Elli interruppe le sue riminiscenze con un cenno del mento. «Credo che ci siamo…»
Miles seguì il suo sguardo. Era davvero stanco: lei aveva individuato il loro contatto prima di lui. L’uomo che veniva verso di loro con espressione interrogativa sul volto indossava abiti di foggia terrestre, ma i capelli erano tagliati alla foggia militare barrayarana. Forse era un sottufficiale: gli ufficiali preferivano un taglio romano patrizio meno severo. Devo tagliarmi i capelli, pensò Miles, avvertendo un improvviso fastidio a collo.
«Milord?» disse l’uomo.
«Sergente Barth?» rispose Miles.
L’uomo annuì e gettò un’occhiata a Elli. «Chi è?»
«La mia guardia del corpo.»
«Ah.»
Un restringersi impercettibile delle labbra e un’accenno appena di sorpresa nello sguardo, per indicare tanto disprezzo e divertimento. Miles sentì i muscoli del collo irrigidirsi. «È eccezionale nel suo lavoro.»
«Ne sono certo, signore. Da questa parte, prego.» Si voltò e li precedette.
Quel viso inespressivo rideva di lui, Miles lo sentiva, gli bastava guardargli la nuca, per capirlo. Elli, che si era accorta solo dell’improvviso aumento della tensione nell’aria, gli rivolse un’occhiata sconcertata. Va tutto bene, le rispose Miles con gli occhi, prendendole la mano e mettendosela sotto il braccio.
Seguirono a passo tranquillo la loro guida attraverso un negozio, poi giù per un pozzo di discesa, una rampa di scale; poi accelerarono l’andatura. Il livello sotterraneo di servizio era un dedalo di gallerie, condotti, cavi di alimentazione. Là sotto attraversarono circa un paio di isolati, secondo i calcoli di Miles. La guida aprì una porta con una serratura ad impronta; da lì un’altra breve galleria conduceva a un’altra porta, sorvegliata da una guardia in carne ed ossa, con l’uniforme verde del Servizio Imperiale Barrayarano, che si affrettò ad alzarsi dalla sedia della consolle di comunicazione da dove sorvegliava i sensori e le telecamere, trattenendosi a malapena dal rivolgere il saluto alla loro guida in abiti civili.
«Dobbiamo lasciare qui le armi» disse Miles ad Elli. «Tutte… e intendo proprio tutte.»
Elli inarcò le sopracciglia udendo Miles cambiare all’improvviso accento, passando da quello piatto e nasale del betano ammiraglio Naismith, alle calde gutturali da barrayarano. Ma se era per quello, Elli sentiva raramente la sua voce barrayarana… quale delle due le sembrava contraffatta? Non c’erano però dubbi su quale sarebbe sembrata falsa al personale dell’ambasciata e Miles si schiarì a gola per essere sicuro che la sua voce si riadattasse alla parlata familiare.
Posò le sue armi sulla consolle della guardia: uno storditore da tasca e un lungo pugnale racchiuso in un fodero di pelle di lucertola. Il soldato passò il rilevatore sul pugnale, fece scattare il coperchietto d’argento dell’impugnatura ingioiellata, mettendo in mostra un complicato sigillo, e poi glielo restituì con reverenza. Quando fu la volta di Elli, la guida inarcò le sopracciglia alla vista dell’arsenale tecnico in miniatura che la ragazza si portava appresso. Eccoti servito, pensò Miles, tu e il tuo nasino schizzinoso e pieno di regolamenti. E si sentì molto più sollevato.
Entrarono in un tunnel antigravitazionale di risalita e l’atmosfera cambiò di colpo: eleganza, dignità, lusso, ma senza ostentazione. «L’Ambasciata Imperiale Barrayarana» sussurrò Miles ad Elli.
La moglie dell’ambasciatore possedeva molto buon gusto, pensò, ma l’edificio aveva uno strano sentore di ermeticamente chiuso, che al naso esperto di Miles parlò subito di paranoiche procedure di sicurezza. Eh, già, l’ambasciata di un pianeta diventa suolo di quel pianeta, ha lo stesso sapore di casa.
La guida li condusse giù per un altro tunnel che sbucò in quello che era chiaramente un corridoio di uffici (Miles individuò i sensori sotto un arco, mentre passavano) e poi attraverso due porte automatiche entrarono in un ufficio piccolo e tranquillo.
