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Alberta Manaskas non si era più presentata in servizio, così Lola cucinava per Jim. Jim non diceva nulla e andava in banca come al solito. Anche John non diceva nulla, e andava in banca a sua volta. I due uomini non si parlavano mai. Nora, in preda alla febbre, si agitava nel letto, soffriva moltissimo e chiamava disperatamente suo marito. Il suo cuscino era sempre bagnato di lacrime. Carter Bradford si era rintanato in ufficio e, di tanto in tanto, aveva lunghi colloqui segreti con il capo della polizia.

In mezzo a tutto questo scompiglio, il signor Queen si moveva silenziosamente, senza dar fastidio a nessuno. Tre giorni dopo il delitto, bloccò Pat e con un cenno le indicò le scale. Ellery condusse la ragazza nella propria camera e chiuse la porta a chiave.

«Pat, ho pensato molto in questi giorni.»

«Spero che le abbia fatto bene.» Pat era molto inquieta.

«Quando il dottor Willoughby è stato qui stamattina, l’ho sentito parlare al telefono con Dakin. Il magistrato della Contea, Salemson, ha interrotto le vacanze ed è tornato in città. Domani ci sarà l’inchiesta.»

«L’inchiesta! Dovremo uscire di casa?»

«È la legge, tesoro; mi dispiace, mi dispiace tanto.»

«Ma non Nora!»

«No; il dottor Willoughby le rifiuta il permesso di alzarsi. Ho sentito che lo diceva a Dakin.»

«Ellery… Che cosa faranno?»

«Cercheranno di stabilire i fatti e di arrivare alla verità.»

«La verità.» Pat era terrorizzata.

«Pat» disse Ellery gravemente «noi conosciamo già i due dati più importanti di questo problema… ormai non si tratta più di un delitto potenziale. Un assassinio è stato commesso. Una donna è morta… Il fatto che sia morta per sbaglio non ha importanza; perciò la legge…»

«Lei sta cercando di dirmi, con inutili giri di parole» lo interruppe Pat con forza «che dobbiamo andare alla polizia a raccontare tutto quello che sappiamo…?»

«Sta a noi mandare o non mandare Jim Haight alla sedia elettrica.»

Pat balzò in piedi. Ellery le prese la mano.

«Ellery, non è possibile! Non può esserne convinto! E nemmeno io, sebbene sia la sorella di Nora…»

«Noi stiamo parlando di fatti, ora, e i sentimenti non c’entrano» dichiarò Ellery irritato. «Non si rende conto che noi siamo in possesso di quattro gravissimi indizi, cioè di quattro fatti che possono provare la colpevolezza di Jim?»

«Quattro?» balbettò Pat. «Sono tanti!»

Ellery la costrinse a sedersi. La ragazza aveva un’espressione perplessa.

«Fatto numero uno: le tre lettere nascoste nella cappelliera di Nora, che indicano chiaramente le sue intenzioni.» Pat s’inumidì le labbra. «Fatto numero due: il disperato bisogno di danaro di Jim. Lo sappiamo per certo, perché è andato a impegnare i gioielli di sua moglie, e le ha chiesto dei soldi… senza contare che Dakin sa… che alla morte di Nora, Jim avrebbe ereditato una grossa sostanza… non le sembra un motivo sufficiente?»

«Sì… sì.»

«Fatto numero tre: il libro di tossicologia appartenente a Jim, segnato dalla sua matita rossa in un punto dove si parlava del triossido di arsenico; e di triossido d’arsenico era pieno il bicchiere di Nora. Fatto numero quattro:» Ellery scosse il capo «qualcosa che io solo posso stabilire perché ho tenuto Jim sott’occhio ogni momento, la sera dell’ultimo dell’anno. Nessuno, all’infuori di lui, avrebbe potuto avvelenare il bicchiere fatale, e nessuno l’ha fatto. Io sono quindi in grado di stabilire che Jim, non solo aveva la migliore occasione per avvelenare il bicchiere, ma anche l’unica occasione.»

«Senza parlare del pomeriggio in cui Jim era ubriaco e ha detto che aveva intenzione di liberarsi di sua moglie. Dakin e Cart hanno sentito…» sospirò Pat.

«E senza contare, inoltre» proseguì Ellery gentilmente «le due altre occasioni nelle quali Nora è stata avvelenata con l’arsenico: il ventotto novembre e il giorno di Natale, precisamente secondo le date delle due lettere di Jim. Sono dei fatti molto conclusivi, Pat. Chi non crederebbe che Jim voleva uccidere Nora?»

