Lei ricambiò il sorriso. «Dexter era in pena per me.»
«Naturale», fece Chutsky, «altrimenti a cosa servono i fratelli?»
Deborah mi guardò. «È quello che mi chiedo, a volte.»
«Be’… lo sai che ti faccio da guardaspalle, Deborah», replicai.
Kyle sghignazzò. «Ottimo. E io ti guardo il resto», aggiunse, ed entrambi risero. Lei si allungò in avanti e gli prese la mano.
«Tutta questa gioia e questi ormoni mi fanno saltare i nervi», dissi. «Raccontatemi un po’… qualcuno ha intenzione di catturare quel mostro disumano oppure dobbiamo continuare a starcene qui a fare battutine?»
Kyle si voltò verso di me e alzò un sopracciglio. «Amico, perché ti interessa questa storia?»
«Dexter ha una passione per i mostri disumani», intervenne Deborah. «Una specie di hobby.»
«Un hobby», ripeté Kyle, senza staccarmi gli occhiali di dosso. Immagino intendesse spaventarmi, ma per quello che ne so poteva anche avere gli occhi chiusi. In ogni caso, riuscii a non tremare.
«È un profiler dilettante», aggiunse Deborah.
Per un po’ Kyle rimase immobile e mi domandai se si fosse addormentato dietro le lenti scure. «Uh», borbottò infine, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Allora, che cosa ne pensi di quel tipo, Dexter?»
«Per ora ho solo gli elementi base», affermai. «Si tratta di qualcuno con una grande esperienza in campo medico e coinvolto in operazioni segrete. Ne esce schizzato e con il bisogno di dimostrare qualcosa, forse ha a che fare con l’America Centrale. Probabilmente programmerà la volta successiva non tanto perché non può farne a meno, ma in modo da avere la massima risonanza. Dunque non abbiamo a che fare con il classico serial… Come?»
Kyle aveva smesso di sorridere e si era drizzato sulla sedia, stringendo i pugni. «Che cosa intendi per America Centrale?»
Ero piuttosto sicuro che entrambi sapessimo che cosa intendevo, ma pensai che dire «Salvador» sarebbe stato davvero troppo; non volevo perdere le mie credenziali di profiler dilettante. Tuttavia l’unico scopo della mia venuta era scoprire qualcosa su Doakes e quando ti accorgi di avere una possibilità… Be’, ammetto che sarebbe stato un po’ scontato, ma a prima vista funzionava. «Oh», risposi. «Non ho detto bene?» Tutti gli anni di pratica nell’imitare gli esseri umani mi permisero di sfoggiare la mia migliore espressione di innocenza mista a curiosità.
Apparentemente Kyle non riusciva a stabilire se avessi detto bene oppure no. Strinse la mascella e aprì i pugni.
«Avrei dovuto avvisarti», osservò Deborah. «Lui è in gamba in queste cose.»
Chutsky fece un lungo respiro e scosse il capo. «Già», osservò. Con visibile sforzo tornò ad appoggiarsi allo schienale e riprese a sorridere. «Niente male, amico. Come ci sei arrivato?»
«Oh, non lo so», risposi umile. «Mi sembrava naturale. Il difficile è capire in che modo vi sia coinvolto il sergente Doakes.»
«Gesù Cristo», esclamò, e strinse i pugni ancora una volta.
Deborah mi guardò e si mise a ridere. Non era la stessa risata che aveva rivolto a Kyle, ma era comunque bello sapere che si ricordava che facevamo parte della stessa squadra. «Te l’avevo detto che era in gamba», ribadì.
«Gesù Cristo», ripeté Kyle. Mosse inconsciamente l’indice, come se premesse un grilletto invisibile, poi si girò verso Deborah. «Hai detto bene», fece e tornò a guardare nella mia direzione. Restò a fissarmi per un po’, con durezza, forse voleva vedere se mi sarei precipitato alla porta o avrei cominciato a parlare arabo. Infine annuì. «Che cos’è questa storia del sergente Doakes?»
«Non è che vuoi solo sputtanarlo, vero?» mi domandò Deborah.
«Nella sala riunioni del capitano Matthews, quando Kyle ha visto Doakes per la prima volta, c’è stato un momento in cui ho pensato che si riconoscessero a vicenda.»
«Non me ne sono accorta», ammise Deborah accigliata.
«Eri impegnata ad arrossire», ribattei. Lei arrossì un’altra volta, il che mi fece pensare che fosse un po’ ripetitiva. «Per di più, Doakes è l’unico che, davanti alla scena del crimine, ha saputo chi chiamare.»
