«Sì, perché?» rispose Quinn.
«Bene, allora gli dica di riportare qui le sue chiappe. Sto tenendogli aperto un buco nella rete di Sicurezza, ma non so per quanto ancora potrò reggere. Che diavolo, non so per quanto ancora potrò restare sveglio.» Dal comunicatore giunse un lungo annaspare che Miles interpretò come uno sbadiglio.
«Mio Dio, non pensavo che potesse farlo davvero» mormorò, afferrando il comunicatore. «Ivan? Puoi davvero farmi rientrare senza che mi vedano?»
«Solo per altri quindici minuti. E per farlo ho dovuto contravvenire a tutti i regolamenti del manuale e oltre. Sono di servizio al posto di guardia del terzo livello sotterraneo, dove si incrociano le fognature e le condutture elettriche. Posso cancellare dalla registrazione video l’inquadratura del tuo ritorno, ma solo se arrivi prima del caporale Veli. Non ho niente in contrario a rischiare le chiappe per te, ma non ho nessuna intenzione di rischiarle a vuoto, hai capito?»
Elli stava studiando sullo schermo la coloratissima mappa della metropolitana. «Direi che puoi farcela al pelo.»
«Non servirebbe a niente…»
Lei lo afferrò per il gomito e lo sospinse verso la bolla di trasporto, mentre nei suoi occhi la luce ferrea del dovere si sostituiva alla tenerezza. «Abbiamo ancora dieci minuti da stare insieme durante il tragitto.»
Miles si sfregò il volto, mentre lei andava a vidimare i biglietti, cercando di riportare con la forza un po’ di razionalità nella sua mente. Sollevò lo sguardo e vide il suo volto sfocato riflesso in una parete a specchio, soffuso di frustrazione e paura. Chiuse gli occhi con forza e poi guardò ancora, spostandosi a fianco del pilastro che nascondeva in parte la parete. Molto sgradevole: per un attimo aveva visto la sua immagine con indosso l’uniforme barrayarana. Maledetti analgesici. Era forse il suo subconscio che stava cercando di dirgli qualcosa? Be’, probabilmente sarebbe stato davvero nei guai solo nel momento in cui l’elettroencefalogramma del suo cervello, preso mentre indossava le due diverse uniformi, avesse mostrato due tracciati differenti…
Riflettendoci bene, però, quell’idea non era per niente divertente.
Durante il tragitto tenne abbracciata Elli in preda a sensazioni molto più complicate del semplice desiderio sessuale. Si baciarono seduti nel vagone bolla, ma fu più una sofferenza che un piacere; e quando arrivarono a destinazione, Miles era nel peggior stato di eccitazione fisica che avesse mai sperimentato. Senza dubbio tutto il suo sangue aveva abbandonato il cervello per ingolfarsi all’inguine, trasformandolo in un idiota sopraffatto dalla lussuria e dall’ipossia.
Elli lo salutò sul marciapiede del distretto dell’ambasciata con un sussurro angosciato: «A più tardi…!» E fu solo dopo che la galleria della metropolitana l’ebbe ingoiata che Miles si rese conto che gli aveva lasciato il sacchetto, da cui usciva un ritmico vibrare.
«Che grazioso animaletto.» Miles sollevò il pacco con un sospiro e zoppicando, si avviò verso casa.
Il mattino seguente si svegliò con il cervello annebbiato, avvolto in una ronfante pelliccia nera.
«Un cosina molto amichevole, vero?» commentò Ivan.
Miles si districò dal pelo, sputacchiando. Il commesso aveva mentito: era ovvio che quella quasi bestia mangiava la gente, non le radiazioni; le avviluppava silenziosamente nottetempo e le ingoiava, come un’ameba… maledizione, lui l’aveva lasciato ai piedi del letto. Migliaia di bimbi, che scivolavano sotto le coperte per proteggersi dai mostri nascosti negli armadi, stavano per avere una brutta sorpresa. Quell’educato e colto commesso di pellicce era chiaramente un agent-provocatuer assassino cetagandano…
Con indosso solo la biancheria e lo spazzolino che spuntava in mezzo agli incisivi candidi, Ivan si chinò e passò la mano su quel pelo setoso e nero. La pelliccia si increspò, come se cercasse di sollevare la schiena per seguire le carezze. «È sorprendente» articolò Ivan facendo passare lo spazzolino da un lato all’altro delle guance non rasate. «Ti viene voglia di strofinartelo su tutta la pelle.»
