Dopo un istante, in cui era rimasto a grattarsi con la bocca spalancata, come se stesse posando per la statua del dio greco della Stupidità, MacGregor localizzò la fonte del suono: ora ripeteva Jingle Bells. Fece qualche passo in avanti e si abbassò per toccare la tastierina di plastica, ma non fece in tempo a stupirsi perché gli strinsi attorno alla gola un cappio fatto con un filo da pesca da venti chili. Si raddrizzò e per un attimo credette di poter lottare. Strinsi più forte e cambiò idea.
«Smettila di ribellarti», dicemmo con la voce fredda e imperiosa del Passeggero. «Vivrai più a lungo.»
MacGregor lesse il proprio destino in quelle parole e si illuse di poterlo cambiare, allora strattonai il cappio e lo strinsi finché lui si fece scuro in volto e cadde in ginocchio.
Lasciai la presa un attimo prima che potesse svenire. «Adesso fa’ come ti viene detto», gli ordinammo.
L’uomo non replicò; emise un gemito soffocato e straziante, così diedi un lieve strattone al filo da pesca.
«Hai capito?» domandammo, e lui annuì; lo lasciai respirare.
Quando lo trascinai in casa con le braccia legate dietro la schiena a prendere le chiavi della sua auto, non tentò più di reagire; poi uscimmo di nuovo per salire sulla sua spaziosa SUV.
Mi sedetti alle sue spalle e strinsi con forza; gli permettevo a malapena di respirare, quel poco che gli bastava per non morire, almeno per ora.
«Accendi il motore», gli ordinammo e lui esitò.
«Che cosa vuoi?» chiese con voce roca.
«Tutto», rispondemmo. «Accendi il motore.»
«Ho molti soldi», mormorò.
Strinsi il laccio più forte. «In tal caso comprami un ragazzino.»
Lo tenni stretto per qualche secondo, così stretto da soffocarlo e per il tempo sufficiente perché capisse che eravamo noi a comandare, che sapevamo quello che aveva fatto e che da quel momento lui avrebbe potuto respirare solo a nostra discrezione. Quando allentai nuovamente la stretta, non ebbe nulla da dire.
Si diresse dove gli indicammo, risalì la South West 80th Street verso la Old Cutler Road e proseguì verso sud. Non c’era praticamente traffico, non a quell’ora di notte; svoltammo in una zona nuova che era stata edificata sul lato più lontano di Snapper Creek. I lavori erano stati interrotti perché il proprietario era stato arrestato per riciclaggio di denaro sporco, dunque nessuno ci avrebbe disturbato.
Conducemmo MacGregor attraverso un gabbiotto in costruzione, intorno a una rotonda, quindi a est verso il mare. Ci fermammo accanto a una piccola roulotte, sede degli uffici temporanei del cantiere, ora meta di teenager amanti del brivido o di gente come me, che cercava semplicemente un po’ di privacy.
Ci sedemmo un istante a contemplare il panorama: luna riflessa sull’acqua con pedofilo al guinzaglio in primo piano. Davvero impagabile.
Uscii trascinandomi dietro MacGregor, lo strattonai così forte che cadde in ginocchio, mentre tentava di afferrare il filo da pesca che gli stringeva il collo. Per un attimo lo vidi soffocare e strisciare nella polvere, la faccia di nuovo scura e gli occhi iniettati di rosso. Allora lo presi per i piedi e lo tirai su per i tre gradini in legno, fin dentro alla roulotte.
Prima che potesse rendersi conto di che cosa gli stava capitando, l’avevo legato a un tavolo, bloccandogli mani e piedi con il nastro adesivo.
MacGregor tentò di parlare, ma riuscì soltanto a tossire.
Aspettai. Non c’era fretta.
«Per favore», implorò infine, con una voce stridente come un gesso sulla lavagna, «ti darò tutto quello che vuoi.»
«Sì, certo», rispondemmo. Notai come l’effetto delle nostre parole lo mortificasse e, anche se non poteva vedere sotto la mia maschera di seta bianca, sorridemmo.
Tirai fuori le foto che avevo preso sulla barca e gliele mostrai.
