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Jim Haight non si era fatto la barba. Intorno agli occhi aveva delle ombre bluastre.

«Davvero?» Aveva la voce roca, e tentò varie volte di schiarirsela. «Se lo dice lei… ne ho preparati tanti…»

«E chi ha servito i liquori?» domandò Dakin. «Tutti i liquori, compreso quello avvelenato? È stato ancora lei, signor Haight. Mi sbaglio? Perché vede, così mi hanno detto» concluse in tono di scusa.

«Se cerca d’insinuare…» cominciò Hermione con voce imperiosa.

«Benissimo, signora Wright» si arrese il capo della polizia. «Forse mi sbaglio. Però quei cocktails li ha preparati lei, signor Haight; lei li ha serviti; quindi, a quanto pare, lei è l’unico che poteva avvelenarne uno, col veleno dei topi. Ma io ho detto “a quanto pare”. Era davvero solo? Ha lasciato il vassoio da qualche parte anche per pochi secondi?»

«Senta» sbottò Jim. «Forse sono impazzito. Forse quel ch’è accaduto ieri sera mi ha fatto dar di volta il cervello. Ma che cos’è tutta questa commedia? Mi si sospetta di aver avvelenato mia moglie?»

Parve improvvisamente che l’aria della stanza diventasse di nuovo respirabile. Sul viso di Hermy tornò un po’ di colore, e persino Pat guardò Jim.

«Che sciocchezze, signor Dakin!» esclamò Hermione freddamente.

«È stato lei, signor Haight?» domandò cortesemente il signor Dakin.

«Naturalmente ho portato io il vassoio in salotto!» Jim balzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro davanti all’ispettore. «Ma ricordo che avevo appena finito di mischiare i liquori e stavo per buttarvi dentro le ciliege, quando ho dovuto lasciare la dispensa per qualche minuto. Ecco tutto!»

«Vede che stiamo arrivando a qualcosa!» esclamò Dakin cordialmente. «Non potrebbe essere entrato qualcuno di nascosto nella dispensa e aver avvelenato un bicchiere, senza che lei se ne accorgesse?

La sensazione di sollievo svanì rapidamente; a tutti i presenti parve nuovamente di soffocare…

«Io non ho avvelenato quei cocktails» affermò Jim. «Quindi qualcuno deve essere entrato per forza.»

Dakin si rivolse all’auditorio:

«Chi è uscito dal salotto mentre il signor Haight stava preparando i cocktails in cucina? Questa domanda è molto importante; vi prego di pensarci bene.»

Ellery accese una sigaretta, pensando che senz’altro qualcuno doveva aver notato la sua assenza la sera precedente. Ma tutti cominciarono a parlare contemporaneamente finché il capo li interruppe con un gesto.

«Non arriveremo a nulla, se insisteremo su questa unica domanda. Si è ballato e bevuto troppo, ieri sera; poi la camera era quasi buia perché solo le candele dell’albero erano accese… non che questo faccia molta differenza» soggiunse Dakin.

«Che cosa vuol dire?» domandò Pat rapidamente.

«Voglio dire che questo non è un punto importante, signorina Wright.» In quel momento la voce di Dakin era fredda, quasi gelida. «Quel che importa è: chi ha avuto il controllo della distribuzione delle bibite? Rispondete a questa domanda! Perché colui che ha portato il cocktail alla signora… dev’essere per forza la persona che l’ha avvelenato!»

“Benissimo, capo!” pensò il signor Queen. “Tu non sai quel che so io, ma hai colpito nel segno ugualmente. Dovresti mettere a frutto il tuo talento…”

«Lei ha portato quel cocktail, Jim Haight» disse con forza Dakin. «Nessun avvelenatore avrebbe lasciato cadere dell’arsenico in uno di quei bicchieri, fidando poi in Dio perché la persona designata prendesse quello giusto. Nossignore. Non ci sarebbe senso. Sua moglie ha ricevuto il bicchiere avvelenato, sì o no?»

«E va bene, sono stato io. E con questo?» Gli occhi di Jim sembravano due tizzoni. «Si sente soddisfatto, ora?»