«Il tenente Lord Miles Vorkosigan, signore» annunciò la guida, mettendosi sull’attenti. «E… la sua guardia del corpo.»
Miles strinse i pugni: solo un barrayarano poteva esprimere una così sottile sfumatura di insulto con una semplice pausa di mezzo secondo tra due parole. Era davvero a casa.
«Grazie, sergente, può andare.» disse il capitano seduto dietro il tavolo del terminale di comunicazioni. Anche qui, il verde dell’uniforme imperiale… l’ambasciata doveva mantenere un tono formale.
Miles osservò con curiosità quell’uomo che sarebbe stato, volente o nolente, il suo nuovo ufficiale comandante e il capitano gli restituì lo sguardo con la stessa attenzione e intensità.
Un uomo che colpiva, anche se era tutt’altro che avvenente. Capelli scuri, occhi nocciola scuro, un naso dritto che ben si adattava al profilo romano e al taglio di capelli. Le mani tozze e pulite, erano intrecciate in una gesto di tensione trattenuta. Sui trent’anni, giudicò Miles.
Ma perché questo tipo mi sta fissando come se fossi un cucciolo che ha appena fatto pipì sul suo tappeto? Sono appena arrivato, non ho ancora avuto il tempo di offenderlo. Spero che non si tratti di uno di quei provincialotti barrayarani che mi vedono come un mutante, uno scampato ad un mancato aborto…
«Dunque» disse l’uomo appoggiandosi allo schienale con un sospiro, «lei è il figlio del Grand’Uomo, eh?»
Il sorriso di Miles si congelò, una nuvola rossastra gli offuscò la vista, mentre il sangue prese a pulsargli nelle orecchie al ritmo di una marcia funebre. Elli lo guardò e rimase immobile, osando appena respirare. Miles mosse le labbra e deglutì. Poi riprovò. «Sissignore.» Gli sembrò che la sua voce provenisse da una grande distanza. «E lei chi è?»
Per un soffio, ma solo per un soffio, si trattenne dal dire: «E lei di chi è figlio?» La furia che gli attanagliava lo stomaco non doveva trasparire, perché avrebbe dovuto lavorare con quell’uomo. E poi poteva anche non trattarsi di un insulto intenzionale. Non poteva esserlo: cosa ne sapeva quello sconosciuto di tutto il sangue che Miles aveva sudato per allontanare da sé le accuse di privilegio, le insinuazioni di incompetenza? «Il mutante è qui solo perché suo padre ce l’ha messo…» e la voce di suo padre che ribatteva: «Per amor del cielo, figliolo, smettila con queste idiozie!» Esaurì la rabbia in un lungo respiro calmante e piegò la testa di lato.
«Oh, certo» disse il capitano, «lei ha parlato solo con il mio aiutante. Sono il capitano Duv Galeni, addetto militare anziano dell’ambasciata e di conseguenza, capo della Sicurezza Imperiale e della Sicurezza del Servizio. E anche parecchio sorpreso, lo confesso, di averla al mio comando. Non mi è del tutto chiaro cosa devo farne di lei.»
Non era un accento provinciale: la voce del capitano era fredda, istruita e parzialmente cittadina, anche se Miles non riusciva a trovargli una collocazione nella geografia barrayarana. «Non ne sono sorpreso, signore» rispose. «Neppure io mi aspettavo di dovermi presentare in servizio sulla Terra, e così tardi, per giunta. Pensavo da principio di dovermi presentare al Comando della Sicurezza Imperiale al QG del Settore Due, su Tau Ceti, oltre un mese fa. Ma la Flotta dei Liberi Mercenari Dendarii è stata costretta ad allontanarsi dallo spazio di Mahata Solaris a causa di un attacco a sorpresa dei cetagandani. E dal momento che non eravamo stati pagati per ingaggiare un scontro diretto con i cetagandani, siamo fuggiti e ci siamo ritrovati a non poter tornare indietro per un rotta più veloce. Questa è letteralmente la prima opportunità che ho di fare rapporto a qualcuno da quando abbiamo consegnato i rifugiati alla loro nuova base.»
«Io non ero…» il capitano si interruppe con una smorfia e poi riprese, «non ero a conoscenza del fatto che la straordinaria fuga da Dagoola fosse in realtà un’operazione segreta del Servizio Segreto Barrayarano. Non si è trattato di un’impresa pericolosamente vicina a sconfinare in un atto di guerra aperta con l’Impero Cetagandano?»