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Ci fu una pausa lunga e drammatica in cui sapevo che Doakes avrebbe contato fino a sette, proprio come avevamo concordato. Poi la radio emise un altro crepitio. «Okay», disse. «Arrivo verso le nove.»

«Grazie, Sarge», ribattei, felice di poterlo ripetere. Tanto per completare la mia gioia, aggiunsi: «Ci tengo davvero tanto. Dieci-quattro».

«Dieci-quattro.»

Sperai che da qualche parte in città la nostra piccola scenetta radiofonica avesse fatto presa sul bersaglio. Chissà se, mentre si sciacquava le mani prima di operare, si sarebbe fermato a sentire, la testa piegata da un lato? Mentre lo scanner frusciava per la voce calma e melodiosa di Doakes, forse avrebbe posato la sega, si sarebbe asciugato le mani e avrebbe segnato l’indirizzo su un pezzetto di carta. E poi sarebbe tornato allegramente all’opera (su Kyle Chutsky?) con la serenità interiore dell’uomo che ha il suo lavoro da fare e un calendario denso di impegni sociali da mantenere.

Proprio per essere completamente sicuri, i nostri amici della pattuglia si sgolarono a ripetere il messaggio più volte e senza fare cazzate: che stasera il sergente Doakes sarebbe andato alla festa, di persona, verso le nove.

Da parte mia, visto che per un po’ c’era qualcuno che lavorava al posto mio, mi diressi al Jackson Memorial Hospital per fare visita al mio uccellino con l’ala rotta preferito.

Deborah era a letto, il busto ingessato, in una stanza al sesto piano con una splendida vista sulla superstrada. Anche se ero certo che le somministrassero degli antidolorifici, quando entrai in camera non sembrava per niente rilassata. «Dannazione, Dexter», esordì, «digli di farmi alzare il culo da qui. O almeno dammi i miei vestiti così me ne vado.»

«Sono lieto di vedere che stai meglio, sorellina», feci. «Presto potrai alzarti.»

«Mi alzerò non appena mi daranno i miei fottuti vestiti», replicò. «Che cazzo succede là fuori? Che cosa avete fatto?»

«Io e Doakes abbiamo preparato una trappola piuttosto efficace, e Doakes fa da esca», spiegai. «Se Danco colpisce, lo prenderemo stanotte alla mia… uhm… alla festa di Vince», aggiunsi. Mi accorsi che facevo di tutto per prendere le distanze dall’idea del fidanzamento. Era da stupidi, d’accordo, ma comunque mi sentii meglio. Su Debs invece non ebbe lo stesso effetto.

«La tua festa di fidanzamento», ripeté e poi ringhiò. «Merda. Hai organizzato la trappola per Doakes perché faceva comodo a te.» Ammetto che detto così suonava quasi elegante, eppure non mi andava che lei si facesse queste idee: le persone di cattivo umore guariscono più lentamente.

«No, Deborah, sul serio», dissi nel mio tono più rassicurante. «Lo stiamo facendo per catturare il dottor Danco.»

Lei mi fissò a lungo e poi, senza che me l’aspettassi, tirò su col naso e trattenne una lacrima. «Sono costretta a fidarmi di te», mormorò. «Però detesto doverlo fare. Non penso ad altro se non a quello che starà combinando a Kyle.»

«Vedrai che funzionerà, Debs. Ti riporteremo Kyle.» E dato che, dopotutto, era mia sorella, non aggiunsi: O almeno quasi tutto.

«Cristo, quanto odio essere bloccata qui», sospirò. «Avrete bisogno di me per i rinforzi.»

«Ce la possiamo fare, sorellina», la tranquillizzai. «Alla festa ci saranno una dozzina di poliziotti, tutti armati e minacciosi. E ci sarò anch’io», precisai, un po’ offeso dal fatto che sottovalutasse in quel modo la mia presenza.

Ma lei proseguì sulla stessa linea. «Certo. Poi, se Doakes prende Danco, riavremo Kyle. Se invece è Danco a prendere Doakes, tu hai risolto i tuoi guai. Molto furbo, Dexter. Comunque vada, tu vinci.»

«Non ci avevo proprio pensato», mentii. «Il mio unico pensiero è il bene della comunità. Inoltre Doakes sembra molto esperto in questo genere di cose. E conosce Danco.»