«Doakes è al corrente di alcune cose», ammise Chutsky. «Per via del suo servizio nell’esercito.»
«Che tipo di cose?» mi incuriosii. Chutsky mi studiò a lungo, o almeno così fecero i suoi occhiali. Tamburellò sul tavolo con quello stupido anello da mignolo e l’enorme diamante incastonato nel centro brillò al sole. Quando alla fine parlò, sembrava che al nostro tavolo la temperatura fosse scesa di almeno cinque gradi.
«Amico», esordì. «Non voglio metterti nei casini… lascia perdere questa storia. Fai marcia indietro. Cercati un altro hobby. Altrimenti finisci nella merda e qualcuno tirerà lo sciacquone.» Prima che potessi trovare qualcosa di memorabile con cui ribattere, il cameriere si rimaterializzò accanto a Kyle. Chutsky continuò a tenere gli occhiali rivolti nella mia direzione. Poi porse il menù al cameriere. «Qui fanno un’ottima bouillabaisse», dichiarò.
Deborah sparì per il resto della settimana, il che non contribuì molto alla mia autostima: infatti fu terribile per me ammettere che senza il suo aiuto ero bloccato. Non mi veniva in mente nessun piano alternativo per sbarazzarmi di Doakes. Era sempre lì, fermo sotto l’albero di fronte al mio appartamento, o dietro di me fino a casa di Rita. Non sapevo che fare. Il mio cervello un tempo intrepido si mordeva la coda e batteva l’aria.
Sentivo il Passeggero Oscuro gemere e lamentarsi. Tentava di balzare fuori e afferrare il volante, ma c’era Doakes in agguato al di là del parabrezza che mi obbligava a frenarmi e a prendere un’altra lattina di birra. Avevo lavorato sodo e a lungo per conquistarmi la mia piccola esistenza perfetta e non avevo intenzione di distruggerla ora. Il Passeggero e io potevamo attendere ancora un po’. Harry mi aveva dato una disciplina e ciò significava aspettare giorni migliori.
«La pazienza», iniziò Harry. Si interruppe per tossire in un Kleenex. «La pazienza conta più dell’intelligenza, Dex. Tu intelligente lo sei già.»
«Grazie», risposi. E lo dissi per educazione, sul serio, perché sedere nella stanza d’ospedale di Harry non mi faceva sentire per niente a mio agio. L’odore di medicinali, disinfettante e urina uniti all’atmosfera di sofferenza e morte mi faceva desiderare di essere in qualunque altro posto. Naturalmente, da giovane mostro inesperto quale ero, non mi ero mai chiesto se Harry non desiderasse la stessa cosa.
«Nel tuo caso, devi essere ancora più paziente, perché a un certo punto ti crederai così intelligente da poter farla franca», continuò. «Ma tu non lo sei. Nessuno lo è.» Si interruppe e tossì un’altra volta, ora più a lungo e più forte. Era davvero troppo vedere Harry ridotto in quello stato, Harry l’indistruttibile, il superpoliziotto, il mio patrigno Harry che tremava, arrossiva e quasi piangeva per la fatica. Dovevo girarmi da un’altra parte. Quando poco dopo tornai a guardarlo, lui era di nuovo lì che mi osservava.
«Io ti conosco, Dexter. Meglio di quanto tu conosca te stesso.» E questo non era così incredibile rispetto a ciò che aggiunse dopo: «In fondo sei un bravo ragazzo».
«Non è vero», dissi, e mi vennero in mente le cose sublimi che allora non ero autorizzato a fare; anche solo pensarle non aveva molto a che vedere con la bontà. Senza contare che gli altri bravi ragazzi miei coetanei, pieni di brufoli e di ormoni, mi assomigliavano quanto io assomigliavo a uno scimpanzé. Harry però non voleva darmi retta.
«Certo che lo sei», insisté. «E devi crederci. Hai il cuore al posto giusto, Dex.» E scoppiò in un memorabile attacco di tosse, che durò parecchi minuti. Poi Harry tornò ad appoggiarsi, sfinito, sul cuscino. Chiuse gli occhi per un istante, ma quando li riaprì erano sempre i suoi, azzurro acciaio, più luminosi che mai sul suo volto pallido e morente. «Pazienza», ripeté. E la parola risuonò con forza, nonostante lui si sentisse debole e dolorante. «Il tuo cammino è ancora lungo, Dexter, e io non ho più molto tempo.»