«Avete mandato a morire il vostro uomo?» domandai. Non mi sembrò una bella cosa… cioè, anche se sono privo di etica, se non altro sono una persona leale.
Kyle rimase a lungo in silenzio. «Ti avevo detto che avevamo venduto le nostre anime», sospirò alla fine. Sorrise di nuovo, stavolta un po’ di più. «Be’, noi l’abbiamo messo dentro e gli altri l’hanno fatto fuori.»
«Però non è morto», osservò Deborah, pragmatica come sempre.
«Ci hanno imbrogliato», spiegò Chutsky. «L’hanno preso i cubani.»
«Quali cubani?» chiese mia sorella. «Parlavi del Salvador.»
«Tempo fa, ogni volta che nelle Americhe veniva fuori un problema, c’erano in mezzo sempre i cubani. Loro sostenevano uno dei due schieramenti, quello opposto al nostro. E volevano il nostro dottore. Ve l’ho detto, era un tipo speciale. Così lo catturarono e tentarono di farlo passare dalla loro parte. Lo portarono all’isola di Pines.»
«Cos’è, un posto di villeggiatura?» chiesi.
Chutsky fece una risatina. «Il più estremo. L’isola di Pines è una delle prigioni più dure del mondo. Lì il dottor Danco si fece davvero una bella vacanza. Gli dissero che i suoi l’avevano tradito e gliene fecero passare di tutti i colori. Qualche anno dopo uno dei nostri uomini venne catturato e ridotto in quel modo. Senza braccia né gambe e tutto il resto. Danco lavorava per loro. E ora…» Fece una pausa. «O l’hanno lasciato libero o è scappato. Poco importa. Lui sa chi l’ha incastrato… si è procurato una lista.»
«Sopra ci sei anche tu?» chiese Deborah.
«Può darsi», rispose Chutsky.
«C’è anche Doakes?» domandai. Dopotutto, anch’io potevo fare il pragmatico.
«Può darsi», ripeté Chutsky, senza essermi di grande aiuto. Tutta la storia di Danco era interessante, d’accordo, io però ero lì per un motivo. «Comunque», aggiunse, «questo è il nostro avversario.»
Nessuno sembrava avere molto da dire, me compreso. Ripensai in lungo e in largo a ciò che avevo sentito e a come quelle informazioni potessero tornarmi utili per liberarmi di Doakes. Devo ammettere che in quel momento non mi venne in mente nulla, ed era umiliante. Però mi sembrava di conoscere un po’ meglio il caro dottor Danco. Dunque anche lui era vuoto dentro, vero? Un lupo travestito da agnello. E anche lui aveva trovato il modo di utilizzare la sua abilità per un fine più grande, proprio come il caro vecchio Dexter. Ma adesso era uscito dai binari e aveva cominciato ad assomigliare un po’ troppo ai soliti predatori, a prescindere dalla direzione inquietante che stavano assumendo le sue tecniche.
E, cosa ancor più singolare, a quel pensiero se ne accompagnava un altro che si agitava nel gorgogliante calderone del cervello sotterraneo di Dexter. Prima poteva essere stata una fantasia passeggera… ora cominciava a sembrarmi un’ottima idea. Perché non trovare da solo il dottor Danco e coinvolgerlo in qualche passo della Diabolica Danza? Era un predatore incattivito, proprio come gli altri della mia lista. Nessuno, neppure Doakes, avrebbe avuto da ridire sulla sua scomparsa. Se prima non mi ero impegnato più di tanto nella sua ricerca, ora iniziavo a provare un senso di urgenza che scacciava la mia frustrazione nei confronti di Reiker. Così lui mi assomigliava, vero? Era da vedere. Sentii una scossa gelida lungo la spina dorsale e capii che ero ansioso di incontrare il dottore e discutere approfonditamente del suo lavoro.
Si udì il primo rombo di tuono in lontananza: il temporale pomeridiano era in arrivo. «Merda», borbottò Chutsky. «Sta per mettersi a piovere?»
«Capita tutti i giorni a quest’ora», risposi.
«Male», disse. «Dobbiamo agire prima che cominci. Tocca a te, Dexter.»