Miles immaginò Ivan che si sdraiava pigramente su… «Accidenti» esclamò rabbrividendo. «Dov’è il caffè?»
«Da basso, dopo che ti sarai vestito per benino con l’uniforme regolamentare. Cerca almeno di avere l’aspetto di uno che è rimasto a letto da ieri pomeriggio.»
Miles sentì puzza di guai non appena Galeni lo fece chiamare perché si presentasse da solo nel suo ufficio, mezz’ora dopo l’inizio del loro turno di servizio.
«Buon giorno, tenente Vorkosigan» lo salutò Galeni con un sorriso affabile e falso, che era orribile quanto i suoi rari sorrisi sinceri erano accattivanti.
«Buon giorno, signore» rispose Miles cauto.
«Vedo che ha completamente superato il suo attacco osteo-infiammatorio.»
«Sissignore.»
«Prego, si sieda.»
«Grazie, signore.» Miles si sedette, guardingo: niente analgesici, quel mattino. Dopo l’avventura della notte precedente, coronata da quella sconvolgente allucinazione nel tunnel di discesa, li aveva buttati nel gabinetto, e si era fatto un appunto mentale per ricordarsi di dire al medico della flotta che c’era un’altra medicina che doveva cancellare dalla lista. Galeni corrugò le sopracciglia, come afferrato da un dubbio improvviso, poi il suo sguardo si posò sulla fasciatura alla mano destra di Miles. Questi si agitò sulla sedia, e cercando di non farsi notare, la nascose dietro la schiena. Galeni fece una smorfia acida e accese lo schermo olovideo.
«Questa mattina ho pescato per caso un servizio affascinante nel notiziario locale» disse, «e ho pensato che le avrebbe fatto piacere vederlo.»
Io penso che preferirei di gran lunga cadere morto e stecchito sul suo tappeto, signore. Miles sapeva esattamente di cosa si trattava. Maledizione, e lui che si era preoccupato solo della possibilità che lo vedessero i cetagandani!
L’introduzione della giornalista della rete Euronews era stata chiaramente registrata dopo, perché sullo sfondo, l’incendio nel negozio di vini era quasi spento, mentre quando comparve il primo piano del volto sporco e bruciacchiato dell’ammiraglio Naismith, le fiamme erano ancora alte. «… uno sfortunato malinteso» tossicchiò Miles nel suo accento betano. «… Vi assicuro che svolgeremo un’inchiesta approfondita…» Il campo lungo di lui che rotolava fuori dal negozio con la sfortunata impiegata era solo moderatamente spettacolare; era un peccato che non fosse successo di notte, allora sì che sarebbe stato spettacolare, con tanto di fiamme, scintille e fuochi d’artificio. L’ira e lo sconcerto del volto di Naismith sull’olovideo si riflettevano ora su quello di Galeni. Miles ebbe un guizzo di simpatia per il suo superiore: non doveva essere un piacere comandare dei subordinati che non si attenevano agli ordini e se ne venivano fuori con le imprese più idiote. Galeni non lo avrebbe apprezzato.
Finalmente il servizio terminò; Galeni spense il video, si adagiò contro lo schienale e fissò Miles con sguardo severo. «Allora?»
L’istinto avvertì Miles che non era il momento di fare i furbi. «Signore, il comandante Quinn mi ha chiamato ieri pomeriggio all’ambasciata avvertendomi dell’incidente, perché io ero l’ufficiale dendarii più vicino che potesse intervenire. E ha avuto ragione. La mia tempestiva comparsa sul luogo ha impedito che vi fossero dei feriti, se non addirittura dei morti. Devo chiedere scusa per essermi assentato senza permesso, ma non posso pentirmi di averlo fatto.»
«Chiedere scusa?» ronfò Galeni, controllando la rabbia. «Lei era fuori, era ANA, senza scorta, in flagrante violazione degli ordini. È chiaro che solo per una manciata di secondi sono stato privato del piacere di trasformare il mio rapporto al QG della Sicurezza in una richiesta diretta su dove spedire il suo corpo arrostito alla griglia! Ma la cosa più interessante è che lei sia riuscito a teletrasportarsi fuori e dentro l’ambasciata senza lasciare la benché minima traccia nelle registrazioni della sicurezza. E lei intende accantonare tutto con delle scuse? Temo che non basti, tenente.»