«Veramente, il regolamento dice che non si può ammettere più di una persona alla volta.»
«Oh, ma che importa il regolamento, Wally?»
«Questo signore è un giornalista? Il signor Haight non vuol veder nessun giornalista, eccetto la signorina Roberts.»
«No, è un amico mio e di Jim.»
Wally li precedette aprendo e chiudendo continuamente cancelli. L’odore del lisoformio si faceva sempre più forte, Pat era pallidissima e si appoggiava al braccio di Ellery. Però teneva la testa alta.
«Eccoci qua» mormorò l’investigatore.
Jim balzò in piedi, non appena lo vide: il suo viso pallido si coprì d’un cupo rossore. Ma un momento dopo tornò a sedersi e disse con voce roca:
«Oh, buongiorno, non sapevo che sareste venuti!»
«Salve, Jim» esclamò Pat allegramente. «Come stai?»
Jim si guardò intorno nella sua cella.
«Benissimo» rispose con un vago sorriso.
«Nora sta bene» fece Pat con uno sforzo, come se Jim le avesse rivolta una domanda.
«Sono contento» disse Jim. «Proprio bene?»
«Sì» ripeté Pat con voce un po’ troppo stridula.
«Sono contento» ripeté Jim, monotono.
Ellery intervenne, scherzosamente.
«Pat, non aveva detto di dover fare qualche commissione altrove? Vorrei parlare con Jim in privato.»
Pat voltò il viso pallido verso Ellery, e mormorò qualche cosa, poi sorrise debolmente al cognato e scappò fuori. L’ufficiale di servizio chiuse di nuovo la porta. Ellery posò gli occhi su Jim, che stava studiando il nudo pavimento della sua cella.
«Il difensore vuole che parli» borbottò Jim all’improvviso.
«E perché no, Jim?»
«Che cosa potrei dire?»
Ellery gli offrì una sigaretta. Jim la prese, ma quando l’investigatore gli porse un fiammifero acceso, il prigioniero scosse il capo e lentamente fece in pezzi la sigaretta.
«Potrebbe dire» mormorò Ellery tra una boccata di fumo e l’altra «potrebbe dire ad esempio di non aver scritto quelle lettere, di non aver sottolineato quel paragrafo sull’arsenico.»
Per un momento le dita di Jim smisero di tormentare la sigaretta. Le sue labbra senza colore si strinsero in una smorfia che era quasi un sorriso d’ironia.
Jim alzò gli occhi, poi distolse lo sguardo.
«Aveva davvero intenzione di avvelenare Nora?» Sembrò che il prigioniero non avesse nemmeno udito la domanda. «Lei sa, Jim, che quando un uomo è colpevole di un delitto, è meglio che dica la verità ai suoi amici e al suo avvocato; e quando non è colpevole, è un vero delitto se non parla.» Jim continuava a tacere. «Come può aspettarsi che la sua famiglia, i suoi amici la aiutino, se non si aiuta da solo?»
Jim mosse le labbra. «Che cosa ha detto, Jim?»
«Nulla.»
«E in questo caso» fece Ellery vivamente. «Il delitto del suo silenzio non colpisce tanto lei quanto sua moglie e il bambino che deve nascere. Come può essere tanto stupido o tanto testardo da voler trascinare anche loro alla rovina?»
«Non ho detto questo!» gridò Jim con voce roca. «Se ne vada! Non le avevo chiesto di venire! Non avevo chiesto al giudice Martin di difendermi! Non avevo chiesto nulla! Volevo soltanto restarmene solo!»
«È questo che devo dire a Nora da parte sua?» domandò Ellery.
C’era una tale infelicità negli occhi di Jim mentre si sedeva ansante sull’orlo del pagliericcio, che Ellery andò alla porta e chiamò l’ufficiale di servizio.
C’erano tutti i segni della colpevolezza. La codardia, la vergogna, la pietà verso se stesso… ma c’era anche qualche altra cosa, quella testardaggine, quell’ostinazione assoluta di non parlare, come se il dire una parola costituisse un grave pericolo…
Mentre Ellery seguiva la guardia lungo il corridoio di cemento, ebbe l’impressione che per un momento nel suo cervello s’accendesse una luce abbagliante. Si fermò di botto e il vecchio Wally si voltò sorpreso. Ma poi il signor Queen scosse la testa e riprese il cammino. Già c’era quasi arrivato… per pura divinazione. Forse la volta prossima…
Davanti alla porta di vetro smerigliato al secondo piano del palazzo di Giustizia, Pat si fermò e trasse un profondo respiro.
