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«Perché secondo la legge betana sui cloni, lui sarebbe legalmente ed effettivamente mio fratello, ecco perché! Sta tentando di conquistarsi una falsa legittimità e io non sono sicuro di sapere perché. Forse questo è indizio di una sua debolezza. Deve avere una debolezza, da qualche parte, una falla nell’armatura… a parte la pazzia ereditaria, naturalmente…» si interruppe ansimando. Sperando che la donna pensasse che fosse per la rabbia repressa e non per il terrore represso.

Grazie a Dio, l’ambasciatore gli stava facendo cenno dall’altra parte della stanza; lui e il gruppo barrayarano erano pronti ad andarsene. «La prego di scusarmi, signora» disse alzandosi, «devo andare. Ma, ah… se dovesse incontrare di nuovo Naismith, lo considererei un grande favore se si mettesse in contatto con me all’ambasciata barrayarana.»

Perché? chiesero silenziosamente le labbra di lei, mentre si alzava guardinga. Miles si chinò sulla sua mano, eseguì un perfetto dietro-front e si allontanò.

Dovette fare uno sforzo per non mettersi a correre giù dagli scalini del palais di Londra per raggiungere l’ambasciatore. Un genio, era un fottuto genio. Perché in tutti quegli anni non gli era mai venuta in mente quella storia come copertura? Il capo della Sicurezza Imperiale Illyan ne sarebbe rimasto estasiato. E forse perfino Galeni si sarebbe rallegrato un po’.

CAPITOLO QUINTO

Il giorno in cui il corriere tornò per la seconda volta dal QG, Miles si accampò nel corridoio fuori dall’ufficio del capitano Galeni. Dimostrando un grande autocontrollo, si astenne dal travolgere l’uomo sulla porta mentre usciva, lasciando che si allontanasse prima di tuffarsi dentro.

Davanti alla scrivania di Galeni si mise sull’attenti. «Signore?»

«Sì, sì, tenente, lo so» rispose il capitano in tono irritato, facendogli segno di aspettare, mentre videate di dati si succedevano sopra la sua videopiastra. Alla fine Galeni si appoggiò allo schienale corrugando la fronte…

«Signore?» sbottò di nuovo Miles in tono di urgenza.

Sempre con la fronte aggrottata, Galeni si alzò e gli fece cenno di sedersi al suo posto. «Guardi lei stesso.»

Miles fece scorrere i dati due volte. «Signore… non c’è niente, qui.»

«Me ne sono accorto.»

«Nessuna nota di credito… niente ordini… spiegazioni… niente di niente» esclamò Miles voltandosi verso di lui. «Nessun riferimento ai miei affari. Siamo rimasti qui ad aspettare venti giorni, dissanguandoci, per niente. In tutto questo tempo avremmo potuto andare su Tau Ceti e tornare indietro. Questa è una follia. È impossibile.»

Galeni appoggiò la mano aperta sul tavolo e si sporse in avanti con espressione pensosa, fissando la videopiastra silenziosa. «Impossibile, dice? No. Ho già visto altre volte ordini scomparire. Pasticci burocratici: dati importanti spediti all’indirizzo sbagliato; richieste urgenti messe da parte in attesa che qualcuno tornasse dalla licenza. Questo genere di cose succedono.»

«A me non succedono» borbottò Miles a denti stretti.

Galeni sollevò un sopracciglio. «Lei è un arrogante piccolo nobile Vor.» Si raddrizzò e proseguì: «Ma ho il sospetto che stia dicendo la verità: questo genere di cose non dovrebbero accadere a lei; a chiunque altro, sì, ma non a lei. Naturalmente» e sorrise, «c’è una prima volta per tutto.»

«Questa è la seconda volta» gli fece notare Miles, fissandolo con uno sguardo sospettoso, mentre le accuse più pazze gli bruciavano sulla punta della lingua. Che fosse quella l’idea che un borghese komarrano aveva di uno scherzo? Se gli ordini e la nota di credito non c’erano, qualcuno doveva averli intercettati… a meno che le richieste non fossero mai state inviate: aveva solo la parola di Galeni, per quello. Ma era inconcepibile che Galeni rischiasse la sua carriera solo per fare un dispetto ad un subordinato irritante. Anche se, Miles lo sapeva bene, la paga di un capitano barrayarano non era poi una gran cosa.

Neanche da paragonare con diciotto milioni di marchi.