«Pienamente» dichiarò il capo con tono mite. «Solo una cosa non sapeva, signor Haight. Lei è uscito dal salotto per preparare altre bibite, senza immaginare che sua sorella Rosemary avrebbe insistito per farsi dare un altro liquore; non sapeva che sua moglie, dopo aver bevuto due piccoli sorsi dal proprio bicchiere, gliel’avrebbe offerto. Così, invece di uccidere sua moglie, ha ucciso sua sorella!»

«Non può credere ch’io abbia fatto una cosa simile, Dakin» mormorò Jim con voce roca.

Dakin si strinse nelle spalle.

«Signor Haight, io so soltanto quello che mi dice il buon senso. I fatti rivelano chiaramente che lei, soltanto lei, aveva, come si dice?, l’occasione. Quindi può darsi che lei non avesse quello che si chiama il movente… io non lo so. Lo sa qualcuno dei presenti?»

Era una domanda disarmante. L’ammirazione del signor Queen per Dakin crebbe ancora. La sottigliezza del capo della polizia era squisita.

«Vuole sapere perché avrei dovuto uccidere mia moglie, dopo quattro mesi di matrimonio?» rispose aggressivamente Jim. «Vada all’inferno.»

«Questa non è una risposta, signor Haight. Chi di voi ci può aiutare?»

John strinse con forza i braccioli della sua poltrona, lanciando un’occhiata ad Hermy. Ma nello sguardo di sua moglie non lesse che orrore.

«Mia figlia Nora» disse John a fatica «ha ereditato centomila dollari dal nonno il giorno del suo matrimonio con Jim. Se Nora fosse morta… Jim avrebbe ereditato tutto a sua volta.»

Jim rimase seduto, guardandosi attorno, senza vedere. Il capo Dakin fece un cenno a Bradford ed entrambi lasciarono la stanza. Cinque minuti dopo rientrarono. Carter era ancora pallido e fissava davanti a sé, cercando di evitare gli sguardi degli altri.

«Signor Haight» disse gravemente Dakin «sono costretto a chiederle di non lasciare Wrightsville per nessuna ragione.»

Era stato Bradford a ritardare l’arresto vero e proprio, pensò Ellery, ma non l’aveva fatto per compassione. Aveva agito per dovere, piuttosto; il caso, da un punto di vista legale, era tutt’altro che completo. Ma il “caso” sarebbe proseguito, comunque. Il signor Queen era certo che, se non fosse sopravvenuto un vero e proprio miracolo, Jim Haight non avrebbe girato a lungo libero per le strade di Wrightsville.

II

Nora parla

Un cadavere in casa Wright. Wrightsville discuteva l’avvenimento con letizia sempre crescente. In casa Wright, nella prima famiglia della città, un avvelenamento! Un delitto! Chi non ricordava la storia di tre anni prima? La fuga di Jim Haight, la morte di quel tale che veniva da chissà dove? Ormai tutti chiamavano la casa di Nora, la “casa del malaugurio”. La soddisfazione dei maligni del paese si sfogava in chiacchiere senza fine. Il signor “Ellery Smith-Queen” aveva la sensazione di essere diventato un soldato che difendeva una roccaforte. Una piccola folla sostava sempre davanti ai cancelli di casa Haight, e uno dei posti di vendetta più ricercato era il terrazzo di Emmeline Du Pré, la pettegola principe, il gazzettino della comunità. Se un viso appariva alla finestra di una delle due case incriminate, dal perenne gruppetto degli spettatori si sollevava un vivo brusìo.

«Ma che cosa ci sta accadendo?» gemeva Hermione. «Io non ho più il coraggio di rispondere al telefono!»

«Siamo diventati il museo degli orrori» osservò Lola cupamente.

Sin dal primo dell’anno Lola non aveva più lasciato la casa dei suoi. Divideva la camera con Pat, e la notte, in silenzio, lavava da sola la propria biancheria nello stanzino da bagno di Pat. Non voleva accettare assolutamente nulla dalla famiglia, e prendeva i pasti insieme a Jim. Lola fu l’unico membro della famiglia che osò uscire di casa nei primi giorni di gennaio. Il due gennaio diede a Emmeline Du Pré una tale risposta che per poco non la mandò in convulsioni.