«Il Procuratore Distrettuale è in ufficio?» mormorò all’impiegata.
«Vado a vedere, signorina Wright» rispose la ragazza, e si allontanò in fretta.
Carter Bradford andò personalmente incontro a Pat. Aveva un’aria attonita e stanca. Si tirò da una parte per lasciarla passare, e Pat udì il suo respiro irregolare. “Oh, Dio” pensò. “Forse, forse non è troppo tardi.”
«Stavi lavorando?»
«Sì, Pat.»
La ragazza si sedette.
«Be’» fece, guardandosi attorno. «L’ufficio nuovo… non sembra affatto cambiato, Cart.»
«È forse l’unica cosa a non essere cambiata.» Cart si passò una mano tra i capelli. «Pat, sei semplicemente deliziosa.»
«Sei gentile» sospirò Pat. «Specialmente quando comincio a dimostrare tutta la mia età.»
«Dimostrare la tua età! Perdinci, ma sei…» Cart inghiottì a fatica; poi sbottò, quasi con violenza: «Mi sei mancata terribilmente».
Pat stava seduta molto rigidamente.
«Anche tu mi sei mancato, in fondo.»
Santo cielo! Non aveva previsto che le cose dovessero andare così. Ma era difficile affrontare Cart a quel modo, sola, con lui, per la prima volta dopo tanto tempo… era difficile trattenersi dal pensare… dal sentire…
«Ho sognato di te» fece Cart con una risata imbarazzata. «Sono molto sciocco?»
«Su, Cart, sai benissimo che lo dici per essere cortese. Non ci si sogna della gente. Non nel modo che intendi, almeno. Ci si sognano animali strani col naso lungo lungo.»
«Sognare o non sognare, è sempre la stessa cosa. Ma io vedo continuamente il tuo viso, non so perché. Non è un viso meraviglioso. Ha il naso buffo e la bocca più grande di quella di Carmen, e guardi la gente tutta di fianco, come un pappagallo…»
Un attimo dopo, Pat era nelle braccia di Cart, e tutto somigliava a un dramma di spionaggio, eccetto che lei non aveva immaginato il copione proprio così. Il bacio doveva venire dopo… come ricompensa per Cart che aveva saputo sacrificarsi con tanto stile, con tanta cortesia. E anche il battito disordinato del suo cuore non era nel copione. Le labbra del giovane erano sulle sue, e premevano forte, sempre più forte.
«Cart, no; non ora» mormorò Pat cercando di respingerlo. «Amore, ti prego.»
«Mi hai chiamato amore! Oh, Pat, come hai potuto prenderti gioco di me durante tutti questi mesi, facendoti vedere in giro con quello stupido di Smith…»
«Cart» gemette Pat «ho bisogno di parlarti, prima.»
«Sono stanco di parlare, Pat!» E la baciò sulla bocca e sulla punta del naso.
«Voglio parlarti di Jim, Cart!» gridò Pat disperatamente.
Cart si scostò da Pat e andò a sedersi dietro la scrivania.
«Che cosa vuoi dirmi di Jim?» domandò con voce stanca.
«Cart, guardami!» implorò Pat.
«Non posso.»
«Come, non puoi?»
«Non posso ritirarmi da questo caso. Sei venuta a chiedermi questo, vero?»
Pat tornò a sedersi e frugò nella borsetta per cercare il rossetto. Le sue labbra erano tutte pasticciate. L’aveva baciata. Le mani le tremavano tanto, che fu costretta a richiudere la borsetta.
«Sì» disse lentamente. «Ti volevo chiedere anche di più. Volevo che ti dimettessi dalla carica di Procuratore Distrettuale e ti presentassi in veste di difensore di Jim. Come il giudice Eli Martin.»
Cart rimase in silenzio, fissando Pat con uno sguardo intenso e amaro. Ma, quando parlò, la sua voce era gentile.
«Non puoi chiedermi seriamente una cosa simile. Il giudice è vecchio, è il più intimo amico di tuo padre e, in ogni caso, non avrebbe potuto giudicare in questo processo. Ma io ho ottenuto questa carica poco tempo fa. Ho prestato un giuramento, e questo significa qualcosa per me. Mi fa male parlare come un politicante in cerca di voti…»