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Il giovane Signore di Hallan mantenne immobile il grigio destriero sul vento ascendente che giungeva dalla valle distrutta, e guardò in basso, senza parlare. Pensava a vecchie storie, risalenti all'epoca di suo nonno e del suo trisavolo, all'epoca della venuta dei Signori delle Stelle: storie di come avessero spianato intere montagne con il loro fuoco, di come avessero fatto ribollire il mare con le loro armi terribili. Sotto la minaccia di quelle armi, avevano costretto tutti i Signori degli Angien a giurare fedeltà e a versare un tributo. Ora, per la prima volta, Mogien capì che quei racconti erano veritieri. Per qualche istante rimase senza parole. — La tua nave era…

— La nave era qui. Avevo un appuntamento con gli altri, qui alla nave; era fissato per oggi. Lord Mogien, di' alla tua gente di evitare questa zona. Per qualche tempo: fino a dopo le piogge, il prossimo annofreddo.

— Incantesimo?

— No, veleno. La pioggia pulirà il terreno. — La voce del Signore delle Stelle era ancora tranquilla; stava guardando verso il basso, e all'improvviso riprese a parlare: ora non si rivolgeva a Mogien, ma al nero pozzo sottostante, che si andava sempre più illuminando con il sorgere del sole. Ma Mogien non capì le parole, perché parlava nella sua lingua madre, la lingua dei Signori delle Stelle. Non rimaneva un solo uomo, nell'Angien o nel resto del mondo, che conoscesse ancora quella lingua.

Il giovane Angya tirò la briglia del nervoso destriero. Alle sue spalle, il Signore delle Stelle trasse infine un respiro profondo e disse: — Ritorniamo a Hallan. Qui non c'è più niente…

Il destriero virò sulle pendici fumanti. — Lord Rocannon, se il tuo popolo è in guerra tra le stelle, voto alla tua difesa le spade di Hallan!

— Ti ringrazio, Lord Mogien — disse il Signore delle Stelle, afferrandosi più saldamente alla sella. Il vento del volo gli sferzava la testa china in avanti, i capelli già macchiati di grigio.

Il lungo giorno era terminato. Il vento della notte soffiava contro le imposte di legno della finestra, nella sua stanza della torre del Castello di Hallan, facendo guizzare le fiamme dell'ampio focolare. Tra poco sarebbe finito l'annofreddo: l'aria era già mossa dall'irrequietudine della primavera. Nel sollevare la testa fiutò la dolce, muschiosa fragranza dei tappeti d'erba appesi alle pareti, il profumo fresco e dolce della notte, proveniente dalle vicine foreste. Provò ancora una volta ad accendere il trasmettitore: — Qui Rocannon. Qui Rocannon. Siete in grado di rispondere? — Rimase molto tempo in ascolto, ma l'altoparlante tacque. Quindi provò ancora una volta a trasmettere sulla frequenza della nave: — Qui Rocannon… — Quando si accorse di parlare a voce bassissima, quasi bisbigliando, cessò i tentativi e spense l'apparecchio. Erano morti: tutti e quattordici i suoi compagni e amici. Erano tutti sull'astronave, perché li aveva convocati lui. Erano su Fomalhaut II da metà di uno dei lunghi anni locali, ed era giunto il momento di riunirsi per confrontare gli appunti. Smate e il suo gruppo avevano lasciato il Continente Orientale, facendo tappa per raccogliere la squadra dell'Artico, ed erano venuti a Hallan, per incontrarsi con Rocannon, Direttore della prima Missione Etnologica: l'uomo che li aveva portati sul pianeta. E adesso erano morti.

E il loro lavoro… tutti gli appunti, le fotografie, i nastri: il materiale per cui sarebbero stati disposti a rischiare la morte… anche quello era scomparso, si era ridotto in polvere insieme con loro, si era perso con loro.

Rocannon accese di nuovo la radio, sintonizzandola sulla frequenza di soccorso; ma non attivò il trasmettitore. Chiamando, avrebbe ottenuto un unico risultato: quello di informare il nemico della presenza di un superstite. Rimase immobile, come in attesa di una decisione. E quando si udirono alla porta i colpi robusti di qualcuno che bussava, disse nella lingua straniera che da quel momento in poi era destinata a essere la sua: — Avanti.

