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Miles si tuffò, fece passare una spalla sotto il suo corpo e grugnendo si rimise in piedi. La donna scalciò, ribellandosi. Barcollando sotto il peso, Miles si diresse verso la porta, che splendeva come la bocca di una galleria, come le porte della vita. I polmoni pulsavano, alla disperata ricerca di ossigeno che le labbra serrate negavano loro. Tempo trascorso in totale, undici secondi.

Al dodicesimo, la stanza alle loro spalle si illuminò di colpo, con un ruggito. Miles e il suo fagotto caddero rotolando sul marciapiede e Miles continuò a rotolare, perché le fiamme stavano lambendogli gli abiti. Ad una distanza imprecisata, la gente urlava e gridava. Il tessuto della sua uniforme dendarii non si sarebbe bruciato né fuso, ma era sempre un eccellente stoppino, impregnato com’era di liquidi volatili e l’effetto poteva essere altamente spettacolare. Ma gli abiti di quella povera commessa non offrivano la stessa protezione…

Si ritrovò a tossire e sputacchiare, con il volto immerso in un getto di schiuma, lanciato dal pompiere che si era precipitato verso di loro. L’uomo doveva essere rimasto in attesa. La donna poliziotto dallo sguardo spaventato continuava a stringere freneticamente tra le mani quel suo inutile fucile al plasma. Venire ricoperti di schiuma antincendio era come rotolare nella spuma della birra (che era però molto più gustosa)… La bocca piena di disgustosi composti chimici, Miles sputacchiò e rimase sdraiato un istante, respirando a pieni polmoni. Dio, che cosa meravigliosa era l’aria… nessuno la apprezzava mai abbastanza.

«Una bomba!» gridò il commissario.

Miles rotolò sulla schiena, beandosi della vista di un pezzetto di cielo azzurro che i suoi occhi miracolosamente intatti, non bruciati e non appannati, gli offrivano. «No» ansimò, «brandy. Litri e litri di costosissimo brandy e whisky scadente, che probabilmente hanno preso fuoco per un cortocircuito nella consolle di comunicazione.»

Rotolò di nuovo su se stesso per levarsi di mezzo davanti ad una squadra di vigili del fuoco con le tutte protettive bianche che si avvicinavano per svolgere il loro compito. Un pompiere lo tirò in piedi, trasportandolo lontano dall’edificio ormai invaso dal fuoco. Miles si rialzò e si trovò a fissare una persona che gli brandiva in faccia quello che per un folle istante scambiò per la bocca di un cannone a microonde. La scarica di adrenalina che gli percorse il corpo non ebbe su di lui alcun effetto; ormai non aveva più alcuna capacità di reazione. La persona davanti a lui stava blaterando qualcosa. Miles sbatté gli occhi, frastornato e il cannone a microonde si trasformò in una normalissima e molto più sensata olocamera.

Però avrebbe preferito che fosse davvero stato un cannone a microonde…

L’impiegata, finalmente libera dai legami e dal bavaglio, gridava e gesticolava, con il dito puntato verso di lui. Certo che per essere una persona appena salvata da una morte orribile, non sembrava particolarmente grata. La olocamera la inquadrò per qualche istante, finché la donna non venne portata via dal personale dell’ambulanza. Miles sperò che le dessero subito un sedativo. Se la figurò mentre arrivava a casa quella sera, dal marito e dai figli…: «E com’è andata in negozio, oggi, cara?» Si chiese se avrebbe potuto tacitarla con una somma di denaro e in quel caso, quanto avrebbe accettato?

Denaro, maledizione…

«Miles!» La voce di Elli Quinn alle sue spalle lo fece trasalire. «Hai la situazione sotto controllo?»

