Выбрать главу

V

La festa di San Valentino

Tenendo conto che Nora era costretta a letto per un avvelenamento da arsenico, che John andava perdendo lentamente tutti i suoi clienti più danarosi, che Hermione era ostracizzata dalle sue amiche, che Pat era trasformata più o meno in un’infermiera, e perfino Lola era costretta ad abbandonare il suo isolamento… era veramente meraviglioso vedere come i Wright fingevano coraggiosamente anche tra di loro che non fosse successo nulla. Tutti parlavano delle condizioni di Nora come di una “malattia” quasi che la ragazza soffrisse di laringite o di qualche misterioso ma rispettabile disturbo “femminile”. John continuava a parlare di affari con la sua consueta aria sbrigativa… se non partecipava a tutti i consigli di amministrazione era perché aveva troppo da fare, se non andava ai pranzi settimanali della Camera di Commercio era perché soffriva di stomaco.

In quanto a Jim… non se ne parlava proprio.

Ma Hermy, dopo un primo periodo di smarrimento, ricominciò la solita vita. Nessuno le avrebbe impedito di farsi vedere in città. Fece la sua comparsa al circolo femminile, con l’abito più elegante che aveva, come se non fosse successo nulla.

Agli inizi di febbraio le cose avevano ripreso una tale aria di normalità che Lola tornò nel suo appartamento e Pat si assunse il compito di cucinare per Jim e di badare alla casa di Nora, che, comunque, cominciava a rimettersi.

Giovedì tredici febbraio, il dottor Willoughby annunziò che Nora si poteva alzare. Tutta la famiglia esultò di gioia. Ludie preparò un’immensa torta meringata di limone, il dolce favorito di Nora. John ritornò a casa più presto dalla banca con un enorme fascio di rose rosse (dove fosse riuscito a trovarle, in febbraio a Wrightsville, era davvero inspiegabile); Patty si stiracchiò come se fosse stata rattrappita, si lavò i capelli e si smaltò le unghie mormorando:

«Mamma mia, come m’ero lasciata andare!»

Nora chiese subito di vedere Jim, ma Hermione le rifiutò il permesso di uscire di casa.

«È il primo giorno, cara! Ma sei pazza?»

Nora telefonò alla casa accanto. Ma dopo poco riappese il ricevitore desolata. Nessuno aveva risposto.

«Forse è uscito per fare una passeggiata» disse Pat.

«Sono sicura che è così, Nora» disse Hermy che non rivelò di avere visto proprio in quel momento il viso grigiastro del giovane premuto contro i vetri della camera da letto del villino. «Credo bene!» fece Nora un poco agitata; poi telefonò al cartolaio che le mandasse il più bel cartoncino di S. Valentino che avesse in negozio.

Il cartoncino arrivò, era una cosina graziosa di raso rosa trapunta, orlata di pizzo e adorna di grassi Cupidi rosa, e delle frasi dolci e sentimentali che usavano spedirsi gli innamorati il giorno di S. Valentino.

Nora scrisse la busta febbrilmente e mandò fuori Ellery a infilarla nella cassetta delle lettere della casa vicina.

Nella posta del venerdì mattina, non c’era nessun cartoncino di S. Valentino per Nora.

«Vado da lui» dichiarò Nora fermamente. «Sta comportandosi come uno sciocco. Mette il broncio perché crede che tutto il mondo sia contro di lui. Voglio andare…»

Ludie entrò trepida e spaurita mormorando:

«C’è qui il capo Dakin col signor Bradford, signora Hermy.»

«Dakin!» Hermy divenne pallidissima. «Per me, Ludie?»

«Il signor capo dice che vuol vedere la signora Nora.»

«Vuol vedere me?» domandò Nora con voce tremante.

«Me ne occupo io!» affermò John alzandosi di tavola e dirigendosi verso il salotto.

Il signor Queen fece i gradini a quattro a quattro e andò a svegliare Pat:

«Scenda Pat… ci siamo.»

Tre minuti dopo tornava a pianterreno con la ragazza. Mentre varcavano la soglia del salotto, Dakin stava dicendo:

«Naturalmente, signora Haight, dovremo ricostruire insieme tutta questa storia. Avevo detto al dottor Willoughby di farmi sapere quando lei avrebbe potuto alzarsi…»

«Molto gentile da parte sua» mormorò Nora. Si capiva che era spaventata a morte. Il suo corpo aveva una rigidezza legnosa, gli occhi passavano incessantemente da Dakin a Bradford. Pareva una marionetta mossa da invisibili mani.

