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Certo, sapevo che Deborah e Chutsky si erano messi in moto, ma la cosa mi preoccupò ancora di più. Per ritrovare la virilità perduta, Chutsky avrebbe insistito per partire alla carica con la stampella, impugnando una pistola con l’unica mano rimasta; anche se avesse permesso a Deborah di intervenire come rinforzo, lei aveva un gesso enorme che le impediva i movimenti. È difficile che una simile squadra di salvataggio ispiri fiducia. No, dovevo rassegnarmi: presto il mio cantuccio in cucina sarebbe diventato affollato, e quando tutti e tre saremmo stati drogati e legati nessuno sarebbe venuto in nostro soccorso.

E a dire il vero, nonostante il mio breve sfoggio verbale di eroismo, mi sentivo ancora stordito per colpa della roba nelle freccette di Danco. Dunque ero drogato, legato stretto e tutto solo. Ma ogni situazione ha il suo aspetto positivo, basta pensarci; mi concentrai per trovarlo e notai per cominciare che non ero stato attaccato da topi rabbiosi.

Tito Puente cambiò ritmo, stavolta un po’ più lento, e io cominciai a prenderla con filosofia. Prima o poi, tutti dobbiamo andarcene. Anche se questo non rientrava nella mia top ten dei modi preferiti di morire. Al numero uno c’era addormentarmi e non svegliarmi più, e quelli che seguivano diventavano immediatamente più spiacevoli.

Che cosa avrei visto mentre morivo? Non riuscivo a credere nell’esistenza dell’anima, né nel Paradiso, nell’Inferno o in quelle altre solenni sciocchezze. Dopotutto, anche se gli uomini avevano l’anima, dovevo per forza averla anch’io? Io non ce l’ho, ve lo posso assicurare. Come faccio, visto che sono quello che sono? Impensabile. È già abbastanza complicato essere me stesso. Figuriamoci avere pure un’anima, una coscienza e la minaccia di una punizione nell’aldilà. Improponibile.

Ma se penso che uno come me debba andarsene per sempre e non tornare mai più… che tristezza. È una vera tragedia. Forse dovrei cominciare a riconsiderare l’idea della reincarnazione. Potrei ritornare sotto forma di sterco di scarafaggio o, peggio ancora, di un altro mostro come me. Di sicuro non ci sarà nessuno a piangermi, soprattutto se Deborah se ne andrà con me. Egoisticamente, sperai che toccasse prima a me. Bastava che finisse. Questa farsa era durata abbastanza. Era ora di piantarla. Forse faceva lo stesso.

Tito attaccò una nuova canzone, molto romantica, qualcosa tipo Te amo e, adesso che ci pensavo, era facile che Rita avrebbe patito per me, quella deficiente. E Cody e Astor avrebbero sentito la mia mancanza, pur se nel loro modo disturbato. Ultimamente mi ero ritrovato con una gran quantità di legami affettivi. Com’era potuto succedere proprio a me? Ci avevo pensato anche mentre ero sott’acqua, a testa in giù nella macchina di Deborah. Perché da un po’ passavo un sacco di tempo a morire, anziché a mettere a posto le cose? Come ben sapevo, i sentimenti non sono chissà cosa.

Sentii Danco che faceva sferragliare un vassoio pieno di strumenti e mi voltai a guardare. Era ancora piuttosto difficile muoversi, ma mi riusciva un po’ meglio di prima e misi a fuoco il dottore. Aveva in mano un’enorme siringa e si avvicinava al sergente Doakes tenendola ben in evidenza, come se volesse farsi vedere e riscuotere la sua ammirazione. «È ora di svegliarsi, Albert», disse allegramente, avvicinando l’ago al braccio di Doakes. Per un po’ non successe nulla; poi il sergente si svegliò di soprassalto ed emise una gratificante sequela di urla e grugniti, mentre Danco lo guardava e si godeva il momento, agitando di nuovo in aria la siringa.

Si udì una specie di tonfo proveniente dalla parte anteriore dell’abitazione; Danco si girò di colpo e afferrò la sua pistola con i proiettili soporiferi, proprio mentre la sagoma enorme e rasata di Kyle Chutsky troneggiava sulla porta. Come avevo temuto, si appoggiava a una stampella e stringeva la pistola nella mano senza dubbio sudata e instabile. «Figlio di puttana!» esclamò e il dottor Danco lo colpì una, due volte. Chutsky lo fissò con la mascella a penzoloni e, mentre Danco abbassava l’arma, crollò sul pavimento.