«Dannazione, Dex, questa storia mi uccide. È come se…» Si interruppe per mordicchiarsi un labbro. «È meglio che funzioni», fece. «Kyle è con lui da troppo tempo.»

«Funzionerà, Deborah», le assicurai. Ma nessuno dei due mi credette davvero.

I medici furono irremovibili e decisero di tenere Deborah sotto osservazione altre ventiquattro ore. Così mi congedai affettuosamente da mia sorella e galoppai verso il tramonto e di lì fino a casa per fare una doccia e cambiarmi.

Che cosa mettermi? Non mi venivano in mente indicazioni su che cosa indossare in questa stagione a una festa di fidanzamento indesiderato che avrebbe potuto degenerare in uno scontro violento con un maniaco bramoso di vendetta. Naturalmente le scarpe marroni erano fuori luogo, ma a parte quello niente mi sembrava davvero adatto all’occasione. Dopo attente riflessioni, mi lasciai guidare dal buon gusto e scelsi una camicia hawaiana verde acido con stampate chitarre elettriche rosse e macchinine rosa. Semplice ma elegante. Poi un paio di pantaloni color kaki, scarpe da ginnastica ai piedi ed eccomi pronto per le danze.

Mancava ancora un’ora all’appuntamento e mi resi conto che i miei pensieri tornavano a Cody. Avevo ragione su di lui? In tal caso, come poteva gestire tutto solo il risveglio del suo Passeggero? Aveva bisogno della mia guida e mi accorsi di essere desideroso di fornirgliela.

Lasciai il mio appartamento e guidai verso sud, anziché dirigermi a nord verso la casa di Vince. Dopo un quarto d’ora bussavo alla porta di Rita, osservando il posto vuoto dall’altra parte della strada, quello che una volta era occupato dalla Taurus marrone del sergente Doakes. Stasera era senza dubbio a casa, tutto intento a prepararsi per lo scontro e a lustrare i proiettili. Avrebbe tentato di uccidere il dottor Danco, tutelato dal fatto che la legge glielo permetteva? Da quanto tempo non ammazzava qualcuno? Si ricordava ancora come si faceva? Anche per lui il Bisogno arrivava incalzandolo come un uragano e lo privava di ogni freno e inibizione?

La porta si aprì. Rita mi saltò addosso, raggiante, abbracciandomi forte e baciandomi sul viso. «Ehi, bellissimo», disse. «Entra.»

Ricambiai l’abbraccio rapido, per formalità, poi mi staccai. «Non posso fermarmi molto», feci.

Lei si illuminò ancora di più. «Lo so», rispose. «Mi ha chiamato Vince apposta per avvisarmi. È stato così carino. Mi ha promesso che ti avrebbe tenuto d’occhio perché non facessi troppe pazzie. Entra», ripeté e mi trascinò per un braccio. Dopo aver chiuso la porta si voltò a guardarmi, improvvisamente seria. «Ascolta, Dexter. Voglio che tu sappia che io non sono una persona gelosa e che mi fido di te. Vai e divertiti.»

«Lo farò, grazie», replicai, anche se ne dubitavo. Mi domandai che cosa le avesse raccontato Vince per indurla a credere che la festa fosse chissà quale luogo di perdizione. In realtà, poteva anche essere così. Dato che Vince era un tipo piuttosto artificiale, nelle situazioni sociali riusciva a essere imprevedibile, come aveva dimostrato a suon di allusioni sessuali nella sua bizzarra tenzone con mia sorella.

«Sarebbe carino che tu ti fermassi qui dopo la festa», mi propose Rita, conducendomi verso il divano su cui avevo passato gran parte della mia recente esistenza. «I bambini mi chiedevano perché non potevano venire.»

«Adesso ne parliamo», dichiarai, ansioso di vedere Cody per scoprire se avevo ragione.

Rita sorrise, emozionata all’idea che volessi proprio parlare con Cody e Astor. «Sono fuori, sul retro. Vado a chiamarli.»

«No, resta qui», la fermai. «Esco io.»

Cody e Astor erano in cortile con Nick, il demente della porta accanto che aveva chiesto ad Astor di vederla nuda. Non appena aprii la porta e loro mi notarono, Nick tornò di corsa nel suo cortile. Astor mi venne incontro e mi abbracciò, mentre Cody dietro stava a guardare, senza esprimere emozioni. «Ciao», fece con la sua voce calma.