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«Però fai esattamente quell’impressione!» sbottò Pat.

«Se Jim è innocente, sarà assolto. Se è colpevole… vorresti che fosse messo in libertà?»

«Jim non è colpevole!»

«Questo deve deciderlo la giuria.»

«Ma tu hai già deciso! Dentro di te l’hai già condannato a morte!»

«Dakin ed io abbiamo dovuto raccogliere prove e fatti, Pat. Siamo stati costretti. Mi capisci? I nostri sentimenti personali non c’entrano affatto. Posso dirti che tutti e due siamo molto sconvolti da questa tragedia…»

Pat era sull’orlo delle lacrime.

«Non ha nessun significato per te il fatto che Nora stia per avere un bambino? So che non si può fermare il processo, ma io volevo che tu fossi dalla nostra parte… Volevo il tuo aiuto: non volevo che ci facessi del male! Hai detto che mi ami!» gridò Pat, e scoppiò in singhiozzi. «Tutta la città è contro di noi. Hanno cercato di linciare Jim. Ci soffocano nel fango con le loro chiacchiere a Wrightsville, Cart. Un Wright ha fondato questa città. Fino a ieri noi eravamo i lari e i penati di tutti i cittadini. Siamo nati qui non solo noi ragazzi, ma anche la mamma, il papà, i loro genitori… e io… non sono più la ragazzina che “filava” con te nelle sere d’estate. Tutto il mio mondo è crollato, ed io sono invecchiata assistendo alla sua rovina. Oh, Cart, non ho più orgoglio, non ho più coraggio… di’ che mi aiuterai; ho tanta paura!» Pat nascose il viso tra le mani.

«Pat» sospirò Cart, profondamente infelice. «Non posso. Lo sai che non posso.»

Pat si sentiva morire, eppure le parve che una seconda personalità la costringesse a saltare in piedi e gridare contro Cart:

«Non sei altro che un piccolo politicante egoista! Tu vorresti vedere morire me, Jim, papà, mamma, Nora, tutti, pur di fare carriera! Già, questo è un caso importante! Dozzine di giornalisti di tutti gli Stati d’America vi assisteranno! Ci sarà il tuo nome, forse la tua fotografia, sui giornali! Pensa alle didascalìe: “Il giovane e coraggioso Procuratore Distrettuale dice che…”. Sei odioso, sei un cacciatore di pubblicità!»

«Ho pensato anch’io a tutto questo, Pat» rispose Cart con una strana mancanza di risentimento. «Non posso aspettarmi che tu mi capisca…»

Pat ebbe una risata amara.

«Se non assumerò io questa carica…» continuò il giovane «se io darò le dimissioni e qualcun altro prenderà il mio posto, quel qualcuno sarà molto meno leale verso Jim. Se io sarò all’accusa, Pat, puoi essere sicura che Jim sarà giudicato secondo giustizia…»

La ragazza corse fuori dall’ufficio. In fondo al corridoio, di fronte all’ufficio del Pubblico Ministero, seduto sopra una panchina, il signor Queen era in paziente attesa.

«Oh, Ellery!»

L’investigatore disse gentilmente:

«Povera bambina. Andiamo a casa.»

III

Il processo comincia

“Ave Caesar!” scrisse Roberta Roberts come titolo del suo articolo, in data 15 marzo.

«Anche il destino sembra contro di lui. Il processo a Jim Haight comincia alle Idi di Marzo, davanti al Giudice Lysander Newbold, nel Palazzo di Giustizia di Wrightsville. E si ha l’impressione che per il giovane che andrà alla sbarra per l’assassinio di Rosemary Haight e per il tentato omicidio di Nora Wright si preparino delle ‘vacanze romane’.»

Infatti, così era.

Fin dall’inizio l’atmosfera era stata raggelante. Il Capo della Polizia Dakin aveva dichiarato alla stampa di sentirsi molto sollevato dal fatto che il prigioniero, per raggiungere la Corte di Assise, non doveva essere portato per le strade di Wrightsville, dato che Carceri e Tribunale erano nello stesso edificio.

