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«Io non sono schizofrenico» ritorse Miles. «Magari affetto da manie depressive, questo sì» aggiunse dopo averci pensato.

«Conosci te stesso» sospirò il capitano con una smorfia.

«Ci proviamo, signore.»

Galeni tacque… o forse, saggiamente, decise di non rilevare quell’ultima affermazione. «Molto bene, tenente Vorkosigan» proseguì poi sbuffando, «le assegnerò il sergente Barth come ulteriore scorta di sicurezza. Ma voglio che lei mi faccia un rapporto ogni otto ore con il comunicatore schermato. Può avere le sue ventiquattr’ore di licenza.»

Miles, che stava già prendendo fiato per rispondere, ma si ritrovò senza parole. «Oh, grazie, signore» riuscì a dire. E perché diavolo Galeni aveva cambiato parere con tanta facilità? Avrebbe dato chissà cosa per sapere cosa si nascondeva in quel momento dietro quell’indecifrabile profilo romano.

Ma si ritirò in buon ordine, prima che il capitano potesse ripensarci.

I dendarii avevano scelto l’hangar più lontano tra quelli disponibili nello spazioporto di Londra per una questione di sicurezza e non di economia. E il fatto che la distanza lo rendesse anche il più a buon mercato non era altro che un gradevole e inaspettato beneficio secondario. L’hangar si trovava in fondo al campo, circondato solo da asfalto nudo e vuoto e niente avrebbe potuto tentare di avvicinarsi di nascosto senza essere visto. E se qualche sfortunata attività avesse avuto luogo lì intorno, rifletté Miles, nessun innocente passante occasionale avrebbe corso il rischio di esserne testimone. Si era trattato di una scelta logica.

Però era anche una passeggiata maledettamente lunga. Miles cercò di tenere un’andatura sostenuta, ma senza dare l’impressione di sgattaiolare come un ragnetto sul pavimento della cucina. Stava per caso diventando anche un po’ paranoico, oltre che schizofrenico e affetto da manie depressive? Il sergente Barth, che gli camminava accanto con aria infelice in abiti civili, avrebbe voluto scaricarlo al portello della navetta direttamente da una macchina blindata dell’ambasciata e solo con grande difficoltà Miles era riuscito a persuaderlo che sette anni di difficili e complicati sotterfugi se ne sarebbero andati in fumo se l’ammiraglio Naismith fosse stato visto scendere da un veicolo ufficiale barrayarano. Perché, ohimè, la buona visuale che si godeva dall’hangar era anche un’arma a doppio taglio. Niente poteva arrivare di straforo.

A meno che non fosse mimetizzato psicologicamente, certo. Ad esempio quel grosso veicolo a cuscino d’aria della manutenzione là sul fondo, che avanzava indaffarato: ce n’erano dappertutto e ben presto l’occhio si abituava ai loro passaggi irregolari. Se avesse dovuto sferrare un attacco, rifletté Miles, uno di quei veicoli sarebbe stato senz’altro la scelta più azzeccata. Era insospettabile, perfetto.

A meno che non sparasse per primo, nessun difensore dendarii se sparava a casaccio poteva essere certo di non colpire qualche innocuo e inerme impiegato dello spazioporto. Sarebbe stata una cosa terribilmente imbarazzante, un errore che poteva costare la carriera.

Il veicolo a cuscino d’aria cambiò percorso. Barth trasalì e Miles si irrigidì: quella assomigliava troppo ad una rotta di intercettazione. Però, maledizione, non c’erano sportelli o finestrini che si aprivano, nessun uomo armato che si sporgesse fuori a prendere la mira, nemmeno con una fionda. Ma per andare sul sicuro, sia Miles che Barth estrassero gli storditori d’ordinanza e Miles cercò di allontanarsi da Barth, mentre Barth cercò di metterglisi davanti: una confusione che durò un secondo prezioso.

E poi il veicolo, ora lanciato a piena velocità arrivò su di loro, sollevandosi in aria e nascondendo il luminoso sole del mattino. E il fondo liscio e piatto non offriva bersagli per uno storditore.

Alla fine, Miles seppe con certezza in che modo lo avrebbero ammazzato: doveva morire schiacciato.