Miles spalancò gli occhi e strinse i denti. Era però concepibile che un uomo povero, un uomo la cui famiglia aveva perso tutto, magari durante la conquista di Komarr, trovasse molto invitanti diciotto milioni di marchi. Non era questa l’impressione che gli aveva dato Galeni, ma, dopo tutto, cosa ne sapeva veramente Miles di quell’uomo? In quei venti giorni di convivenza, Galeni non aveva detto una sola parola della sua storia personale.

«E adesso cosa facciamo, signore?» sbottò rigido Miles.

«Rinvieremo le richieste» rispose Galeni allargando le braccia.

«Reinvieremo? Nient’altro?»

«Non posso tirare fuori diciotto milioni di marchi dalle mie tasche, tenente.»

Ah no? Be’, questo è da vedere… Doveva andarsene di lì, uscire dall’ambasciata e tornare dai dendarii, dove il suo esperto personale nella raccolta delle informazioni era stato lasciato a raccogliere polvere, mentre lui aveva sprecato venti giorni nella paralisi… Se davvero Galeni si era preso gioco di lui fino a quel punto, giurò Miles tra sé, non c’era buco abbastanza profondo in cui potesse nascondersi insieme ai suoi diciotto milioni di marchi rubati.

Galeni piegò la testa di lato, socchiudendo gli occhi con aria assente. «Per me è un mistero.» E sotto voce, tra sé, aggiunse, «e a me non piacciono i misteri.»

Sangue freddo, fegato… Miles fu costretto ad ammirare l’abilità d’attore dell’uomo, pari quasi alla sua. Ma se Galeni si era intascato i suoi soldi, perché non se n’era già andato da un pezzo? Che cosa stava ancora aspettando? Qualche segnale di cui Miles non era a conoscenza? Ma lo avrebbe scoperto… oh, se lo avrebbe scoperto! «Altri dieci giorni» sospirò. «Di nuovo.»

«Mi spiace, tenente» disse il capitano, sempre con quell’espressione assente.

E spiacente sarai… «Signore, ho bisogno di stare un giorno con i dendarii. Le incombenze dell’ammiraglio Naismith si stanno accumulando. Per prima cosa, grazie a questo ulteriore ritardo, adesso siamo costretti a chiedere un prestito temporaneo per poter coprire almeno le spese correnti. E devo occuparmene io.»

«A mio giudizio la sua sicurezza personale con i Dendarii è del tutto insufficiente, Vorkosigan.»

«E allora, se lo crede opportuno, mi dia qualche uomo dell’ambasciata. Sono comunque sicuro che la storia del clone ha allentato un po’ la pressione.»

«La storia del clone è stata un’idiozia» sbottò Galeni, risvegliandosi dalla sua apatia.

«Invece è stata un’idea brillante» ribatté Miles offeso per quella critica alla sua creazione. «Finalmente scinde del tutto Vorkosigan da Naismith, eliminando il più pericoloso dei punti deboli di tutta questa messinscena, la mia… unica e memorabile apparizione. Gli agenti segreti non dovrebbero fare apparizioni memorabili.»

«Che cosa le fa pensare che quella reporter non riferirà la sua storia ai cetagandani?»

«Ma per l’amor del cielo, siamo stati visti insieme all’olovideo, da milioni di persone! Saranno loro che si faranno vivi, in un modo o nell’altro, per farle delle domande.» Un leggera fitta di paura: ma di sicuro i cetagandani manderanno qualcuno per estorcerle delle informazioni senza darlo a vedere. Non ricorreranno ai metodi violenti ma poi cercheranno di liberarsi di lei.

«Se così stanno le cose perché diavolo ha scelto i cetagandani come padri putativi di Naismith? Se c’è una cosa che sapranno per certo è di non essere stati loro a crearlo.»

«Per una questione di verosimiglianza» spiegò Miles. «Se neppure noi sappiamo da dove viene realmente il clone, non si sorprenderanno di non averne sentito parlare neppure loro.»

«La sua logica ha qualche lampante pecca» ribatté Galeni. «Alla lunga potrà anche giovare alla sua messinscena, ma non aiuta me. Trovarmi con il cadavere dell’ammiraglio Naismith tra le braccia, sarebbe imbarazzante quanto avere quello di Lord Vorkosigan. Schizofrenico o meno, neppure lei può scindersi fino a questo punto.»