La gente era di umore cupo tanto che si sarebbe potuto credere che il loro odio per il presunto colpevole fosse ispirato dalla più fiera lealtà nei confronti della famiglia Wright.

Ma lo strano era che il medesimo stato d’animo lo dimostravano verso i Wright. Dakin dovette mandare due agenti per scortare la famiglia. Ciononostante, i ragazzini tiravano i sassi, i pneumatici delle loro automobili venivano tagliati e sui muri di casa si trovavano scritte le parole più maligne. In un solo giorno un nervosissimo postino consegnò a casa Wright tre lettere minatorie. Il silenzioso John le passò all’ufficio di Dakin.

Hermy e John sembravano distrutti. In tribunale la famiglia sedette compatta come una falange; ogni tanto Hermy sorrideva a Jim poi abbracciava con lo sguardo l’aula affollata come per dire «Vedete come siamo uniti!»

Si era anche fatto un gran parlare di Cart Bradford che si era assunto la carica di Pubblico Accusatore. In un editoriale piuttosto acido Frank Lloyd aveva espresso la propria disapprovazione. D’altro canto, contrariamente al giudice Eli Martin, Bradford era arrivato a quella fatale festa di Capodanno dopo che Nora e Rosemary erano già state avvelenate, per cui non era coinvolto né come teste né come partecipante. Ma Lloyd ci tenne a rilevare che «il nostro giovane, sagace, a volte troppo emotivo Procuratore Distrettuale, era legato alla famiglia Wright da lunga amicizia e benché si possa capire come questa amicizia fosse finita la notte del delitto, tuttavia ci chiediamo come il signor Bradford possa trattare il caso con equanimità.»

Intervistato su questo punto, prima dell’apertura del processo, il signor Bradford aveva dichiarato: «Qui non siamo né a Chicago né a New York. Questa è una piccola comunità dove tutti si conoscono. La mia condotta durante il processo risponderà alle insinuazioni del Record. Jim Haight sarà processato con giustizia ed imparzialità. È tutto!»

Il giudice Lysander Newbold era uno scapolo anziano, molto rispettato in tutto il paese per la sua cultura giuridica e per la sua abilità di pescatore di trote. Era un ometto ossuto, piccolo e tozzo, che aveva il vezzo di tenere la testa calva, frangiata da pochi capelli neri, profondamente incassata nelle spalle. La sua voce era asciutta. Aveva l’abitudine di giocherellare con la mazzetta da giudice come si trattasse di una canna da pesca, e durante i processi non rideva mai.

Ci vollero vari giorni per scegliere il collegio dei giurati, e durante questo periodo il signor Queen non cessò di osservare le due persone più importanti della Corte: il giudice Eli Martin, il difensore, e Carter Bradford, l’accusatore. Era evidente che si trattava di una guerra tra il coraggio di un giovane e l’esperienza di un vecchio. Bradford lavorava sotto tensione. C’era qualcosa di ostinato in lui e Ellery si accorse ben presto che era molto in gamba. Conosceva la sua gente. Ma parlava con troppa calma e ogni tanto la sua voce si incrinava.

Il giudice Martin era superbo. Ebbe il buon senso di non assumere arie paternalistiche nei confronti di Bradford, anzi ascoltò con estremo rispetto gli interventi del giovane. Una volta fu visto persino appoggiare una mano sulla spalla di Carter come se avesse voluto dire: «Sei un bravo ragazzo. Noi non siamo nemici perché abbiamo un interesse in comune: la giustizia.»

Ci furono mormorii di approvazione.

Il tutto contribuiva a creare una atmosfera di dignità e di serietà.

Anche Ellery Queen approvava.

E approvò ancora di più quando esaminò i dodici della giuria. Da quanto poteva giudicare erano dei cittadini solidi, di principi sani. Nessuno pareva avere dei pregiudizi, o emozioni particolari, tranne uno, forse, un individuo grasso che continuava a sudare: uomini per bene, in sostanza, che avrebbero potuto capire che un individuo può essere un debole senza per altro essere un criminale.