Con uno strillo scattò a destra, cercando di allontanarsi. Il veicolo cadde come un enorme e mostruoso mattone quando il sistema anti-grav venne spento. Miles trovò la cosa un tantino eccessiva: non erano a conoscenza che le sue ossa potevano andare in frantumi anche solo con un carrello da supermercato? In quel modo invece, di lui non sarebbe rimasto altro che una rivoltante macchia appiccicaticcia sull’asfalto.

Si tuffò e rotolò su se stesso… e solo lo spostamento d’aria causato dal veicolo che precipitava lo salvò. Aprì gli occhi e scoprì di avere il paraurti del veicolo a cinque centimetri dal naso; allora si rimise in piedi, proprio mentre il camion si sollevava nuovamente in aria. Dov’era Barth?

Sul fianco luccicante del veicolo vide una scanalatura da cui spuntavano degli appigli: se si fosse trovato sul camion, invece che sotto… Miles lasciò cadere lo storditore che aveva nella mano destra e saltò, riuscendo in extremis ad afferrare uno degli appigli. Il veicolo sobbalzò di lato e cadde di nuovo, proprio nel punto in cui Miles si trovava un istante prima. Poi si risollevò e ricadde ancora con un tonfo irato, come un gigante isterico che cercasse di schiacciare un ragno con una pantofola. L’impatto sbalzò Miles dal suo precario appiglio ed egli cadde sull’asfalto, rotolando, nel tentativo di salvare le ossa. Lì non c’erano fessure nella pavimentazione in cui correre a nascondersi.

Una linea di luce si allargò sotto il veicolo che si risollevava e Miles cercò un grumo sanguinolento sull’asfalto, ma non ne vide… Barth? No, eccolo là, accovacciato poco lontano che strillava nel comunicatore da polso. Miles scattò in piedi e si mise a correre zigzagando. Il cuore gli batteva tanto forte che aveva l’impressione che il sangue stesse per schizzargli dalle orecchie. Per il sovraccarico di adrenalina e aveva il fiato mozzo nonostante dilatasse al massimo i polmoni. Cielo e asfalto rotearono attorno… aveva perso di vista la navetta… no, eccola là. Partì di corsa in quella direzione. Correre non era mai stato il suo sport preferito. E avevano avuto ragione quelli che l’avevano esonerato dall’addestramento ufficiali a causa del suo stato fisico. Emettendo un lungo stridio maligno, il veicolo avanzava nell’aria dietro di lui.

Il violento scoppio lo spedì a terra facendolo scivolare con la faccia sull’asfalto. Schegge di metallo, di vetro, di plastica fusa gli piovvero addosso e qualcosa lo colpì con un tonfo sordo sulla nuca. Si protesse la testa con le braccia e cercò di creare un buco nell’asfalto fondendolo col solo calore della paura. Con il sangue che gli martellava nelle orecchie, non udiva altro che un rumore continuo e ruggente.

Un altro millisecondo e sarebbe stato un bersaglio perfetto. Si girò di scatto su di un fianco e guardò in alto alla ricerca del veicolo pronto a piombare dal cielo. Ma non vide più nessun veicolo della manutenzione.

In compenso, però, un piccolo e scintillante velivolo nero scendeva velocemente, e illegalmente, attraverso lo spazio del controllo traffico aereo, facendo senza dubbio scattare tutti gli allarmi e le sirene dei computer di controllo dello spazioporto londinese. Be’ adesso non serviva più cercare di passare inosservato. Miles aveva riconosciuto il velivolo della forza di rincalzo della sicurezza barrayarana ancor prima di scorgere le uniformi verdi all’interno, in virtù del fatto che Barth era scattato immediatamente verso di esso. Però niente garantiva che i tre dendarii in uniforme grigia che stavano uscendo dalla sua navetta fossero giunti alla stessa conclusione. Miles balzò… a quattro zampe e quel movimento brusco, anche se interrotto, gli fece venire un capogiro. Al secondo tentativo comunque riuscì a mettersi in piedi.

Barth lo stava tirando per il gomito, cercando di trascinarlo verso il velivolo che atterrava. «Torniamo all’ambasciata, signore!» lo incitò.