Lui si immobilizzò, incredulo. «Quelle dove le hai trovate?» disse, con un fare piuttosto petulante per essere uno che presto sarebbe finito a pezzettini.
«Dimmi chi ha scattato queste fotografie.»
«Perché dovrei?»
Presi un paio di cesoie e gli tranciai via le prime due dita della mano sinistra. MacGregor cominciò a dimenarsi e a urlare. Schizzò fuori un fiotto di sangue: tutte le volte che succede mi arrabbio. Così gli ficcai una pallina da tennis in bocca e gli tagliai anche le prime due dita della mano destra. «Per nessun motivo in particolare», risposi e attesi che si calmasse un po’.
Quando lo fece, mi lanciò un’occhiata, sul volto la consapevolezza che raggiungi quando non pensi più al dolore, ma sai che le conseguenze saranno irreversibili. Gli tolsi la pallina da tennis dalla bocca.
«Chi ha scattato quelle fotografie?»
Lui sorrise. «Spero che uno di loro fosse tuo figlio», dichiarò, rendendo i novanta minuti che seguirono ancora più appaganti.
4
Di solito, dopo una delle mie Uscite Notturne mi sento piacevolmente rilassato per parecchi giorni, ma la mattina successiva alla precipitosa uscita di scena di MacGregor fremevo ancora di inquietudine. Volevo trovare a tutti i costi il fotografo con gli stivali rossi da cowboy e fare pulizia. Io sono un mostro ordinato e amo finire le cose che comincio; per di più sapere che c’è qualcuno lì fuori che va in giro con scarpe orribili e con una macchina fotografica che ne ha viste troppe, mi faceva venire voglia di investigare e portare a compimento la seconda fase del progetto.
Forse avevo avuto troppa fretta con MacGregor; avrei dovuto concedergli un po’ più di tempo, incoraggiarlo, e lui mi avrebbe detto tutto quanto. Ma mi era parsa una faccenda di cui mi sarei potuto occupare senza problemi: quando il Passeggero Oscuro è al volante, mi sento quasi onnipotente. Finora non mi ero sbagliato, però questa storia mi aveva messo leggermente in imbarazzo e ora mi toccava scovare Mister Cowboy per conto mio. Sapevo dalle mie precedenti ricerche che MacGregor, a parte le occasionali crociere serali, non aveva vita sociale. Era membro di un paio di associazioni di categoria, com’era prevedibile essendo agente immobiliare, ma non avevo trovato nessuno con cui sembrasse aver stretto amicizia. Sapevo anche che era incensurato, quindi non potevo consultare nessuno schedario per informarmi su eventuali connessioni. Gli atti del processo relativo al suo divorzio riportavano semplicemente «per incompatibilità di carattere» e lasciavano il resto all’immaginazione.
La cosa mi colpì; MacGregor era stato il classico asociale e in tutte le mie approfondite ricerche non avevo trovato un’indicazione relativa a colleghi, compagnie, appuntamenti o amici di sorta. Niente nottate da uomini passate a giocare a poker, e niente uomini, a parte i ragazzini. Nessun gruppo parrocchiale o circolo ricreativo, nessun bar del quartiere o serate danzanti (che avrebbero potuto giustificare il tipo con gli stivali)… niente di niente, eccetto la foto con quelle due scarpe rosse e appuntite.
Allora chi era Bob il Cowboy e come potevo rintracciarlo?
In realtà esisteva un unico luogo in cui avrei potuto trovare una risposta e avrei dovuto sbrigarmi, prima che qualcuno si accorgesse che MacGregor era scomparso. Sentii il rimbombo del tuono in lontananza e guardai sorpreso l’orologio alla parete. Erano le due e un quarto, sicuro, l’ora della bufera quotidiana. Invece di pranzare, avevo passato il tempo a riflettere: non mi riconoscevo più.
Ancora una volta il diluvio mi avrebbe fatto da copertura e avrei potuto fermarmi a mangiare qualcosa sulla via del ritorno. Così, dopo aver pianificato i prossimi istanti in modo piacevole e accurato, mi diressi al parcheggio, salii in auto e partii verso sud.