«A me?» esclamai, strappato via dalle mie riflessioni su quelle pratiche mediche anticonformiste. Avevo accettato di fare un giro in macchina, ma il fatto di dover anche agire non rientrava nel contratto. Voglio dire, con due intrepidi guerrieri seduti con le mani in mano, perché doveva essere mandato ad affrontare il pericolo proprio il Delicato Dilettante Dexter? Che senso aveva tutto questo?
«Proprio a te», replicò Chutsky. «Io ho bisogno di stare a guardare da dietro le quinte. Se è lui, mi sarà più facile farlo fuori. Per quanto riguarda Debbie…» Le sorrise, anche se lei dava l’impressione di essere contrariata. «Debbie assomiglia troppo a un poliziotto. Si muove da poliziotto, ti guarda da poliziotto, sarebbe persino capace di fargli la multa. La riconoscerebbe a chilometri di distanza. Quindi tocca a te, Dexter.»
«Tocca a me fare cosa?» domandai, e ammetto che mi sentii legittimamente indignato.
«Vai una volta sola fino alla casa, avanti e indietro sulla strada senza uscita. Tieni occhi e orecchi aperti, senza farti notare troppo.»
«Non saprei come farmi notare», osservai.
«Perfetto. Allora per te sarà una passeggiata.»
Era chiaro che non avrei ottenuto nulla, né con la logica né arrabbiandomi, se pur a ragione. Dunque aprii la portiera e scesi. Non potei però risparmiarmi la sparata finale. Mi piegai verso il finestrino dal lato di Deborah e dichiarai: «Mi auguro che tu viva abbastanza per rimpiangerlo». Gentilmente, il tuono rimbombò sulle mie parole.
Mi incamminai sul marciapiede verso la casa. Calpestai mucchi di foglie e un paio di cartoni di succo di frutta buttati da qualche ragazzino. Al mio passaggio un gatto corse in un prato e si mise a leccarsi le zampe, fissandomi a distanza di sicurezza.
Nella casa con le auto parcheggiate davanti la musica era cambiata e un tipo gridava: «Yuuu!» Era bello sapere che qualcuno si stava divertendo mentre io andavo a rischiare la vita.
Svoltai a sinistra nella via senza uscita. Osservai la casa con il furgone davanti: ero davvero orgoglioso di come l’avevo scovata. L’erba del prato era alta e incolta, il vialetto pieno di giornali bagnati. Non mi sembrò di vedere mucchi di resti umani a pezzetti e nessuno corse fuori tentando di uccidermi. Ma, mentre passavo, sentii una tivù a tutto volume che trasmetteva un gioco a quiz in spagnolo. Una voce maschile urlò più forte di quella isterica della presentatrice e si sentì sbattere un piatto. Un soffio di vento portò le prime grosse gocce d’acqua assieme a un odore di ammoniaca che proveniva dalla casa.
Continuai a camminare tornando alla macchina. Le gocce aumentarono e si sentì un rombo di tuono, ma poi il temporale ci concesse una tregua. Salii sull’auto. «Niente di così macabro», riferii. «Il prato ha bisogno di una sistemata e c’è odore di ammoniaca. Ho sentito delle voci. O parla da solo o c’è qualcuno con lui.»
«Ammoniaca», ripeté Kyle.
«Così mi è sembrato», feci. «Forse era una scorta di prodotti per la pulizia.»
Kyle scosse la testa. «Le imprese di pulizia non usano l’ammoniaca perché ha un odore troppo forte. So io chi la usa.»
«Chi?» domandò mia sorella.
Lui ridacchiò. «Torno subito», fu la sua risposta e scese dalla macchina.
«Kyle!» esclamò Deborah; lui si limitò a farle un cenno con la mano e andò dritto verso l’ingresso principale dell’abitazione. «Merda», borbottò lei, quando lo vide bussare e restare in attesa, fissando il cielo in tempesta.
La porta si aprì. Apparve un individuo basso e robusto, di carnagione scura, con un ciuffo di capelli neri che gli copriva la fronte. Chutsky gli disse qualcosa e per un po’ nessuno dei due si mosse. L’ometto guardò la strada e poi di nuovo Kyle. Questi si mise lentamente una mano in tasca e gli mostrò qualcosa: denaro? Lui osservò quella roba, poi di nuovo Chutsky e tenne aperta la porta. Chutsky entrò. La porta si chiuse sbattendo.