«Grazie… signor Chutsky», rispose l’uomo, freddamente. «Vuole sedersi?»
Chutsky gli rivolse un sorriso ampio e fascinoso. «Sì, grazie», rispose e scivolò nel posto vuoto accanto a Deborah.
Lei non si voltò, ma da dov’ero seduto notai che un rossore le saliva dal collo fino al viso ingrugnito.
A questo punto, dai recessi del cervello di Dexter sentii una vocina schiarirsi la gola e domandare: Pardon, solo un minuto… che cosa diavolo sta succedendo? Probabilmente qualcuno doveva avermi sciolto dell’LSD nel caffè, perché l’intera giornata mi ricordava sempre più Dexter nel Paese delle Meraviglie.
Perché eravamo lì?
Chi era quell’omone con le cicatrici sul viso che faceva innervosire il capitano?
E come mai conosceva Doakes?
E ancora, per amore della verità e della giustizia, per quale motivo Deborah era arrossita in quel modo così sconveniente?
Spesso mi vengo a trovare in situazioni in cui sembra che tutti gli altri abbiano letto il manuale delle istruzioni, mentre il Disgraziato Dexter brancola nel buio e non ne azzecca una.
Di solito succede quando ci sono di mezzo le emozioni umane, che sono universali. Purtroppo Dexter proviene da un altro universo e non le prova né riesce a comprenderle. Non mi resta altro da fare che raccogliere indizi per capire che tipo di faccia esibire, mentre attendo che il materiale sconosciuto entri a far parte delle mie percezioni familiari.
Guardai Vince Masuoka. Di tutti i tecnici di laboratorio, è forse quello con cui ho legato di più e non solo perché facciamo a turno a comprare le ciambelle. Ho sempre avuto l’impressione che anche lui simuli di vivere, come se avesse visto una serie di documentari che ti insegnano a sorridere e parlare alla gente. Non aveva il mio talento nella falsificazione e i risultati non erano sempre così convincenti, però avvertivo nei suoi confronti una sorta di fratellanza.
In questo momento sembrava spaventato e confuso e cercava di deglutire, senza esito.
Fin qui nessun indizio.
Camilla Figg se ne stava seduta, concentrata su una macchia sul muro dinanzi a lei. Era pallida, ma con due chiazze rosse e rotonde sulle guance.
Deborah, come ho detto, stava scivolando dalla sedia e pareva molto occupata a diventare scarlatta.
Chutsky diede un colpetto sul tavolo con la mano, si guardò intorno con un gran sorriso felice e disse: «Grazie a tutti per la vostra collaborazione. È molto importante che questa storia resti sotto silenzio affinché i miei uomini possano agire».
Il capitano Matthews si schiarì la gola. «Eh. Io… uh… immagino che lei vorrà che proseguiamo con la nostra routine investigativa e… uh… a interrogare i testimoni eccetera.»
Chutsky scosse lentamente il capo. «No. Ho bisogno che i suoi escano di scena seduta stante. Voglio che l’intera faccenda si sgonfi e cessi di esistere, che scompaia… Per quanto riguarda il suo distretto, capitano, voglio che non sia successo nulla.»
«Ha intenzione di subentrare lei nelle indagini?» chiese Deborah.
Chutsky la guardò e il suo sorriso si allargò ancora di più. «Esatto», rispose. E forse avrebbe continuato a sorriderle all’infinito se non fosse stato per l’agente Coronel, il poliziotto che sedeva sul porticato accanto alla signora in preda al vomito e alle lacrime, il quale si intromise: «Okay, aspetti un attimo», e nella sua voce si colse una certa dose di ostilità che ne rese più evidente il lieve accento ispanico. Chutsky si voltò a guardarlo senza smettere di sorridere. Coronel sembrava intimorito, tuttavia non abbassò lo sguardo. «Sta per caso cercando di impedirci di fare il nostro lavoro?»
«Il vostro lavoro consiste nel proteggere e servire», ribatté Chutsky. «In questo caso, dunque, proteggete l’informazione e servite me.»
«Stronzate», obiettò Coronel.
«Stronzate o no», gli spiegò Chutsky, «è tuo dovere obbedire.»
«Chi cazzo sei tu per parlarmi così?»
Il capitano Matthews tamburellò sul tavolo con le dita. «Adesso basta, Coronel. Il signor Chutsky viene da Washington e ho avuto ordine di prestargli ogni genere di assistenza.»