In metropolitana, durante il viaggio di ritorno al porto delle navette di Londra, furono oggetto di parecchi sguardi sbalorditi e dopo aver colto una fuggevole visione di se stesso riflessa in una parete di metallo, Miles non se ne stupì. L’azzimato e lustro Lord Vorkosigan del ricevimento all’ambasciata si era trasformato, come un lupo mannaro, in un mostriciattolo sporco e stracciato. La sua uniforme umida, stropicciata e strinata era cosparsa di vaporosi ciuffi di schiuma secca; il riporto bianco sul davanti della giacca era lurido. E aveva il volto impiastricciato, la voce ridotta ad un gracidio, gli occhi rossi e lucidi a causa del fumo. E in più puzzava di sudore, fumo e alcol, soprattutto alcol. Be’, in fondo ci si era rivoltolato dentro. La gente in coda dietro di loro annusò una zaffata di quegli effluvi e si allontanò impercettibilmente. Per fortuna il commissario gli aveva tolto la pistola e il coltello, trattenendoli come prove. Lui ed Elli ebbero così tutta per loro l’estremità della carrozza-bolla.

Miles si lasciò cadere sul sedile con un gemito. «Bella guardia del corpo sei. Perché non mi hai protetto da quella cronista?»

«Non stava cercando di spararti e poi ero appena arrivata e non ero certo in grado di raccontarle quello che era successo.»

«Ma tu sei di gran lunga più fotogenica e questo avrebbe dato lustro all’immagine della Flotta dei Dendarii.»

«Le olocamere mi gelano la lingua. Tu invece parevi calmissimo.»

«Stavo solo cercando di gettare acqua sul fuoco. "I ragazzi sono tutti uguali" ridacchia l’ammiraglio Naismith mentre sullo sfondo le sue truppe radono al suolo Londra…»

Elli sorrise. «E poi non erano interessati a me. Non ero io l’eroe che si è lanciato nell’edificio in fiamme… per gli dèi, quando sei uscito rotolando dall’incendio…»

«Mi hai visto?» chiese un tantino rallegrato. «Sono venuti bene i campi lunghi? Forse, agli occhi dei nostri gentili ospiti, questo farà da contraltare all’impresa di Danio e dei suoi allegri compari.»

«L’impressione era debitamente terrificante» confermò lei e rabbrividì. «Mi sorprende che tu non abbia ustioni più gravi.»

Miles sollevò le sopracciglia strinate e senza darlo a vedere nascose la mano sinistra piena di bolle sotto il braccio destro. «Non è stato un problema. Il tessuto mi ha protetto. Sono contento che non tutto il nostro equipaggiamento abbia dei difetti di progettazione.»

«Non saprei. A dirti la verità, ci sono sempre andata cauta con il fuoco, da quando…» e si toccò il volto con la mano.

«E ne hai tutte le ragioni. Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per puro riflesso inconscio. Quando finalmente il mio cervello ha raggiunto il corpo, era già tutto finito e allora mi è venuta la tremarella. Ho visto pochi incendi, in combattimento, e l’unica cosa a cui sono riuscito a pensare era che dovevo fare in fretta, perché quando gli incendi arrivano ad un certo punto, si estendono rapidamente.»

Miles si trattenne dal confidarle le altre sue preoccupazioni riguardo certi aspetti della sicurezza sollevati da quella maledetta intervista. Adesso era troppo tardi, anche se la sua immaginazione si trastullava con l’idea di un raid dei dendarii alla rete Euronews per distruggere il videodisco. Forse sarebbe scoppiata una guerra, o magari sarebbe precipitata una navetta o addirittura il governo sarebbe stato coinvolto in un terribile scandalo sessuale e tutto l’incidente del negozio sarebbe stato sepolto sotto il clamore di eventi ben più importanti. E inoltre ormai i cetagandani sapevano di certo che l’ammiraglio Naismith era stato visto sulla Terra. Doveva riprendere al più presto l’identità di Lord Vorkosigan e questa volta definitivamente, forse.

Miles scese dal treno reggendosi la schiena con una mano.

«Le ossa?» chiese preoccupata Elli. «Hai fatto qualcosa alla spina dorsale?»

«Non ne sono sicuro.» Si avviò al suo fianco, tenendo la schiena piegata in due. «Spasmi muscolari… quella donna doveva essere più grassa di quanto pensassi. L’adrenalina ti gioca dei brutti scherzi.»

Quando la loro piccola navetta personale attraccò sulla Triumph, l’ammiraglia della flotta in orbita, la situazione non era migliorata e Elli lo costrinse a fermarsi prima di tutto in infermeria.