«Salve, signor Dakin, non le sembra un po’ presto per una visita di società?» domandò Pat in tono sprezzante.

Carter Bradford la fissò furioso e infelice.

«Non vedo che cosa vi aspettiate da Nora» osservò freddamente John. «Patricia, siediti!»

«Patricia?» mormorò Pat. Suo padre non l’aveva chiamata Patricia da molti anni: da quando l’aveva sculacciata l’ultima volta.

Dakin salutò cortesemente Ellery con un cenno del capo.

«Lieto di vederla, signor Smith. Ora che siamo tutti pronti… Carter, volevi dire qualche cosa?»

«Sì!» esplose Carter. «Volevo dire che sono in una posizione impossibile. Volevo dire…»

Fece un gesto disperato e andò verso la finestra a guardare i campi coperti di neve.

«Ed ora, signora Haight, vuole raccontarmi che cosa è successo la sera di capodanno? Vuole dirmi che cosa ha visto? Ho già sentito il racconto di tutti…»

«E perché no? Che cosa me ne importa?» Nora aveva parlato con voce roca e dovette schiarirsi la gola. Poi cominciò a parlare rapidamente e con voce acuta. «Non ho proprio niente da dirle. Cioè tutto quel che ho visto…»

«Quando suo marito è venuto a offrirle il cocktail, le ha porto un bicchiere particolare o ha fatto in modo che lei ne scegliesse uno piuttosto che un altro?»

«Come posso ricordarmene?» chiese Nora indignata. «È un’insinuazione orribile!»

«Signora Haight.» La voce di Dakin divenne improvvisamente gelida. «Suo marito non ha per caso tentato di avvelenarla prima di Natale?»

«No!» La risposta era stata secca, tagliente.

«Nora cara, non agitarti» ansimò Pat.

«Ne è certa, signora Haight?» insisté Dakin.

«Naturalmente.»

«Non vuole dirci nulla delle continue liti che aveva con suo marito, signora Haight?»

«Liti!» Nora era livida ora. «Immagino che sia stata quell’orribile Du Pré a parlarne oppure…» il tono della voce di Nora fu tale che perfino Carter Bradford si voltò. La giovane aveva parlato con forza, con odio quasi e ora guardava Ellery duramente.

«Oppure… chi, signora Haight?» domandò Dakin.

«Nulla, nessuno. Non potete lasciar stare Jim?»

Nora ora piangeva istericamente. Entrò il dottor Willoughby, ansioso e preoccupato.

«Nora, piangi ancora? Dakin, l’avevo avvertita…»

«Ho dovuto fare il mio dovere, dottore» affermò il capo della polizia con dignità. «Signora Haight, non ha nulla da dirci che possa aiutare suo marito?…»

«Non è stato lui, lo giuro!»

«Allora, se non mi dice nulla, signora, credo proprio che dovrò farlo.»

«Che cosa, per l’amor del cielo?»

«Dovrò arrestare suo marito.»

«Arrestare… Jim?»

Nora cominciò a ridere istericamente. Dietro gli occhiali le sue pupille erano molto dilatate. Il dottor Willoughby cercò di calmarla, ma lei lo respinse.

«Non potete arrestare Jim! Non ha fatto niente, non avete nessuna accusa a suo carico!»

«Ne abbiamo diverse» affermò Dakin.

«Mi spiace, Nora» mormorò Carter Bradford. «Ma è vero.»

«Moltissimi capi d’accusa…» mormorò Nora. Poi gridò rivolta a Pat: «Troppa gente lo sapeva! Ecco cosa vuol dire avere degli estranei in casa!»

«Nora!» protestò Pat. «Ma cara…»

«Un momento, Nora» cominciò Ellery.

«Lei non osi rivolgermi la parola!» gridò Nora con voce stridula. «Lei lo ritiene colpevole per via di quelle tre lettere! Non lo arresterebbero se lei non avesse parlato!»

Qualcosa dello sguardo fisso di Ellery parve fermare la crisi di nervi di Nora, che s’interruppe con un gemito e s’appoggiò al dottor Willoughby. Nei suoi occhi si leggeva ora un’enorme paura. Attonita, fissò prima Dakin poi Bradford e si strinse ancor di più i pugni portandosene uno alla bocca.