L’agente scosse il capo. «Non è neanche un dannato federale», commentò.
Chutsky si limitò a sorridere.
Il capitano Matthews inspirò profondamente come per dire qualcosa, ma Doakes girò appena la testa verso Coronel e ordinò: «Chiudi il becco».
Il poliziotto lo fissò e gli passò immediatamente la voglia di discutere.
«Non perdere tempo con le stronzate», continuò Doakes. «Lascia che se ne occupino loro.»
«Non è giusto», ribatté Coronel.
«Lascia perdere», insisté.
Il poliziotto era sul punto di aggiungere qualcosa, Doakes però alzò le sopracciglia, e di riflesso, vista la faccia che ci stava sotto, Coronel decise davvero di lasciar perdere.
Il capitano Matthews si schiarì di nuovo la voce e tentò di riprendere il controllo della situazione. «Altre domande? Allora d’accordo… signor Chutsky. Se c’è altro che possiamo fare per lei…»
«In effetti, capitano, le sarei grato se potessi prendere a prestito uno dei suoi detective come ufficiale di collegamento. Qualcuno che mi dia qualche dritta per orientarmi e metta i puntini sulle i, per esempio…»
Tutte le facce intorno al tavolo si girarono all’unisono in direzione di Doakes, eccetto quella di Chutsky che si voltò al suo fianco, dalla parte di Deborah, e fece: «Che gliene pare, detective?»
9
Devo ammettere che il colpo di scena finale alla riunione col capitano Matthews mi colse di sprovvista, ma almeno ora avevo capito perché tutti si comportavano come topolini chiusi nella gabbia del leone. Nessuno ama che i federali si intromettano nella risoluzione di un caso; quando lo fanno, l’unica rivincita possibile è complicare loro le cose. Ma Chutsky sembrava uno che andava giù talmente duro da negarci persino questa piccola gioia.
Il mistero più grande rimaneva per me quello dell’incredibile rossore di Deborah, comunque non era un mio problema. Quello vero, invece, d’un tratto cominciò a chiarirsi. Penserete che Dexter non sia troppo sveglio dal momento che non era riuscito a mettere subito a fuoco la faccenda ma, quando si accese la lampadina, mi sarei dato una botta in testa. Forse erano state le birre a casa di Rita a rincoglionirmi.
Ovviamente la visita da Washington era stata evocata dalla nemesi personale di Dexter, il sergente Doakes. Si vociferava che il suo servizio nell’esercito non fosse stato troppo regolare e cominciavo a crederci. Dinanzi alla cosa sul tavolo le sue reazioni non erano state spavento, indignazione, rabbia o disgusto, ma qualcosa di molto più interessante: riconoscimento. Già sulla scena del delitto aveva spiegato al capitano Matthews di che cosa si trattava e con chi parlarne. E per questo era arrivato Chutsky. Dunque avevo ragione a pensare che Chutsky e Doakes si fossero riconosciuti durante la riunione; perché tutto quello che sapeva Doakes in merito alla vicenda, lo sapeva anche Chutsky, se non molto di più, ed era venuto per mettere le cose a tacere. E se Doakes ne era al corrente, doveva esserci un modo per usare questa storia contro di lui, in modo da togliere le catene al povero Detenuto Dexter.
Era una brillante sequenza di pure deduzioni; accolsi con gioia il ritorno del mio straordinario cervello e immaginai di darmi un buffetto sulla testa. E bravo il nostro Dexter. Arf arf.
Fa sempre piacere vedere che talvolta le sinapsi funzionano in modo da giustificare l’opinione che hai di te. Stavolta però c’era in gioco qualcosa di più dell’autostima di Dexter. Se Doakes aveva qualcosa da nascondere, io ero sul punto di tornare in affari.
Il Defilato Dexter è bravo in molte cose; e alcune possono essere fatte legalmente, alla luce del giorno. Una di queste consiste nell’usare un computer per ricavare informazioni. È un’abilità che ho sviluppato per togliermi ogni dubbio sui nuovi amichetti come MacGregor e Reiker. Per evitare la sgradevole sensazione di far fuori la persona sbagliata, amo mettere i miei compagni di gioco di fronte alle prove dei loro passati misfatti, prima di spedirli nel mondo dei sogni. Il computer e Internet sono i mezzi ideali per trovare quella roba.