Entrò a grandi passi il giovane Signore di Hallan, Mogien, che era stato il suo più prezioso informatore per ciò che riguardava usi e costumi della Specie II, e che adesso era l'uomo che teneva in pugno il suo destino.

Al pari di tutta la sua gente, Mogien era molto alto, aveva i capelli chiari e la pelle scura; il suo bel volto era allenato a mostrare una calma e un'austera sicurezza di sé che talvolta però si squarciavano per l'improvvisa irruzione di qualche lampo emotivo: collera, ambizione, gioia.

Alle sue spalle veniva un Olgyior, Raho, che era il suo cameriere personale: quest'ultimo posò sulla cassapanca una fiaschetta gialla e due tazze, e le riempì fino all'orlo; ciò fatto, si ritirò. Un attimo più tardi, il Signore Ereditario di Hallan parlò: — Desidero bere con te, Signore delle Stelle.

— E che la mia gente beva con la tua, insieme con i nostri figli, Signore — rispose l'etnologo, che non era certamente vissuto su nove pianeti esotici diversissimi tra loro senza imparare l'importanza delle buone maniere. Lui e Mogicn sollevarono le coppe di legno bordate d'argento e bevvero.

— La scatola parlante — disse Mogien, indicando la radio.

— Non parlerà più. Non con la voce dei miei amici.

Sul volto, scuro come un guscio di noce, di Mogien non comparve alcuna emozione. Disse: — Lord Rocannon, l'arma che li ha uccisi oltrepassa ogni immaginazione.

— La Lega di Tutti i Mondi ha armi come quella, da usare nella Guerra che Verrà. Non contro i nostri mondi.

— Siamo arrivati alla Guerra, dunque?

— No, non credo. Yaddam, l'uomo che tu hai conosciuto, era stazionato sulla nave; avrebbe saputo la notizia grazie all'ansible, e me l'avrebbe comunicata via radio, subito. Guerre come quella hanno sempre dei preavvisi. Dev'essere una rivolta contro la Lega. C'erano fermenti di ribellione su un mondo chiamato Faraday, quando ho lasciato Kerguelen: e calcolando con i nostri anni, sono passati nove anni da allora.

— La tua piccola scatola parlante non può parlare con la città di Kerguelen?

— No, e anche se potesse, le parole impiegherebbero otto anni per arrivare laggiù, e la risposta ne impiegherebbe altri otto per arrivare a me.

Parlando, Rocannon aveva usato il suo solito tono cortese e serio, e si era servito di concetti semplici; ma ora la sua voce si rattristò, mentre spiegava il suo esilio.

— Ricordi l'ansible — continuò, — la grande macchina che ti ho mostrato, all'interno della nave? Quella che può parlare subito con gli altri mondi, senza perdita di anni… penso che abbiano voluto distruggere proprio quella. È soltanto da imputare alla sfortuna, se in quel momento erano presenti nella nave tutti i miei amici. Senza l'ansible, non posso fare niente.

— Ma se il tuo clan, i tuoi amici, della città di Kerguelen, ti chiamano con l'ansible e non ottengono risposta, non verranno poi a vedere… — Lo stesso Mogien arrivò alla risposta mentre Rocannon terminava la frase per lui:

— Sì, ma tra otto anni.

Quando aveva accompagnato Mogien a visitare la nave del Servizio Esplorazione, e gli aveva mostrato il trasmettitore istantaneo, l'ansible, Rocannon gli aveva anche parlato del nuovo tipo di nave che poteva recarsi da una stella all'altra senza divario di tempo.

— La nave che ha ucciso i tuoi amici viaggiava più veloce della luce? — domandò il Signore della Guerra degli Angyar.

— No, era una nave con equipaggio umano. Ci sono dei nemici su questo mondo, in questo momento.

Quest'ultima affermazione gli divenne chiara ricordando le parole di Rocannon: nessuna creatura vivente poteva sopravvivere a un viaggio più veloce della luce; quelle navi erano usate soltanto come bombardieri robot: armi capaci di apparire, colpire e svanire, tutto in un solo istante.