungere la nave vicina. Laggiù raccolse una vivida sensazione di dubbio, di una mano che ondeggiava sopra un alfiere bianco. Si ritrasse immediatamente.

Prese nota delle coordinate su cui era regolato il trasmettitore ansible, e le cambiò, inserendo quelle della Base Esplorativa delle Forme di Vita a Intelligenza Elevata della Lega, Area Galattica 8, nella città di Kerguelen, sul pianeta Nuova Georgia del Sud: le uniche che conoscesse a memoria, senza dover ricorrere a qualche manuale. Regolò la macchina per la trasmissione, e cominciò a battere sui tasti.

Quando il suo dito (solo quelle della mano sinistra, e in modo impacciato) batteva su un tasto, la lettera compariva simultaneamente su un piccolo schermo nero, in una città di un pianeta distante otto anni luce:

MESSAGGIO URGENTE

Per il presidium della Lega.

La base delle navi ultra-luce della rivolta faradayana è su Fomalhaut II, Continente Sudoccidentale, 28° 28' Nord, 121° 40' Ovest, circa 3 km NE di un grande fiume. Base oscurata ma visibile dall'alto come 28 gruppi di 4 edifici in quadrato più hangar a lato di campo d'atterraggio in direzione E-O. Le 6 navi ultra-luce non sono nella base, ma in gruppo isolato, all'aperto, a SO del campo, al bordo della foresta e sono mimetizzate con una rete e con vernice assorbi-luce. Non attaccate indiscriminatamente perché gli indigeni non sono coinvolti. Trasmette Gaveral Rocannon della Missione Etnologica su Fomalhaut. Uso un ansìble a bordo di nave ultra-luce nemica a terra. Qui mancano circa 5 ore all'alba.