«Eppure lei non lo crede» affermò Pat.

«Non ho detto questo» rispose Ellery lentamente. «Io…» si strinse nelle spalle. «La questione è un’altra: dobbiamo deciderci subito. Parliamo all’inchiesta di domani, o no?»

«E se Jim fosse innocente?» domandò Pat, pensosa, mordendosi un’unghia. «Come posso, come possiamo far condannare un uomo a morte? Un uomo che conosciamo? Ellery, io non me la sento. E poi» continuò Pat col viso sempre più sconvolto «non credo che ci riproverà più, Ellery! Non ora, dopo che ha ucciso sua sorella per errore; non dopo che si è scoperto tutto, e la polizia… voglio dire se è stato lui…»

Ellery si fregò le mani finché gli fecero male, camminando su e giù davanti alla ragazza con la fronte aggrottata.

«So io che cosa dobbiamo fare» dichiarò alla fine. «Dobbiamo sottoporre il problema a Nora.» Pat sgranò gli occhi. «Nora è la vittima, Jim è suo marito. Lasciamo che sia lei a decidere. D’accordo?»

La ragazza rimase a lungo in silenzio.

«Nora è sola in questo momento. Andiamo. E… Ellery.» Il giovane aprì la porta. «Grazie per essere stato un così buon amico, discreto e silenzioso.»

Il signor Queen la prese per un braccio e si incamminarono verso le scale.

Nora giaceva tutta rannicchiata sotto la coperta blu, fissando il soffitto.

“È sempre più spaventata” pensò Ellery.

«Nora» Pat afferrò la mano delicata della sorella. «Ti senti abbastanza forte per parlare?»

Gli occhi dell’ammalata corsero rapidamente da Pat a Ellery; poi con voce ansiosa domandò:

«Che cosa c’è? Che cos’è accaduto? E Jim… lo hanno…?»

«No; non è accaduto nulla, Nora.»

«Ellery pensa… io penso… che è arrivato finalmente il momento di parlarci» dichiarò Pat. Poi soggiunse con forza: «Nora, ti prego, Nora: non richiuderti in te stessa! Ascoltaci!».

Nora raccolse le sue forze e cercò di mettersi a sedere. La sorella minore le aggiustò lo scialle intorno alle spalle con un gesto molto materno. La malata rimase a fissare le lenzuola con lo sguardo vuoto.

«Non abbia paura» intervenne Ellery. E con voce pacata cominciò a raccontare tutto quello che lui e Pat avevano scoperto sin dal principio. Gli occhi di Nora si facevano sempre più grandi.

«Ho cercato di dirtelo!» gridò Pat con voce rotta. «Non hai mai voluto ascoltarmi! Nora, perché?»

«Perché non è vero» mormorò Nora. «Forse al principio anch’io lo pensavo… Ma non è vero, non può essere stato Jim; voi non lo conoscete. La gente gli fa paura. Si comporta in un modo tanto strano, ma nel suo intimo è come un bambino. È debole, troppo debole, per fare quello… che voi pensate abbia fatto. Oh, vi prego!» Nora cominciò a piangere e nascose il viso tra le mani. «Gli voglio bene» singhiozzò. «Ho sempre amato Jim; non crederò mai che abbia voluto uccidermi. Mai! Mai!»

«Ma i fatti, Nora» osservò Ellery stancamente.

«Oh, i fatti! Che importanza hanno i fatti? Una donna sente, sa che tutta questa storia è senza senso. So che qualcuno ha cercato di avvelenarmi tre volte, ma sono certa che non è stato Jim!»

«E le tre lettere, Nora, le lettere scritte da Jim?»

«Non le ha scritte lui! Le avranno falsificate.» Nora ansava, ora. «Non avete mai sentito parlare di falsificazioni?»

«E le minacce che ha lanciato contro di lei, il giorno in cui era ubriaco?» chiese Ellery.

«Non si rendeva conto di quel che diceva!»

Nora non piangeva più; combatteva con tutte le sue forze. Ellery ricostruì con lei, passo passo, tutta la storia di quello strabiliante caso, e la ragazza mise in discussione ogni sua argomentazione. Non con altri argomenti. Con la sua fede: una fede adamantina, spaventosa. Alla fine Ellery si trovò a battersi solo contro le due donne.