E proprio dietro di lui apparve la mia cara sorella, Deborah, la visione più bella che avessi mai avuto assieme alla Glock che stringeva salda nella mano destra. Non si fermò a riflettere o a chiamare Danco. Si limitò a stringere la mascella e a sparare due colpi in rapida successione, che colpirono il dottore in mezzo al petto, lo fecero balzare in aria e rotolare addosso a Doakes. Il sergente urlava come un disperato.

Per un lungo istante tutto divenne calmo e immobile, a eccezione del frenetico Tito Puente. Poi Danco scivolò giù dal tavolo, Debs si inginocchiò accanto a Chutsky e controllò se respirasse. Lo distese in una posizione più comoda, lo baciò sulla fronte e alla fine si girò verso di me. «Dex», disse. «Tutto okay?»

«Starò meglio, sorellina», risposi, sentendomi la testa leggera, «quando spegnerai quella musica orribile.»

Lei si diresse verso il vecchio stereo e staccò la spina dal muro. Poi, nel silenzio generale, abbassò lo sguardo verso il sergente Doakes tentando di mantenersi impassibile.

«Adesso ti porteremo fuori di qui, Doakes», lo rassicurò. «Andrà tutto bene.» Gli posò una mano sulla spalla mentre lui piangeva a dirotto, poi si voltò all’improvviso dall’altra parte e mi venne incontro con le lacrime agli occhi. «Gesù», mi sussurrò mentre mi slegava. «Doakes è un casino.»

Eppure, mentre Debs mi tagliava dal polso l’ultimo pezzo di nastro adesivo, mi fu difficile rattristarmi per lui, perché finalmente ero libero, libero da tutto, dal nastro adesivo, dal dottore, dal dover fare piaceri e, sì, sembrava che finalmente fossi libero anche dal sergente Doakes.

Mi alzai, e non fu così facile. Mi stirai gli arti rattrappiti mentre Debs estraeva la radio per radunare i nostri amici della polizia di Miami Beach. Mi avvicinai al tavolo operatorio. Era una stupidaggine, ma non stavo nella pelle dalla curiosità. Abbassai la mano e afferrai il pezzo di carta attaccato al bordo del tavolo.

Nella sua grafia sottile e ormai familiare, Danco aveva scritto in stampatello:

TRADIMENTO

Cinque lettere erano state cancellate.

Guardai Doakes. Lui ricambiò lo sguardo, sbarrando gli occhi ed emanando un odio che non sarebbe mai riuscito a esprimere a parole.

Lo vedete? A volte il lieto fine esiste davvero.

Epilogo

È davvero bellissimo osservare il sole che sorge sull’acqua nella quiete del mattino subtropicale della Florida del Sud. È ancora più bello quando quella grande luna gialla cala sull’orizzonte e si colora lentamente d’argento prima di scomparire nell’oceano, lasciando che il sole prenda il suo posto nel cielo. Non c’è niente di meglio, infine, che osservare tutto questo lontano dalla terraferma, dal ponte di un cabinato, mentre stiracchi il collo e le braccia, stanco ma soddisfatto e finalmente oh-così-felice dopo una notte di lavoro tanto lungamente attesa.

Presto sarei salito sulla mia barchetta, al traino qui dietro, avrei buttato il cavo di rimorchio e sarei tornato ove era scomparsa la luna, diretto pigramente a casa, dove mi attendeva una nuova vita da promesso sposo. E il Falco Pescatore, il cabinato preso in prestito, si sarebbe allontanato piano piano nella direzione opposta, verso Bimini, dentro la Corrente del Golfo, il grande fiume blu senza fondo che fortunatamente si getta nell’oceano proprio vicino a Miami. Il Falco Pescatore non sarebbe arrivato fino a Bimini, né sarebbe riuscito a superare la Corrente del Golfo. Molto prima che io mi fossi addormentato felice nel mio lettino, il suo motore si sarebbe fermato, inondato dall’acqua, e il cabinato avrebbe ondeggiato lentamente tra le onde prima di colare a picco, giù nelle profondità cristalline.